Скачать книгу

      "Credo che sia proprio una bella storia" affermò Ramiro.

      Jimena sorrise a suo nipote.

      "Me l'ha raccontata tuo zio Guillén. Lui la racconta meglio di me, questo è certo" affermò mentre scendeva dalla sua cavalcatura. "Avrà anche la pelle da pastore ma è nato bardo".

      Anche Jimeno e Ramiro smontarono da cavallo e continuarono a piedi. Il villaggio era ormai alle loro spalle e Yéquera era a trecento varas 1, ma la notte era già calata ed ebbero bisogno di un po' di luce per illuminare l'ultimo tratto di cammino. Jimeno tremò di nuovo dal freddo. L'ambiente si stava raffreddando rapidamente e il vento soffiava.

      Una bella cena accanto al fuoco è ciò di cui abbiamo bisogno. E non di sciocche storielle.

      Il castello diventava sempre più grande man mano che si avvicinavano.

      Ramiro continuava a fare domande a sua zia a proposito di quella storia, visibilmente interessato. Il bargello guardò il suo ragazzo.

      "È solo una leggenda, figliolo. E ci dà un insegnamento" spiegò. "E

      1 La vara è un’unità di misura della lunghezza utilizzata nella Penisola Iberica e nelle zone di influenza ispano-lusitana, e corrispondeva a tre piedi o pies. La vara era leggermente diversa da regione a regione, ma la più diffusa era la vara castigliana o di Burgos (0,835905 metri) equivalente a tre pies castigliani (0,278635 m.)

      l'insegnamento è che, se combatti bene, non dovrai mai subire l'onta di essere salvato dalle donne".

       Capitolo II: LA FANTESCA

      Il cuore del castello di Yéquera era un grande salone al quale si accedeva attraverso uno stretto patio. Era protetto da una solida muraglia di pietra costruita su un rilievo al centro di una pianura circondata di montagne. Un minuscolo cortiletto ne soffocava ancora di più l'interno. La Torre Maggiore, dove si trovavano gli appartamenti di don Yéquera, era rivolta a ovest; mentre la Torre Minore, dove si trovavano la dispensa e l'armeria, guardava a est.

      In questa seconda costruzione Marcela, l'anziana fantesca, stava scegliendo le mele migliori per preparare la torta che le due guardie della fortezza avrebbero mangiato la mattina dopo, al sorgere del sole. Le sue ossa erano invecchiate più in fretta della sua mente e non riuscire a portare a termine tutte le incombenze che si era prefissata per la giornata era per lei fonte di grande frustrazione. Le sue callose mani da serva reggevano il cesto della frutta come meglio potevano.

      Udì gli zoccoli dei cavalli ancor prima di vederli. Il suono metallico dei ferri contro la pietra si propagava con facilità, in una notte ventosa come quella.

      Con il cuore in gola, Marcela si affacciò alla stretta finestra della dispensa e scrutò all'esterno. Le prime ombre della sera erano ormai scese sul castello di Yéquera avvolgendolo nell'oscurità, ma riusciva comunque a distinguere le sagome di un gran numero di sconosciuti che si avvicinavano, protetti dalle tenebre.

      "Gli albari" sussurrò. Da quando si era diffusa la notizia che il bargello aveva ucciso uno di quei mostri, e quelle erano notizie che volavano veloci come un incendio d'estate, la donna aveva la sensazione che, se avesse abbandonato le solide mura della fortezza, un gruppo di uomini armati avrebbe potuto sorprenderla e sgozzarla senza esitare. E così, scorgendo quelle ombre che si avvicinavano le parve di vedere tutti gli abitanti del castello passati a fil di spada. Lasciò cadere il cesto pieno di mele e uscì nel cortile: "Ci attaccano, ci attaccano!"

      La porta della latrina si aprì un attimo dopo e Fidel ne uscì sistemandosi le braghe.

      "Cosa stai dicendo, donna?" esordì mentre si ricomponeva, cercando di recuperare la dignità.

      "Ci attaccano!" ripeté la serva, prendendolo per un braccio. "Arrivano dalla parte del paese!"

      La guardia mise la mano sul manico del suo martello e salì i gradini della Torre Minore due per volta. La sua grossa pancia lo accompagnò dondolando su e giù. Marcela lo seguì su per le scale più in fretta che poté, e al suo arrivo lo vide affacciato alla feritoia.

      "Arriva gente" disse. Questo lo so, pensò Marcela , ma cosa aspetta ad attaccarli? "Non mi sembrano banditi. Sembra più gente del villaggio"

      aggiunse.

      Fidel si fece da parte in modo che la fantesca potesse dare un'occhiata.

      Se quelle ombre avessero avuto intenzione di attaccare il castello, una cosa era certa: se la stavano prendendo con molta calma. Conducevano i cavalli tenendoli per la cavezza e camminavano tranquilli. C'era anche un carretto e sulla parte posteriore erano seduti alcuni uomini. All'orecchio di Marcela arrivarono delle voci e qualche risata. Adesso non le sembravano più banditi.

      "Maledizione, donna" gridò Fidel, "sono due giorni che non riesco ad andare di corpo, e quando finalmente il mio culo decide di mettersi al lavoro ti metti a strillare" la accusò puntando il dito. "Questa volta le mie braghe saranno più sporche del solito".

      Per la verità sono sempre piene di macchie, vecchio maiale, pensò osservando il corpo gonfio di quello che era stato un guerriero dal fisico asciutto.

      "Mi dispiace, con quella faccenda degli albari e delle loro facce bianche…"

      si scusò la donna, cercando di calmare gli animi. Eppure, un attimo dopo si rese conto che era stata lei a dare l'allarme. "Un momento! Non eri tu di

      guardia, stanotte?"

      L'omone grugnì qualcosa di incomprensibile.

      "Infatti ero proprio di guardia!" si schermì lui dopo, scendendo le scale.

      "Adesso non posso andare un attimo alla latrina?"

      "No, non puoi se sei di guardia! Basterebbe un momento di disattenzione e potremmo trovarci con un centinaio di persone intorno al castello".

      Fidel ritornò verso il cortile e si avvicinò al portone della fortezza per accendere una delle torce. La fiamma illuminò il viso della guardia, segnato dal tempo.

      Tre colpi avvertirono i due che la gente era già davanti all'entrata. Fidel stava trafficando con la trave che teneva chiuso il portone mentre Marcela si

      avvicinava

      alla

      finestrella

      che

      dava

      all'esterno.

      Riconobbe

      immediatamente l'uomo dall'altra parte. Jimeno mostrò i denti in quello che voleva essere un sorriso.

      "Buonasera, Marcela. So che l'ora è tarda, la nostra intenzione era quella di arrivare prima del tramonto ma le cattive condizioni del sentiero ce l'hanno impedito. Sua signoria è ancora sveglio?”

      La serva rispose affermativamente alla domanda del bargello e si fece di lato, in modo che Fidel potesse aprire la porta. Uno alla volta, Jimeno e i suoi accompagnatori passarono all’interno. Erano coperti di polvere che avevano raccolto lungo la strada e i loro volti tradivano un misto di freddo e di stanchezza.

      "Ah, Jimeno!" esclamò Fidel tendendo la mano al bargello. "Siate il benvenuto. Dopo che Marcela vi ha confuso con gli albari, vi assicuro che è un sollievo vedere il vostro volto cupo".

      "Dite davvero?" chiese Jimeno girandosi verso la donna. "In questo caso vi confermo che non sono un albare, ma uno dei loro più fieri avversari". Il bargello si compiacque del suo sorriso orgoglioso e si fece da parte per lasciar passare il carro. "Siamo affamati, e vorremmo approfittare della ben nota ospitalità di don Yéquera. Abbiamo con noi qualcosa per cena, non

      temete, ma vorremmo poterci sistemare da qualche parte accanto al fuoco".

      "Naturalmente" disse Marcela, "passate nel salone e sedetevi a tavola. Vi prego di essere così gentile da aggiungere un po' di legna al caminetto. Il mio signore patisce

Скачать книгу