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      “E cosa ha provato ricordando?”

      Era una domanda difficile. Suo padre era sempre stata una persona irascibile, ma vederlo compiere quel gesto dopo quello che era appena successo a sua madre lo faceva quasi apparire debole, vulnerabile.

      “Sono rattristata per lui.”

      “Lo ha mai incolpato per la morte di sua madre da quando è successo?” Chiese Skinner.

      “A essere sincera, dipende dai giorni. Dipende dal mio umore.”

      Skinner annuì e abbandonò la sua posizione, alzandosi e guardandola con un sorriso rassicurante.

      “Credo che per oggi possa bastare. La prego di chiamarmi se le capita di avere un’altra reazione del genere davanti ad una scena del crimine. E, comunque, vorrei che ci rivedessimo. Potremmo fissare un appuntamento?”

      Chloe ci pensò su, poi annuì. “Va bene, ma sto per sposarmi e ho ancora molte cose da preparare; i fiori, la torta… È un incubo. Posso richiamarla con una data più precisa?”

      “Certamente. Fino ad allora… Rimanga vicina all’agente Greene. È un brav’uomo. E ha fatto bene a mandarla da me. Voglio che lei sappia che, essendo all’inizio della sua carriera, il fatto che sia dovuta venire da uno psicoterapeuta per risolvere i suoi problemi non significa nulla. Non è indicativo del suo talento.”

      Chloe annuì. Lo sapeva, ma era comunque bello sentirlo dire la Skinner. Si alzò e lo ringraziò. Mentre usciva dalla porta per tornare nella sala d’aspetto, rivide il padre che lanciava il telefonino. Poi però le sovvenne anche un commento che aveva fatto; non che se lo fosse scordato, ma fino a quel giorno era rimasto confuso.

      Aveva guardato Danielle e, con voce fin troppo agitata, aveva detto: “Danielle, tesoro… Vai a cambiarti i vestiti. Non abbiamo molto tempo prima che arrivino.”

      Quel commento continuò a frullarle in testa per tutto il pomeriggio, facendola rabbrividire. Era come se stesse spingendo per aprire una porta che era rimasta chiusa negli ultimi diciassette anni.

      CAPITOLO SETTE

      Danielle si svegliò alle otto, con la sensazione di non aver dormito bene, o di non aver dormito affatto. Era rientrata dal lavoro alle 2:45 per poi crollare sul letto alle 3:10. Di solito non aveva problemi a dormire fino alle undici, a volte persino più tardi; invece, quando aprì gli occhi quella mattina alle 8:01, non riuscì più a riaddormentarsi. A dire la verità, era da quando aveva scoperto che Chloe si sarebbe trasferita in città che non riusciva a dormire bene. Le era sembrato quasi che il suo passato la stesse lentamente seguendo, e che non avrebbe smesso finché non l’avesse inghiottita.

      Stanca e di malumore, Danielle si fece la doccia, poi fece colazione. Tutto ciò con l’album Too Dark park degli Skinny Puppy come colonna sonora. Mentre metteva la tazza sporca nel lavello, si ricordò che quel giorno sarebbe dovuta andare a fare la spesa. Di solito questo non l’avrebbe seccata. Ma a volte capitava che avesse la sensazione che stare in mezzo alla gente sarebbe stato un errore… Che le persone fossero lì a guardarla, in attesa che commettesse un errore per poi puntarle il dito contro.

      Inoltre, temeva che allontanarsi da casa avrebbe dato all’autore delle lettere l’occasione di seguirla. Danielle immaginava che uno di quei giorni l’autore avrebbe smesso di scherzare e l’avrebbe semplicemente uccisa.

      Forse quel giorno era proprio oggi.

      Guidò fino al supermercato, perfettamente consapevole che quello era uno di quei giorni… Uno di quei giorni in cui aveva paura di tutto. Uno di quei giorni dove si sarebbe costantemente guardata alle spalle. Guidò in fretta, passando addirittura con il rosso, nell’impazienza di portare a termine quella commissione.

      Fin da quando Danielle aveva iniziato a ricevere quei messaggi inquietanti sotto la porta, stare in posti pubblici le causava ansia. Era fin troppo facile immaginarsi la persona che aveva scritto le lettere che la seguiva. Persino al bar, si chiedeva se l’autore non fosse una delle persone sedute al bancone che lei aveva appena servito. Quando andava a comprare del cibo d’asporto al ristorante cinese, lui la stava forse seguendo, aspettando l’occasione per aggredirla mentre tornava alla macchina?

      Anche dopo essere arrivata sana e salva alla sua destinazione ed essersi precipitata dentro il supermercato praticamente correndo con un carrello delle ruote cigolanti, la preoccupazione era ancora lì. L’autore delle lettere avrebbe potuto essere lì con lei, tra gli scaffali del supermercato, magari osservandola dalla corsia dei cereali per la colazione.

      Quella paura così concreta la perseguitava dal giorno dopo quello che era successo con Martin. Era sopraffatta dalla paranoia, e teneva la testa bassa e incassata nelle spalle. Se qualcuno avesse voluto guardarla in faccia, l’avrebbero dovuto fare di proposito, fermandosi e chinandosi. Si detestava per essere così. Aveva sempre avuto problemi simili, il che era il motivo per cui la maggior parte delle sue relazioni raramente duravano più di un mese. Sapeva, durante la sua permanenza a Pinecrest, di aver sviluppato la reputazione di essere una specie di sgualdrina, ma in realtà non è che le piacesse andare a letto con chiunque. Era solo che, quando si sentiva abbastanza a suo agio con un ragazzo da andarci a letto, subentrava la paranoia e cominciava a pensare male di lui. Allora lo mollava, lasciava passare un po’ di tempo per riprendersi, poi ricominciava.

      Quando era tornata a Pinecrest qualche anno prima, le cose erano migliorate leggermente. Quando aveva lasciato Boston le era sembrato di battere in ritirata… Ma andava bene così. Almeno era tornata in un luogo che le era familiare. La cosa più difficile a cui abituarsi era la mancanza di ragazzi con cui uscire. All’inizio le aveva creato problemi, anche se era riuscita a rovinare ogni singola relazione che avesse iniziato. Ecco perché il litigio con Martin l’aveva turbata così tanto.

      Naturalmente c’erano anche i lati negativi di Pinecrest. Troppe persone si ricordavano di lei e di Chloe. Si ricordavano delle povere, piccole sorelle Fine, che erano finite a vivere con i nonni dopo che la madre era morta e il padre era stato arrestato.

      “Danielle, sei tu?”

      Danielle si voltò verso la voce, sorpresa. Era così persa nei suoi pensieri che aveva smesso di nascondere il viso mentre si alzava in punta di piedi per prendere una scatola di cereali Froot Loops. Adesso stava guardando un volto del passato, una donna che le pareva estremamente familiare, ma che non riusciva a identificare.

      “Non ti ricordi di me?” Domandò la donna, a metà tra il divertito e l’offeso. Doveva avere tra i quarantacinque e i cinquant’anni. Ad ogni modo, Danielle non se la ricordava.

      “Mi sa che non ti ricordi di me” disse la donna. “Credo che avessi solo tredici o quattordici anni l’ultima volta che ti ho vista. Sono Tammy Wyler. Ero un’amica di tua madre.”

      “Ah sì, ma certo” disse Danielle. Non ricordava affatto quella donna, ma il nome le diceva qualcosa. Danielle immaginò che si trattasse di uno degli amici di famiglia che venivano di tanto in tanto a far visita ai suoi nonni negli anni successivi alla morte della madre.

      “Quasi non ti riconoscevo” disse Tammy. “I tuoi capelli sono… Più scuri.”

      “Già” disse Danielle senza entusiasmo. Probabilmente, l’ultima volta che Tammy Wyler l’aveva vista, era appena entrata nella fase di massima ribellione. All’epoca, quando aveva tredici o quattordici anni, si tingeva i capelli di rosa evidenziatore con strisce nere. Adesso invece li portava nero corvino, uno stile ormai superato ma che le si addiceva alla perfezione.

      “Sapevo che eri tornata ad abitare qui, ma… Non lo so. Non ti ho mai cercata dopo che ti sei trasferita. Se non sbaglio, sei stata a Boston per un periodo, giusto?”

      “Esatto.”

      “Ah, ho sentito che anche Chloe è tornata in città. Ha comprato una nuova casa dalle parti di Lavender Hills, vero?”

      “Già, è tornata” disse Danielle, ormai vicina al limite di sopportazione per quanto riguardava i convenevoli e cazzate

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