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sorriso di soddisfazione.

      Quando cominciò la parata, la famiglia si posizionò sul marciapiede e guardò passare i trattori. Tutti quelli di Sunset Harbor erano fuori ed Emily salutò molti suoi amici. Non si sentiva più in imbarazzo ad apparire in pubblico con Daniel e Chantelle. Era ciò che voleva e se la gente disapprovava, a lei non importava.

      Ma non appena Emily ebbe cominciato a sentirsi più sicura di sé, ecco che sentì qualcuno toccarle una spalla. Si voltò e si sentì travolgere da una doccia fredda. Trevor Mann era lì, con l’aria compiaciuta da rospo.

      Si lisciò i baffi. “Sono sorpreso di vederla qui, Emily,” disse.

      Emily incrociò le braccia e sospirò, sapendo istintivamente che Trevor avrebbe cercato di buttarle giù il morale. “E perché, Trevor?” disse, secca. “La prego di dirmelo. Muoio dalla voglia di saperlo.”

      Trevor sorrise nel suo modo storto e orribile. “Volevo solo ricordarle che la proroga inerente al pagamento delle sue tasse arretrate sta per scadere. Ha tempo fino al Ringraziamento per saldare tutto.”

      “Lo so bene,” rispose controllata Emily, ma ricordarlo non le faceva certo piacere. Emily non aveva ancora la più pallida idea di come avrebbe fatto a trovare i soldi.

      Guardò Trevor girare sui tacchi e sparire, lasciandola con una sensazione di freddo e terrore.

      *

      A Chantelle Serena sembrava essere piaciuta subito, quindi Emily invitò l’amica a cena a casa sua. Emily decise di preparare un gran pasto a base di fajita. Voleva che la piccola si sentisse amata e protetta, che fosse stimolata da molte attività e che fosse allevata con nutrimento. Perciò, mentre Serena e Chantelle suonavano il piano insieme nel soggiorno, in cucina Emily e Daniel cucinavano ogni tipo di piatto.

      “Non so neanche se assaggerà metà di questa roba,” disse Daniel mescolando un po’ di salsa fatta in casa. “Pomodori. Avocado. Probabilmente è tutto nuovo per lei.”

      “A casa non mangiava bene?” chiese Emily. Ma la risposta la conosceva. Certo che no. Sua madre non riusciva nemmeno a tenere un tetto sopra alla testa di sua figlia né a comprarle abbastanza paia di pantaloni per una settimana; le probabilità che nutrisse Chantelle erano quasi nulle.

      “Era una casa del tipo patatine fritte e biscotti in scatola,” rispose Daniel serrando la mascella. “Nessuna routine. Si mangiava quando si aveva fame.”

      Emily capiva quanto dolore provasse dal modo in cui teneva le spalle curve, dal modo irrequieto in cui faceva degli avocado un guacamole come se non ci fosse un domani.

      Emily lo raggiunse e gli fece passare delicatamente le mani sulle braccia, finché la tensione sembrò sciogliergli i muscoli.

      “Adesso ha noi,” lo confortò. “Sarà pulita. Sarà nutrita. Sarà al sicuro. Okay?”

      Daniel annuì. “Però mi sembra che abbiamo così tanto tempo passato da sistemare. Voglio dire, possiamo davvero cancellare ciò che ha passato quando io non ero lì per lei?”

      A Emily si spezzò il cuore. Daniel si sentiva davvero responsabile per gli anni che non poteva controllare? Per tutti quei mesi, per tutte quelle settimane e quei giorni in cui non era stato capace di amare Chantelle e prendersene cura?

      “Sì che possiamo,” gli disse decisa Emily. “Tu puoi.”

      Daniel sospirò ed Emily capì che non le stava credendo del tutto, che le sue parole gli entravano da un orecchio e gli uscivano dall’altro. Ci sarebbe voluto del tempo prima che accettasse di essere stato assente durante l’inizio della vita di Chantelle. Emily sperava solo che il suo avvilimento non spingesse la bambina ad allontanarsi da lui.

      La cena era pronta, quindi andarono tutti nella sala da pranzo per mangiare. All’enorme tavolo antico di quercia, Chantelle sembrava piccola. I gomiti le arrivavano appena al piano. La stanza non era proprio stata pensata per i bambini.

      “Vado a prenderle un cuscino,” disse Serena ridendo.

      Proprio allora, Emily notò che Chantelle stava piangendo.

      “Va tutto bene, tesoro,” le disse con delicatezza. “Lo so che sei bassina, ma Serena ti prende un cuscino e poi potrai stare seduta alta come una principessa.”

      Chantelle scosse la testa. Non era quello che la faceva star male, ma non sembrava capace di dire a parole di che cosa si trattasse.

      “È la cena?” si preoccupò Daniel. “Troppo saporita? È troppa? Non devi mangiare tutto. Puoi non mangiare niente. Possiamo prendere qualcosa d’asporto.” Si voltò verso Emily, e le parole gli uscirono piene di ansia. “Perché non andiamo a prendere qualcosa?”

      Emily alzò le sopracciglia come per dirgli di calmarsi, di non aggiungere dell’emotività non necessaria alla situazione. Poi scostò la sedia, si alzò in piedi, andò da Chantelle e si inginocchiò accanto a lei.

      “Chantelle, con noi puoi parlare,” le disse il più delicatamente possibile. “Con me e con papà. Siamo qui per te, e non ci arrabbieremo.”

      Chantelle si sporse verso Emily e bisbigliò. La voce era così bassa da essere quasi inudibile. Ma Emily riuscì a capire le parole che pronunciava, e mentre cominciava a capire, venne colpita al cuore dall’emozione.

      “Ha detto che sono lacrime di gioia,” spiegò a Daniel.

      Guardò il respiro di sollievo sollevargli il petto, e il luccichio delle lacrime nei suoi occhi.

      *

      Più tardi, quella sera, era ora che Emily e Daniel mettessero a letto Chantelle.

      “Voglio che lo faccia Emily,” richiese Chantelle prendendole la mano.

      Emily e Daniel si scambiarono uno sguardo. Dal modo in cui si strinse nelle spalle, Emily capì che Daniel era deluso di essere escluso.

      “Allora da’ la buonanotte a papà,” suggerì Emily.

      Chantelle corse da lui e gli piantò un veloce bacio sulla guancia prima di tornare da Emily, con cui chiaramente si sentiva più a suo agio.

      Di tutte le prove materne che Emily aveva dovuto affrontare nelle ultime ventiquattr’ore, questa fu per lei la più snervante. Ficcò la bambina nel grande letto a baldacchino della stanza vicina a quella padronale, posandole accanto l’orsacchiotto della parata e Andy Pandy dall’altra parte.

      “Vuoi che ti racconti una favola?” chiese Emily a Chantelle. Suo padre le leggeva sempre qualcosa a letto; lei voleva ricreare quella magia per Chantelle.

      La bimba annuì, e gli occhi già cominciavano a chiudersi dal sonno.

      Emily corse alla libreria e trovò la sua vecchia copia di Alice nel paese delle meraviglie. Era stato uno dei suoi libri preferiti da bambina, e quando aveva trovato la vecchia e impolverata copia nella casa quando era arrivata nella casa era stata colta da un’emozione soverchiante. La rendeva felice sapere di poter dare al libro un nuovo scopo nella vita, sapere che avrebbe portato la gioia che conteneva nelle sue pagine a qualcuno di nuovo.

      Portò il libro di sopra e si sedette su una sedia accanto al letto, come faceva suo padre. Quando prese a leggere, Emily sentì i ricordi vorticarle dentro. La sua stessa voce si trasformò in quella di suo padre e si sentì trasportare indietro nel tempo.

      Era rimboccata a letto, con le coperte sotto alle ascelle. La stanza era illuminata dalla candela. Riusciva a vedere i corrimano del mezzanino davanti a lei e capì che si trovava nell’immensa stanza che dava sul retro della casa, quella che lei e Charlotte condividevano. Anche se si sforzava di rimanere sveglia, di continuare ad ascoltare la meravigliosa storia che sua padre le leggeva, le palpebre le si facevano pesanti e ciondolavano verso il basso. Un attimo dopo divenne conscia dell’oscurità che la avvolgeva e del rumore dei passi di suo padre che scendeva la scala a pioli del mezzanino e andava alla porta. Ci fu un lampo di luce che veniva dal pianerottolo quando la aprì, poi una voce che diceva, “Dormono?” Emily

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