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più forte. Non voleva vederlo così, sofferente, totalmente privo di fiducia in sé. Sembrava teso, pensò Emily, e si chiese se non stesse lottando per riadattarsi a essere a casa, a essere improvvisamente un padre. Daniel doveva essere stato così concentrato su Chantelle da aver trascurato di curarsi delle proprie emozioni, ed era solo adesso, nella calda e accogliente rimessa, che era in grado di concedersi lo spazio per provare qualcosa.

      “Sono qui per te,” disse Emily, accarezzandogli il petto con delicatezza. “Sempre.”

      Daniel sospirò profondamente. “Grazie. È tutto ciò che posso dire.”

      Emily sapeva che gli veniva dal cuore. Grazie era di sicuro abbastanza per lei in quel momento. Si lasciò andare contro di lui, e restò in ascolto del suo respiro, che rallentava a mano a mano che si assopiva. Poco dopo, sentì che il sonno stava avendo la meglio anche su di lei.

      *

      Vennero svegliati brutalmente dai rumori di Chantelle nella stanza accanto. Emily e Daniel balzarono su dal divano, disorientati dalla luce improvvisa che c’era nella stanza. Nel caminetto le braci bruciavano ancora.

      Un istante dopo, la porta si aprì appena.

      “Chantelle?” disse Daniel. “Vieni pure fuori. Non essere timida.”

      La porta, lentamente, si aprì del tutto. Chantelle era lì, con addosso una delle magliette enormi di Daniel, con i capelli biondi spettinati sulla faccia. Anche se non aveva gli stessi capelli scuri di Daniel né la stessa pelle olivastra, la somiglianza era indiscutibile. Soprattutto negli occhi. Avevano entrambi la stessa sfumatura di blu penetrante nelle iridi.

      “Buongiorno,” disse Emily accorgendosi di quanto fosse indolenzita dopo le poche ore di sonno che lei e Daniel avevano passato sul divano. “Vuoi che ti prepari la colazione?”

      Chantelle si grattò il mento e guardò timidamente Daniel. Lui annuì per incoraggiarla, comunicandole che lì, in quella casa, le era permesso parlare, che non ci sarebbe stato qualcuno a zittirla lì, né a dirle che era solo una seccatura.

      “Ah-ah,” disse Chantelle con voce timida.

      “Che cosa ti piace?” chiese Emily. “Posso farti dei pancake, un toast, uova. O preferisci i cereali?”

      Chantelle sgranò gli occhi dallo stupore ed Emily capì con una fitta di dolore che probabilmente non aveva mai avuto una scelta, prima. Forse non le avevano neanche mai preparato la colazione.

      “Io vorrei i pancake,” disse Emily. “E tu, Chantelle?”

      “Pancake,” ripeté.

      “Ehi, sapete una cosa?” aggiunse Emily. “Potremmo andare alla casa grande e fare colazione lì. Nel frigo ho dei mirtilli, quindi potremmo metterli nei pancake. Che ne dici, Chantelle? Ti va di vedere la casa grande?”

      Questa volta Chantelle si mise ad annuire con entusiasmo. Daniel sembrò sollevato nel vedere che Emily aveva preso il comando, quella mattina. Emily capì quanto lui fosse sconcertato da tutto quanto anche solo dalla sua espressione.

      “Ehi,” suggerì teneramente, cercando di non pestargli i piedi. “Perché non vai ad aiutare Chantelle a vestirsi?”

      Lui annuì frettolosamente, leggermente imbarazzato dal fatto che non gli fosse venuto in mente di farlo, poi accompagnò la bambina in modo innaturale in camera a cambiarsi. Emily li guardò andare, notando quanto quel piccolo gesto paterno mettesse Daniel a disagio. Si chiese se parte della difficoltà di cui aveva fatto esperienza nel Tennessee non fosse risieduta anche nell’adattarsi al ruolo di padre, se non si fosse preoccupato così tanto delle cose pratiche – della casa, della scuola, del cibo – da non aver ancora avuto modo di concentrarsi sul fatto che adesso doveva essere un genitore.

      Una volta che furono tutti pronti, lasciarono la rimessa e percorsero il vialetto di ghiaia per il Bed and Breakfast. Chantelle prendeva a calci i sassi per strada, ridendo dei rumori che faceva con le scarpe. Rimase per tutto il tempo avvinghiata alla mano di Daniel, anche se nel gesto non c’era naturalezza – per nessuno dei due. Daniel pareva rigido e impacciato, come se stesse cercando disperatamente di non fare nulla di sbagliato o di non rompere la fragile creatura che adesso gli era stata lasciata in custodia. Chantelle, da parte sua, sembrava esagerata, come se non volesse perdere la presa su Daniel perché la cosa le avrebbe dato un dolore enorme.

      Emily non era del tutto sicura di cosa sarebbe stato meglio fare. Esitando, prese l’altra mano della bambina nella sua e fu felice e sollevata di constatare che Chantelle non sussultò né si ritirò. Anche Daniel sembrò più a suo agio con il coinvolgimento di Emily, e prese una maggiore naturalezza. In risposta, la stretta di Chantelle sulla sua mano si affievolì.

      Mano nella mano, i tre risalirono i gradini del portico e arrivarono alla porta principale, ed Emily fece entrare tutti.

      Chantelle stazionò sulla soglia, non sapendo se aveva il diritto di stare lì. Guardò Daniel in cerca di un incoraggiamento. Lui le sorrise dolcemente e annuì. Esitante, Chantelle entrò ed Emily sentì sollevarsi il cuore dall’emozione. Combatté per trattenere le lacrime.

      Immediatamente, Emily ebbe l’impressione che Chantelle fosse sconvolta dalla casa nella quale si trovava adesso. Si guardò intorno, guardò l’ampia scala dai corrimano lucidati e il tappeto color crema, il lampadario e l’enorme e antica scrivania della reception che era stata acquistata da Rico. Sembrava impressionata persino dalle fotografie e dai quadri appesi in corridoio. L’unica cosa a cui Emily poté paragonarla era un bambino che entrava nella casa di Babbo Natale per la prima volta.

      Emily le mostrò il soggiorno e Chantelle trasalì alla vista del pianoforte.

      “Puoi suonarlo se vuoi,” la incoraggiò Emily.

      Chantelle non ebbe bisogno di farselo dire due volte. Andò dritto al piano antico, che si trovava nella nicchia del bovindo, e si mise a pizzicare i tasti.

      Emily sorrise a Daniel. “Mi chiedo se non abbiamo per le mani una musicista in erba.”

      Daniel guardava Chantelle quasi con curiosità, come se non riuscisse a credere alla sua esistenza. Emily si chiedeva se avesse mai avuto contatti con altri bambini prima di lei. Lei aveva fatto da babysitter per le nipoti di Ben un numero infinito di volte, quindi almeno aveva un minimo di esperienza. Daniel, da parte sua, sembrava del tutto fuori dal suo ambiente.

      Proprio allora, Chantelle smise di suonare. Il suono della sua musica disarmonica aveva avvertito i cani che erano tornati a casa, e si erano messi ad abbaiare dalla lavanderia.

      “Ti piacciono i cani?” chiese Emily a Chantelle, decidendo che di questo si sarebbe occupata lei.

      Chantelle annuì entusiasta.

      “Ne ho due,” proseguì Emily. “Rain è il cucciolo e Mogsy è la mamma. Vuoi conoscerli?”

      Il sorriso di Chantelle si allargò.

      Mentre Emily la conduceva nel corridoio, sentì la mano di Daniel sul braccio.

      “È una buona idea?” le chiese con un sospiro sommesso mentre si dirigevano verso la cucina. “Non la spaventeranno? Non la morderanno?”

      “Certo che no,” lo rassicurò Emily.

      “Ma si sente parlare continuamente di cani che dilaniano bambini,” borbottò.

      Emily alzò gli occhi al cielo. “Sono Mogsy e Rain, te li ricordi? Sono i cani più stupidi e tonti del mondo.”

      Erano arrivati in cucina ed Emily fece cenno a Chantelle di andare in lavanderia. Nell’istante in cui aprì la porta i cani le saltarono in braccio a uggiolare. Daniel aveva l’aria incredibilmente tesa nel vedere Rain che correva in cerchio intorno a Chantelle mentre Mogsy le toccava con la zampa la felpa e cercava di leccarla. Ma Chantelle era felicissima. Si sciolse dal ridere.

      Daniel sgranò gli occhi dalla sorpresa. Emily seppe istintivamente che era la prima volta che sentiva Chantelle esprimere tanta gioia.

      “Credo

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