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      “Davvero?” balbettò. “Posso?”

      Emily annuì. “Certo.” Porse a Chantelle alcuni giocattoli dei cani. “Vi guarderò dalla finestra.”

      Aprì la porta sul retro che portava al cortile e i cani si precipitarono fuori. Chantelle rimase ferma un attimo, reticente a uscire sola, a fare il suo primo passetto di indipendenza. Ma alla fine trovò la fiducia, uscì, e lanciò una palla perché i cani andassero a prenderla.

      Quando Emily tornò in cucina, Daniel stava mettendo su del caffè.

      “Tutto okay?” chiese dolcemente.

      Daniel annuì. “Non ci sono abituato. Il mio primo pensiero è che non le accada niente di male. Voglio solo tenerla al sicuro.”

      “Questo è ovvio,” rispose Emily. “Ma devi permetterle di avere un po’ di indipendenza.”

      Daniel sospirò. “Come fa a venirti così naturale?”

      Emily si strinse nelle spalle. “Non credo che mi venga naturale. Vado solo a naso. È assolutamente al sicuro là fuori finché la teniamo d’occhio.”

      Si appoggiò al lavabo della cucina e guardò dalla grande finestra il cortile dove Chantelle correva e i cani la inseguivano tutti agitati. Ma mentre la osservava, rimase colpita improvvisamente da quanto Chantelle somigliasse a Charlotte quando aveva la sua età. Le somiglianze erano sbalorditive, quasi inquietanti. Quella visione le riportò alla memoria un altro dei suoi ricordi perduti. Ne aveva avuti tanti di questi ricordi tornati spontaneamente da quando si era trasferita nella casa di Sunset Harbor, e anche se il modo in cui le venivano alla mente così brutalmente la spaventava, li conservava come tesori tutti quanti. Erano come i pezzi di un puzzle, ciascuno dei quali la aiutava a mettere insieme un’immagine di suo padre e della vita che avevano condiviso prima che sparisse.

      In questo ricordo, Emily aveva una febbre orribile, forse anche l’influenza. Erano solo loro tre perché sua madre non era voluta venire a Sunset Harbor per il lungo weekend di vacanza, quindi suo padre stava facendo del suo meglio per prendersi cura di lei. Ricordò che uno degli amici del padre aveva portato i suoi cani e che a Charlotte era permesso giocarci, ma Emily stava troppo male e dovette rimanere dentro. Le scocciava tanto perdersi i cani che suo padre l’aveva sollevata fino alla finestra – la finestra della cucina alla quale era affacciata adesso – perché guardasse.

      Emily si ritrasse e trasalì. Scoprì di avere le guance bagnate, di aver pianto guardando Chantelle trasformarsi in Charlotte. Non per la prima volta, Emily ebbe la forte sensazione che lo spirito di Charlotte stesse comunicando con lei, che in qualche modo vivesse dentro a Chantelle e che stesse dando a Emily un segno.

      Proprio allora Daniel le si avvicinò da dietro e la cinse con le braccia. Era una distrazione benvenuta, quindi lasciò ricadere la testa fino a farla riposare sul suo petto.

      “Che c’è che non va?” le chiese dolce, con voce rassicurante.

      Doveva aver visto le lacrime. Emily scosse la testa. Non voleva dirgli del flashback, né della sensazione che lo spirito di Charlotte fosse dentro a Chantelle; non sapeva come l’avrebbe presa.

      “Solo un ricordo,” disse.

      Daniel la strinse forte, cullandola. Sembrava così diverso da come faceva con Chantelle. Con Emily era su un terreno familiare, e lei sapeva quanto fosse più sicuro di sé con lei che non con sua figlia. Aveva contato su di lui così tante volte. Adesso toccava a lei dargli qualcuno su cui contare.

      “Un po’ pesante, vero?” gli disse alla fine, voltandosi verso il suo viso.

      Daniel annuì, con espressione angosciata. “Non so neanche da dove cominciare. Devo iscriverla alla scuola elementare. Il prossimo semestre comincia mercoledì. Poi devo trovare un posto dove possiamo dormire.”

      “Ti rovinerai la schiena se continui a dormire su quel divano pieghevole,” disse Emily. Poi venne colta da un’ispirazione. “Trasferitevi qui.”

      Daniel vacillò per un attimo. “Non dici sul serio. Hai così tanto da fare che non riuscirai a ospitarci.”

      “Voglio che veniate qui,” insistette Emily. “Voglio che Chantelle abbia dello spazio e una sua camera.”

      “Non sei costretta a farlo,” disse Daniel, opponendosi ancora.

      “E tu non sei costretto a cavartela da solo. Sono qui per te. È molto meglio così piuttosto che vi stringiate nella rimessa.” Lo strinse forte.

      “Ma non puoi permetterti di chiudere una delle stanze per gli ospiti, no?”

      Emily sorrise. “Ti ricordi di quando abbiamo parlato di trasformare la rimessa in una suite a parte, separata dal Bed and Breakfast? Be’, questo non sarebbe il momento perfetto per farlo? Chantelle può avere la stanza accanto a quella padronale, quindi starà vicina a noi. Può avere la sua chiave, quindi sarà al sicuro. Poi tu puoi ristrutturare la rimessa in tempo per il Ringraziamento. Sono sicura che sarà un’attrazione fenomenale per i clienti.”

      Daniel fece un’espressione preoccupata. Emily non era sicura da dove venisse la sua reticenza. L’idea di vivere con lei era così orribile che avrebbe preferito farsi bastare l’angusta rimessa?

      Ma alla fine annuì. “Hai ragione. La rimessa non va bene per una bambina.”

      “Vi trasferite?” disse Emily, alzando le sopracciglia dall’entusiasmo.

      Daniel sorrise. “Ci trasferiamo.”

      Emily gli gettò le braccia al collo e sentì che lui la stringeva forte.

      “Però giuro di trovare un modo per fare dei soldi in modo da mantenerci,” disse Daniel.

      “Ci penseremo in un altro momento,” disse Emily. Era troppo sopraffatta dalla gioia per pensare a dettagli del genere. Tutto ciò che importava in quel momento era che Daniel si sarebbe trasferito da lei, che avevano una bambina da amare e di cui occuparsi. Stavano per diventare una famiglia ed Emily non avrebbe potuto essere più felice.

      Poi sentì il respiro caldo di Daniel mentre questi le sussurrava all’orecchio. “Grazie. Dal profondo del cuore. Grazie.”

      *

      “Che ne dici se questa è la tua camera?” chiese Emily.

      Stava con Chantelle sulla soglia di una delle stanze più carine di tutto il Bed and Breakfast. Daniel era dietro di loro.

      Emily osservò l’espressione di stupore di Chantelle. Poi la bimba lasciò la mano di Emily ed entrò piano nella stanza, camminando con attenzione come se non volesse rompere né turbare qualcosa. Andò al grande letto con le sue lenzuola pulite cremisi e lo toccò con la punta delle dita, con tantissima leggerezza. Poi andò alla finestra e guardò i giardini e l’oceano che scintillava oltre le cime degli alberi. Emily e Daniel osservarono trattenendo il respiro la bambina spostarsi lenta per la stanza, raccogliere delicatamente la lampada prima di rimetterla a posto, poi sbirciare nel guardaroba vuoto.

      “Che ne pensi?” chiese Emily. “Possiamo ridipingere i muri se non li vuoi bianchi. Cambiare le tende. Appendere delle tue foto.”

      Chantelle si voltò. “Mi piace così com’è. Posso davvero avere una camera?”

      Emily sentì Daniel irrigidirsi accanto a lei. Seppe subito che cosa stava pensando: che Chantelle, a sei anni, non aveva mai avuto una camera sua; che la vita che aveva vissuto fino a quel momento era stata carica di avversità e contaminata dall’abbandono.

      “Sì, davvero,” disse Emily sorridendo gentilmente. “Perché non disfiamo i bagagli? Poi comincerà davvero a sembrare camera tua.”

      Chantelle annuì e andarono insieme a prendere le sue cose dalla rimessa. Però, una volta lì, Emily rimase scioccata nello scoprire che Chantelle aveva solo un misero zaino.

      “Dov’è la sua roba?” chiese a Daniel sottovoce mentre tornavano alla casa.

      “È

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