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viene qui a suonarlo. Suonerà al nostro matrimonio, a dire il vero.”

      Per la prima volta, Emily provò un senso di trionfo. Dato che non viveva a Sunset Harbor da molto, Owen suo padre non l’aveva conosciuto prima di lei, né lo conosceva da più tempo di lei, né meglio di lei. C’erano persone lì che erano solo di Emily, che non erano macchiate dalla sgradevolezza di quel passato condiviso.

      “Owen mi aiuta con il canto,” disse Chantelle.

      “Oh, canti?” fece Roy. “Mi fai sentire qualcosa?”

      “Magari dopo,” si intromise Emily. “Chantelle mi ha promesso che oggi avrebbe messo in ordine tutti i suoi giocattoli.”

      “Non posso farlo dopo?” si lagnò Chantelle.

      Chiaramente voleva stare ancora un po’ con nonno Roy, ed Emily non poteva fargliene una colpa. In superficie era un gigante gentile, un tipo alla Babbo Natale. Ma Emily non poteva tenersi stampato in viso un sorriso finto per sempre solo per il bene di Chantelle. Era ora che lei e suo padre affrontassero una conversazione tra adulti.

      Emily fece di no con la testa. “Perché non lo fai adesso così da avere tutto il giorno per giocare con nonno Roy? Che ne dici?”

      Chantelle cedette e lasciò la stanza sbattendo un po’ i piedi.

      “Hai aperto il bar,” notò Roy guardando la rivendita clandestina ormai brillante. Pareva impressionato dal modo in cui Emily aveva mantenuto l’atmosfera del posto come aveva fatto lui, come un omaggio ai tempi andati. “Lo sai che è tutto originale.”

      Annuì. “Lo immaginavo. Eccetto le bottiglie di liquori.”

      Senza Chantelle a smorzare la situazione, tra loro nacque della tensione. Emily indicò il sofà.

      “Ci sediamo?”

      Roy annuì e si accomodò. Il viso aveva perso ogni colore, come se avesse percepito che era venuta l’ora di regolare i conti.

      Però, prima che Emily ne avesse modo, Daniel comparve con un vassoio con caffè, crema, zucchero e tazze. Lo sistemò sul tavolino. Crebbe il silenzio mentre versava la bevanda.

      Roy si schiarì la voce. “Emily Jane, se hai delle domande, puoi pormele.”

      La capacità di Emily di mantenersi cortese e cordiale si ruppe. “Perché mi hai lasciata?” scoppiò.

      Daniel sollevò di scatto la testa dalla sorpresa. Sgranò gli occhi. Probabilmente prima non si era accorto che la gioia che Emily aveva provato alla vista di Roy le aveva fatto emergere anche la rabbia che aveva covato per tutto il giro della casa. Allora si alzò.

      “È meglio che vi lasci un po’ soli,” disse cortesemente.

      Emily alzò lo sguardo su di lui. Era così in imbarazzo lì in piedi, come se avesse invaso improvvisamente una questione privata, ed Emily si sentì un po’ in colpa per aver inacidito la conversazione così velocemente in sua presenza, senza dargli la possibilità di trovare un modo un po’ più gentile di andarsene.

      “Grazie,” gli disse mentre Daniel si precipitava fuori dalla stanza.

      Tornò a guardare suo padre. Roy sembrava ferito dal suo evidente dolore, ma respirava con calma e la guardava con occhi gentili.

      “Ero distrutto, Emily Jane,” cominciò. “Dopo la perdita di Charlotte ero un uomo distrutto. Bevevo. Avevo delle relazioni. Mi ero alienato i miei amici di New York finché non sono più riuscito a sopportare di stare lì. Io e tua madre ci siamo lasciati, anche se c’era da aspettarselo. Sono venuto qui per ricostruire la mia vita.”

      “Solo che non l’hai fatto,” rispose con veemenza Emily. “Sei scappato. Mi hai lasciata.”

      Sentiva le lacrime pungerle gli occhi. Anche gli occhi di suo padre si stavano facendo rossi e annebbiati. Abbassò lo sguardo, con vergogna.

      “Stavo ignorando le cose,” disse con tristezza. “Pensavo di poter fingere che andasse tutto bene. Anche se erano passati anni dalla morte di Charlotte, non mi ero mai permesso di provare qualcosa. Non sono mai andato in camera vostra – ti ho trasferita in un’altra stanza, se ti ricordi.”

      Emily annuì. Ricordava come fosse ieri quando suo padre aveva bloccato l’accesso a parti della casa, proibendole certe zone durante i soggiorni estivi – il belvedere, il secondo piano, i garage, il suo studio, il seminterrato – finché lei quasi non si era dimenticata tutto quanto: la loro esistenza o quel che contenevano. Si ricordava il suo comportamento sempre più eccentrico, la sua ossessione di collezionare antichità che a lei pareva non tanto un hobby quanto una compulsione, il suo accumulare tutto. Ma più di tutto si ricordava la diminuzione dei contatti, il fatto di trascorrere sempre meno tempo con lui nel Maine finché non ebbe compiuto quindici anni e, un’estate, lui non tornò più per venirla a prendere. Quella era stata l’ultima volta che l’aveva visto.

      Emily voleva essere comprensiva nei confronti delle azioni del padre. Ma anche se una parte di lei capiva che si era trattato di un uomo distrutto che un giorno era crollato, al tormento che le sue azioni le avevano procurato non potevano essere date spiegazioni.

      “Perché non sei venuto a dirmi addio?” disse Emily – le lacrime le scendevano per le guance in fiumi. “Come hai potuto andartene così?”

      Anche Roy sembrava farsi sopraffare dall’emozione. Emily si accorse che gli tremavano le mani. Le labbra gli fremettero quando parlò. “Mi dispiace tanto. Quella decisione mi ha perseguitato.”

      “Ha perseguitato te?” esclamò Emily. “Io non sapevo se eri vivo o morto! Mi hai lasciata lì a chiedermelo, senza risposta. Hai idea di come una cosa del genere riduca una persona? Tutta la mia vita era in pausa a causa tua! Perché tu sei stato troppo codardo da dirmi addio!”

      Roy prese le sue parole come ripetuti pugni in viso. Aveva un’espressione così dolente che sembrava che davvero lo avesse colpito fisicamente.

      “È stato imperdonabile,” disse, con appena più di un sospiro. “Quindi non cercherò di giustificarmi.”

      Emily sentì il cuore battere furiosamente in petto. Era accecata dalla rabbia. Tutte le emozioni degli anni passati le esplosero fuori con la forza di uno tsunami.

      “Hai almeno pensato a quanto mi avrebbe fatto soffrire?” esclamò con la voce che si alzava ulteriormente di tonalità e di volume.

      Roy pareva colto dall’ansia, aveva tutto il corpo teso, la faccia contorta dal rimorso. Emily era contenta di vederlo così. Voleva che soffrisse quanto aveva sofferto lei.

      “All’inizio no,” confessò. “Perché non pensavo lucidamente. Non riuscivo a pensare a niente e a nessuno tranne che a me stesso, al mio dolore. Pensavo che senza di me saresti stata meglio.”

      Allora crollò, sobbalzando dai singhiozzi e tremando dall’emozione. Vederlo così fu un’accoltellata al cuore. Emily non voleva vedere suo padre crollare e andare in pezzi sotto i suoi occhi, ma lui doveva sapere. Non sarebbero andati avanti, non avrebbero riparato nulla senza tirare fuori tutto quanto.

      “Quindi hai pensato che andandotene mi avresti fatto un favore?” disse brusca Emily incrociando le braccia sul petto con fare protettivo. “Ti rendi conto di quanto sia folle?”

      Roy piangeva amaramente col volto coperto dalle mani. “Sì. Ero fuori di me all’epoca. Lo sono rimasto per moltissimo tempo. Quando mi sono accorto del danno che avevo fatto era passato troppo tempo. Non sapevo come tornare al passato, come riparare il dolore.”

      “Non ci hai neanche provato,” lo accusò Emily.

      “Sì che ci ho provato,” disse Roy – il tono lagnoso che aveva seccava Emily ancora di più. “Tantissime volte. Sono tornato nella casa in diverse occasioni, ma ogni volta il senso di colpa per quello che avevo fatto mi soffocava. C’erano troppi ricordi. Troppi fantasmi.”

      “Non dirlo,” rimbeccò Emily mentre con la mente andava subito alle immagini di Charlotte

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