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scena che aveva davanti. Emily riusciva a leggere bene tutte le domande che aveva negli occhi. Chi è quest’uomo? Perché Emily piange? Perché lui è qui? Che succede?

      “Chantelle, tesoro,” disse Emily allungando un braccio. “Vieni qui.”

      Emily vide nell’esitazione di Chantelle una timidezza insolita.

      “Non c’è niente di cui aver paura,” aggiunse.

      Chantelle fece qualche passo verso Emily. “Perché mi guarda così?” disse in un sospiro che Roy sentì perfettamente.

      Emily guardò il padre. Aveva gli occhi umidi colmi di confusione. Si asciugò le ciglia.

      “Hai una figlia?” balbettò alla fine, con voce grossa di emozione.

      “Sì,” disse Emily andando da Chantelle e tirandosela sul fianco, in un mezzo abbraccio. “Be’, è figlia di Daniel. Ma la cresco come farebbe una madre.”

      Chantelle si aggrappò a Emily. “Mi porta via?” le chiese.

      “Oh, no, no, tesoro!” esclamò Emily. “Lui è mio padre. Tuo nonno.” Allora voltò lo sguardo per incontrare gli occhi di suo padre. “Nonno Roy?” suggerì.

      Lui annuì immediatamente. Sembrava rapito dalla bambina – gli occhi celesti brillavano di curiosità.

      “Le somiglia tantissimo,” disse.

      Emily capì immediatamente quel che voleva dire. Che Chantelle somigliava a Charlotte. Per forza aveva pensato che fosse figlia di Emily; talvolta anche lei faticava a credere che non fossero le caratteristiche genetiche di Charlotte quelle che si potevano leggere su Chantelle.

      “Lo vedo anch’io,” confessò.

      “Assomiglio a chi?” chiese Chantelle.

      Emily pensò che la risposta fosse troppo per la bambina. Voleva chiudere subito la questione. Anche se si sentiva un agnellino indifeso sapeva che doveva farsi avanti e prendere il comando.

      “A qualcuno che molto tempo fa conoscevamo, tutto qui,” disse. “Vieni; nonno Roy deve conoscere papà.”

      D’un tratto Chantelle si illuminò. “Lo chiamo io.” Disse raggiante tornando dentro saltellando.

      Emily sospirò. Capiva perché suo padre fosse così scioccato da Chantelle, ma qualcuno che la fissasse così – come fosse un fantasma – era l’ultima cosa di cui aveva bisogno la bambina.

      “Sicura che non sia tua figlia biologica?” chiese Roy nell’istante in cui Chantelle fu sparita.

      Emily fece di no con la testa. “Lo so, è folle. È anche sensibile come lei. E gentile. Divertente. Creativa. Non vedo l’ora che tu la conosca.” Allora le si bloccò la voce, dall’improvviso timore che Roy non sarebbe rimasto, che fosse solo una visita rapidissima. Forse lei non doveva neanche sapere che lui sarebbe venuto. Forse aveva pianificato di evitarla del tutto, di entrare e uscire prima che lei avesse modo di accorgersi che era tornato, come con i suoi viaggetti segreti sulla vecchia auto di cui Trevor era stato testimone dalla finestra. Si massaggiò dietro l’orecchio a disagio. “Cioè, se hai tempo.”

      “Ho tempo.” annuì Roy, e gli apparve un piccolo sorriso sulle labbra.

      Proprio allora tornò Chantelle, trascinandosi dietro Daniel. Lui si fermò sulla soglia e osservò Roy.

      “Nonno Roy?” disse sollevando le sopracciglia, evidentemente ripetendo il nome che Chantelle gli aveva innocentemente detto.

      Emily vide lo sguardo che si scambiarono e si ricordò di quanto Daniel le aveva detto su quell’estate in cui era un ragazzino e aveva bisogno di un amico, e di come Roy fosse stato lì per lui, lo avesse aiutato a tornare sui binari. In quel momento Emily comprese che il ritorno di Roy a Sunset Harbor aveva per Daniel quasi lo stesso significato che aveva per lei.

      Roy porse a Daniel la mano. Ma, con sorpresa di Emily, Daniel la prese per poi stringerlo in un caldo abbraccio. Emily provò una strana fitta al petto, un’emozione particolare che stava tra la gioia e il dolore.

      “Credo che Daniel tu lo conosca già,” disse Emily, ancora con voce rotta.

      “Sì,” rispose Roy mentre Daniel lo lasciava, prendendolo invece per le spalle. Sembrava sopraffatto dall’emozione, sul sottile confine tra le lacrime di gioia e la risata di sollievo.

      “Ci sposiamo,” aggiunse Emily, in modo un po’ sciocco.

      “Lo so,” disse Roy con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. “Ho letto l’email che mi hai mandato. Sono contentissimo.”

      “Entri?” chiese Daniel a Roy, piano.

      “Se posso,” rispose Roy, come temendo di poter non essere riaccettato nella vita di Emily.

      “Ma certo!” esclamò Emily. Gli strinse forte la mano nel tentativo di comunicargli che andava tutto bene, che lì era voluto, accettato, che il suo ritorno per lei era un’occasione gioiosa.

      Il viso di Roy assunse le linee del sollievo. Si rilassò visibilmente, come se un ostacolo che aveva avuto paura di affrontare fosse stato superato.

      Oltrepassando la soglia, Emily improvvisamente capì che la casa che suo padre aveva abbandonato più di vent’anni prima non somigliava per niente a quella di un tempo. Era subentrata lei, l’aveva cambiata completamente, l’aveva trasformata da una casa di famiglia a una locanda. Si sarebbe arrabbiato?

      “Abbiamo fatto qualche cambiamento,” disse rapidamente.

      “Emily Jane,” rispose suo padre con voce gentile e ferma, “Lo so che vivi qui. Che adesso è una locanda. Va bene. Sono contento per te.”

      Emily annuì, ma si sentiva ancora ansiosa all’idea di farlo entrare. Chantelle aprì la fila, e uno alla volta entrarono nell’atrio della reception, Roy ultimo della coda, con passo più lento e rigido di quanto Emily ricordasse.

      Si fermò nell’atrio e si guardò intorno a bocca aperta dalla sorpresa e dalla meraviglia. Quando vide la scrivania della reception sgranò gli occhi.

      “È…?”

      “La stessa che hai venduto a Rico?” disse Emily. “Sì.”

      La locanda in origine era una pensione, prima che i proprietari la abbandonassero. La storia di Roy nella casa rispecchiava quella di Emily al contrario. Lui aveva voluto che diventasse una casa per una famiglia, un rifugio per le vacanze estive. Emily l’aveva ritrasformata in una pensione, in un’attività.

      “Non ci credo che l’abbia tenuta per tutti questi anni,” disse sorpreso, continuando a fissare la scrivania. Poi portò lo sguardo su Emily. “Ti ricordi il giorno in cui gliel’ho venduta?”

      Emily scosse la testa silenziosamente.

      “Non volevi proprio che la vendessi,” disse con una risatina. “Avevi messo una Barbie in ogni cassetto. Avevi detto che era l’ospedale delle bambole.”

      “Credo di ricordarmelo, in effetti,” rispose Emily con un po’ di malinconia.

      “Rico è stato gentilissimo,” aggiunse Roy. “Ti ha aiutata a ‘trasferire’ le tue ‘pazienti’ in un altro posto. Credo che tu abbia scelto la credenza sotto al lavandino.” Si fece anche lui un po’ pensieroso, e distolse l’attenzione dalla reception per tornare al rinnovo dei locali. “È davvero incredibile. Hai fatto un lavoro fantastico.”

      L’orgoglio che gli sentiva nella voce le diede una scossa al cuore. Quel momento era molto più di quanto si aspettasse. Era perfetto.

      “Vuoi fare un giro?” chiese.

      Roy annuì. Emily lo condusse prima in cucina. Lì sentirono abbaiare i cani dalla lavanderia.

      “Non so di che cosa occuparmi prima,” esclamò Roy osservando la cucina rimessa completamente a nuovo, con gli elettrodomestici e le decorazioni retrò. “Della meravigliosa

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