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Delo e Tano notò che la strada scelta era in mezzo a una delle parti più belle della città, con viali alberati e case nobiliari, lontano dai quartieri peggiori. Forse stavano solo cercando di restare nella zona più sicura. O forse pensavano che nobili come Tano e Stefania non avrebbero gradito di vedere la miseria.

      Presto si trovarono davanti le torreggianti mura del castello. Le guardie fecero strada attraverso i cancelli e gli artieri presero i loro cavalli. La passeggiata all’interno del castello apparve più confinata e circoscritta, con un sacco di guardie che li circondavano negli spazi angusti dei corridoi del castello. Stefania prese la mano di Tano e lui la strinse con delicatezza per rassicurarla.

      Quando raggiunsero gli appartamenti reali, i membri della guardia del corpo del re sbarrarono loro la porta.

      “Il re desidera parlare con il principe Tano da solo,” disse una delle guardie.

      “Sono sua moglie,” disse Stefania con tono così freddo che secondo Tano avrebbe fatto spostare da parte all’istante la maggior parte delle persone.

      La cosa però non sembrò avere alcun effetto sulle guardie. “Non se ne parla.”

      “Andrà tutto bene,” disse Tano.

      Quando entrò, il re lo stava aspettando. Re Claudio stava in piedi appoggiato a una spada la cui elsa aveva la forma dei tentacoli sinuosi di un mostro marino. Gli arrivava quasi al petto e Tano non aveva alcun dubbio che la lama fosse affilata come un rasoio. Udì lo scatto della porta che si chiudeva alle sue spalle.

      “Lucio mi ha raccontato ciò che hai fatto,” disse il re.

      “Ero certo che sarebbe venuto di corsa da te,” rispose Tano. “Ha anche detto cosa stava facendo lui quando sono arrivato?”

      “Stava facendo ciò che gli era stato ordinato,” rispose seccamente il re, “in modo da gestire la ribellione. Eppure tu sei andato lì ad attaccarlo. Hai ucciso i suoi uomini. Dice che l’hai sconfitto con l’inganno e che l’avresti anche ucciso se Stefania non fosse intervenuta.”

      “Come può il massacro dei paesani fermare la ribellione?” ribatté Tano.

      “Sei più interessato ai paesani che alle tue stesse azioni,” disse re Claudio. Sollevò la spada come a volerla soppesare. “Attaccare il figlio del re è un atto di tradimento.”

      “Sono io il figlio del re,” gli ricordò Tano. “Non hai fatto uccidere Lucio quando ha tentato di farmi fuori.”

      “La tua nascita è l’unico motivo per cui sei ancora in vita,” rispose re Claudio. “Sei mio figlio, ma lo è anche Lucio. Non ti è concesso di minacciarlo.”

      La rabbia allora crebbe in Tano. “Non ho nulla che si veda. Neanche il riconoscimento di chi sono.”

      C’erano delle statue in un angolo della stanza, raffiguranti famosi antenati della linea reale. Erano in disparte, quasi nascoste, come se il re non volesse ricordarsi di loro. Ad ogni modo, Tano le indicò.”

      “Lucio può guardare quelle statue e può proclamare la sua autorità facendola risalire ai tempi in cui l’Impero è sorto,” disse. “Può arrogarsi i diritti di tutti coloro che hanno avuto il trono quando gli Antichi se ne sono andati da Delo. E io cosa ho? Dei vaghi pettegolezzi riguardo alla mia nascita? Immagini distorte di genitori che non sono neanche sicuro siano reali?”

      Re Claudio andò fino al punto della sua stanza dove si trovava il suo trono. Vi si sedette posandosi la spada che teneva in mano sulle ginocchia.

      “Hai un posto di tutto rispetto a corte,” disse.

      “Un posto di tutto rispetto?” rispose Tano. “Ho il posto da principe avanzato che nessuno vuole. Lucio può anche aver tentato di uccidermi ad Haylon, ma sei stato tu a mandarmi lì.”

      “La ribellione deve essere schiacciata, ovunque si trovi,” ribatté il re. Tano lo vide accarezzare la lama della spada con il pollice. “Dovevi impararlo.”

      “Oh, l’ho imparato,” disse Tano avanzando e portandosi di fronte a suo padre. “Ho imparato che preferiresti sbarazzarti di me che riconoscermi. Sono il tuo figlio primogenito. Secondo la legge del regno, dovrei essere il tuo erede. Il figlio primogenito è sempre stato l’erede fin dalla nascita di Delo.”

      “Il primogenito sopravvissuto,” disse il re sottovoce. “Pensi che saresti vissuto se la gente avesse saputo?”

      “Non fingere di avermi protetto,” rispose Tano. “Stavi proteggendo te stesso.”

      “Meglio che passare il tempo a combattere per conto della gente che neanche se lo merita,” disse il re. “Sai cosa dai a vedere quando te ne vai in giro a proteggere paesani che dovrebbero sapere qual è il loro posto?”

      “Do a vedere che qualcuno si preoccupa per loro!” gridò Tano. Non poté trattenersi dall’alzare la voce, perché sembrava l’unico modo di impressionare suo padre. Forse se fosse riuscito a farglielo capire, allora l’Impero sarebbe finalmente potuto cambiare in meglio. “Do a vedere che i loro governatori non sono dopotutto dei nemici mandati ad ucciderli, ma gente da rispettare. Come se le loro vite contassero qualcosa per noi, piuttosto che essere qualcosa da gettare da parte mentre ce la spassiamo in feste scintillanti!”

      Il re rimase in silenzio a lungo. Tano poteva vedere la furia nei suoi occhi. Andava bene. Combaciava con la rabbia che lui stesso provava.

      “Inginocchiati!” disse re Claudio alla fine.

      Tano esitò solo per un secondo, ma apparentemente fu sufficiente.

      “Inginocchiati!” tuonò il re. “O vuoi che te lo faccia fare io? Sono sempre il re, qui!”

      Tano si inginocchiò sul duro pavimento di pietra davanti al trono del re. Vide il re sollevare la spada che teneva con difficoltà, come se non facesse quel gesto da lungo tempo.

      I pensieri di Tano andarono alla spada che portava al fianco. Non aveva dubbio che se fossero giunti a uno scontro, il vincitore sarebbe stato lui. Era più giovane, più forte e si era allenato con il meglio che l’arena avesse da offrire. Ma questo avrebbe significato uccidere suo padre. Più di tutto il resto, sarebbe stato quello il vero tradimento.

      “Ho imparato molte cose nella mia vita,” disse il re tenendo alta la spada. “Quando avevo la tua età ero come te, ero giovane, ero forte, combattevo, e combattevo bene. Ho ucciso molti uomini in battaglia e in duelli nell’arena. Ho cercato di combattere per tutto ciò che credevo essere giusto.”

      “Cosa ti è successo?” chiese Tano.

      Le labbra del re si incurvarono in un ghigno. “Ho imparato qualcosa di meglio. Ho imparato che se dai loro una possibilità, la gente non si unisce per sostenerti. Cercano invece di farti a pezzi. Ho tentato di mostrare compassione, e la verità è che non è altro che follia. Se un uomo si oppone a te, allora distruggilo, perché se non lo fai, sarà lui ad eliminarti.”

      “Oppure fallo tuo amico,” disse Tano, “e lui ti aiuterà a rendere le cose migliori.”

      “Amici?” re Claudio alzò la spada ancor più. “Gli uomini potenti non hanno amici. Hanno alleati, servitori e parassiti, ma non pensare per un solo momento che non ti si rivolteranno contro. Un uomo ragionevole li tiene al loro posto, oppure li vede insorgere contro di lui.”

      “Il popolo merita di meglio,” insistette Tano.

      “Pensi che il popolo ottenga ciò che si merita?” gridò re Claudio. “Ottengono quello che si prendono! Stai parlando come se pensassi che le persone del popolo sono tutte nostri pari. Non lo sono. Noi siamo cresciuti fin dalla nascita per governarli. Siamo più educati, più forti, migliori in ogni aspetto. Vuoi mettere gli allevatori di maiali nei castelli accanto a te, e io invece voglio mostrati quanto appartengano al loro porcile. Lucio capisce.”

      “Lucio capisce solo la crudeltà,” disse Tano.

      “E la crudeltà è quello che serve per governare!”

      Tano

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