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ordinò Lucio.

      I suoi uomini ubbidirono e scattarono. Uno andò verso Tano puntandogli una lancia in faccia. Tano la deviò con lo scudo tagliando la punta dell’arma con la sua spada e poi dando un calcio all’uomo, facendolo cadere in terra. Ne trafisse un altro che correva verso di lui, colpendolo sulle spalle, tra le lamine dell’armatura, ed estraendo poi di nuovo la sua spada.

      Si costrinse ad avanzare attraverso i pressanti avversari. Lucio stava ancora avanzando verso la vittima prescelta. Tano fece roteare la spada contro uno dei malviventi di Lucio e avanzò poi velocemente mentre il colpo sprigionava un suono metallico.

      Lucio afferrò il suo scudo.

      “Sei prevedibile, Tano,” gli disse. “La compassione è sempre stata la tua debolezza.”

      Tirò con forza tale che Tano si trovò trascinato giù dalla sella. Rotolò in tempo per evitare un colpo di spada e liberò il braccio dallo scudo. Prese la propria spada con due mani mentre gli uomini di Lucio lo accerchiavano di nuovo. Vide il suo cavallo scappare, e questo significava che ora aveva perso il vantaggio dell’altezza.

      “Uccidetelo,” disse Lucio. “Diremo che sono stati i ribelli.”

      “Sei bravo a provarci, vero?” ribatté Tano. “È un peccato che tu non sia abbastanza bravo a finire il tuo lavoro.”

      Uno degli uomini di Lucio lo attaccò facendo roteare una mazza chiodata. Tano avanzò nell’arco del tiro tagliando diagonalmente, poi ruotò con la spada tesa per tenere a bada gli altri.

      Arrivarono rapidi, come se sapessero che nessuno di loro poteva sperare di sconfiggerlo singolarmente. Tano lasciò loro terreno mettendo la schiena contro il muro della casa più vicina in modo che i suoi nemici non potessero circondarlo. Ora c’erano tre uomini vicino a lui, uno con un’ascia, uno con una spada corta e uno con una lama curva simile a una falce.

      Tano teneva vicina la sua spada, guardandoli e non volendo dare a nessuno di quei mercenari la possibilità di colpire la sua spada in modo che gli altri scivolassero avanti.

      L’uomo alla destra di Tano cercò di colpire con la sua spada corta. Tano lo parò in parte, sentendo il tintinnio della sua armatura. Un certo istinto lo fece ruotare e abbassare, giusto in tempo perché l’ascia dell’uomo alla sua sinistra gli passasse sopra alla testa. Tano colpì ad altezza di caviglia per far cadere l’avversario, poi girò la lama e colpì all’indietro, sentendo il grido del primo uomo che vi finiva contro.

      Quello con la lama curva attaccò con maggior cautela.

      “Attaccatelo! Uccidetelo!” gridava Lucio, ovviamente impaziente. “Oh, lo faccio da me.”

      Tano parò il colpo del principe quando si unì al combattimento. Dubitava che Lucio l’avrebbe fatto se non ci fosse stato un altro uomo lì ad aiutarlo, e forse ce ne sarebbero stati altri nel corso della lotta. A dire il vero tutto ciò che Lucio doveva fare era tardare le cose, e Tano avrebbe potuto trovarsi sommerso da un considerevole numero di soldati.

      Quindi Tano non aspettò. Invece attaccò. Tirò un colpo dopo l’altro, alternandosi tra Lucio e il mascalzone che Lucio si era portato dietro, costruendo così una sorta di ritmo. Poi improvvisamente fece una pausa. L’uomo con la falce parò un colpo inesistente. Tano si lanciò nello spazio rimasto e la testa dell’uomo volò.

      Fu addosso a Lucio in un istante, lama contro lama. Lucio gli tirò un calcio, ma Tano si spostò di lato allungandosi verso l’elsa della spada di Lucio e afferrandola. Tano tirò verso l’alto e strappò la spada dalla mano di Lucio, poi colpì lateralmente. La sua spada andò a sbattere contro il pettorale di Lucio. Lucio sguainò un pugnale e Tano spostò la spada nell’altra mano facendola roteare in basso con dalla parte dell’elsa in modo che la guardia si impigliasse dietro al ginocchio di Lucio.

      Tano tirò e Lucio cadde a terra. Tano diede un calcio al pugnale che teneva in mano facendolo volare con forza.

      “Dimmi di nuovo questa storia della compassione che è la mia debolezza,” disse Tano tenendo la punta della sua spada sospesa sulla gola di Lucio.

      “Non lo farai,” disse Lucio. “Stai solo cercando di spaventarmi.”

      “Spaventarti?” chiese Tano. “Se pensassi che spaventarti funzionasse, ti avrei spaventato a morte anni fa. No, ho intenzione di mettere fine a questa faccenda.”

      “Mettere fine?” disse Lucio. “Questa faccenda non può finire, Tano. Non fino a che non avrò vinto.”

      “Dovrai aspettare un sacco allora,” gli assicurò Tano.

      Sollevò la spada. Doveva farlo. Lucio doveva essere fermato.

      “Tano!”

      Tano si girò sentendo la voce di Stefania. Con suo stupore la vide avvicinarsi, avanzando a rapido galoppo. Era vestita da amazzone, in modo ben diverso dal suo stile solitamente così elegante, e da come gli abiti apparivano stropicciati si intuiva che doveva esserseli messi addosso in fretta e furia.

      “Tano, no!” gridò mentre si avvicinava.

      Tano strinse la spada con maggior forza. “Dopo tutto quello che ha fatto, non pensi che lo meriti?”

      “Non si tratta di cosa meriti o meno,” disse Stefania smontando da cavallo e portandosi acanto a lui. “Qui parliamo di cosa meriti tu. Se lo uccidi, ti faranno fuori per questo. Funziona così, e io non ho intenzione di perderti a questo modo.”

      “Ascoltala Tano,” disse Lucio, sempre steso a terra.

      “Taci,” disse Stefania. “O vuoi incitarlo ad ucciderti?”

      “Bisogna fermarlo,” disse Tano.

      “Non così,” insistette Stefania. Tano sentì la sua mano sul proprio braccio che spingeva via la spada. “Non facendoti ammazzare tu stesso. Hai giurato che saresti stato mio per il resto della nostra vita insieme. Pensavi davvero che potesse essere così breve?”

      “Stefania,” iniziò Tano, ma lei non gli permise di concludere il discorso.

      “E io?” gli chiese. “In che pericoli mi troverò se mio marito uccide l’erede al trono? No, Tano. Fermati. Fallo per me.”

      Se qualsiasi altra persona gliel’avesse chiesto, Tano avrebbe potuto anche andare avanti con la sua intenzione. C’era troppo in ballo. Ma non poteva mettere a rischio Stefania. Conficcò la spada in terra, mancando la testa di Lucio di un centimetro. Lucio stava già rotolando via e si mise subito a correre verso un cavallo.

      “Te ne pentirai!” gridò Lucio. “Ti prometto che te ne pentirai!”

      CAPITOLO CINQUE

      Tano vide le guardie che lo attendevano lungo la strada che conduceva alle porte della città quando lui e Stefania tornarono a casa. Sollevò il mento e continuò ad avanzare a cavallo. Se l’era aspettato. E non sarebbe scappato.

      Ovviamente anche Stefania li notò. Tano la vide irrigidirsi sulla sella, passando da rilassata a misurata e formale in un attimo. Era come se una maschera fosse scivolata a ricoprile i tratti del viso e Tano si trovò automaticamente ad allungarsi facendo scivolare una mano sopra alla sua mentre teneva le redini.

      Le guardie incrociarono le alabarde per sbarrare il passaggio mentre si avvicinavano e Tano fermò il cavallo. Lo tenne tra Stefania e le guardie, in caso Lucio avesse in qualche modo istruito gli uomini perché lo attaccassero. Vide un ufficiale farsi avanti uscendo dal gruppo di guardie e salutare.

      “Principe Tano, bentornato a Delo. Io e i miei uomini abbiamo avuto ordine di accompagnarvi dal re.”

      “E se mio marito non volesse venire con voi?” chiese Stefania con tono che avrebbe potuto comandare l’intero Impero.

      “Mi perdoni mia signora,” disse l’ufficiale, “ma il re ci ha dato chiari ordini.”

      Tano sollevò una mano prima

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