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Era un uomo che io percepivo come “raro” attraverso i miei occhi e i miei sensi. Al ristorante era servita una colazione internazionale. C’erano tante di quelle cose da mangiare da poter sfamare un esercito intero quel giorno. John prese un caffè americano che macchiò leggermente con del latte freddo. Io mi gettai su qualche cosa di più sostanzioso: confetture varie con pane e burro, frutta fresca, bacon, salsicce e formaggi. Tutto ciò era accompagnato da abbondante succo d’arancia concentrato. John mi guardava sorpreso.

      «Che cos’ha da guardarmi in quel modo?», chiesi mentre il calore divampava sul mio collo. Immaginavo il rossore che stava ricoprendo il mio viso in quel preciso momento. Esprimevo sempre inconsciamente le mie emozioni attraverso i riflessi incontrollabili del mio corpo. Non avevo nascosto molto della mia vita alle persone. Solo il mio segreto più grande non era mai andato oltre le mura di casa nostra, se non fosse stato per le diverse decine di strizzacervelli che avevano avuto modo di esercitare la loro scienza su di me, per pura scelta e desiderio di mia madre.

      «Noto con grazia il suo apprezzamento per i piaceri e le delizie della tavola. E’ tipico per un italiano, lo sa?», mi rispose sorridendo. Si stava prendendo gioco di me, era evidente.

      «Che cosa intende dire con questo? Ieri sera sono rimasta a digiuno, ho bevuto solo del caffè e poi sono andata a dormire. E’ logico, umano e fisico avere fame! E cosa c’entrano gli italiani in tutto questo?». Voleva la guerra? Ero pronta a combattere ad armi pari! La mia forchetta con un pezzo di salsiccia infilzato rimase per un bel po’ sospesa a mezz’aria, sorretta dalla mia mano che non sapeva più decidere se riportarla nel piatto o verso la bocca.

      «Ieri sera, quando le chiesi se aveva già cenato, mi ha risposto che non era solita mangiare tanto prima di andare a letto. Ho preso atto delle sue parole e non mi sono permesso di insistere oltremodo per offrirle uno spuntino. Le chiedo scusa, forse avrei dovuto seguire di più il mio istinto. Riguardo agli italiani, ha presente quelle comitive che partono dalle grandi città per una vacanza fuori dalle loro mura domestiche, acquistando i pacchetti completi di vitto e di alloggio? Non lasciano cadere nemmeno una briciola di pane dalla loro tavola. Con la scusa di aver già pagato tutto, si abbuffano come porci e ingrassano al punto da non riconoscersi più al loro ritorno a casa».

      Non potevo trattenere le risate mentre, nel frattempo, avevo ripreso a mangiare con gusto. Quell’uomo mi divertiva, mi sentivo bene con lui. Cominciai a pensare che forse avrei dovuto condividere con lui la mia situazione e l’obiettivo primario della mia visita. Tuttavia non avrei di certo preteso aiuto da parte sua. Così come, di certo, non l’avrei rifiutato qualora me l’avesse offerto di sua spontanea volontà.

      «E lei cosa ne sa di come si comportano gli italiani? Non sono poi tutti uguali. Secondo me, caro John, lei ha in mente lo stereotipo dell’italiano zoticone e rumoroso, gran mangiatore di pizza e spaghetti, che suona il mandolino e che è pronto a fregare il prossimo alla prima svista. Dico bene?», lo stuzzicai per poi affondare il colpo di grazia, «Gli italiani poi sono grandi amatori, lo sa questo vero?». Scoppiai a ridere, mentre lui posava la sua tazza ormai vuota, mostrava uno sguardo severo.

      «Che ne dice se procediamo al check-out e ci avviamo? La strada è lunga. Vedo che non ha con sé la sua valigia», rispose, piuttosto imbarazzato dalla mia ultima frecciata che, indubbiamente, doveva aver colto nel segno.

      «Si John, gli italiani fanno l’amore davvero bene! Se lo ricordi questo, sempre. Vado a prendere la mia valigia, ci vediamo qui tra pochi minuti, se non incontrerò un italiano in ascensore», replicai strizzando l’occhio come farebbe una ragazzina impertinente contenta di fare un dispetto a un contendente.

      «Katherine!», mi chiamò, «Dovrebbe indossare qualche cosa di più caldo, confortevole e appropriato prima di uscire. Nel Wallowa fa molto freddo, soprattutto in questi giorni, non vorrei che si ammalasse». Aveva vinto lui ancora una volta. Con la sua compostezza, con la sua serietà e gentilezza, era riuscito letteralmente a trainarmi lungo la sua strada. Ora ero io a seguirlo e lo facevo con piacere e con estrema gratitudine. Aveva pensato a me, perché io non mi ammalassi, a disprezzo delle battutacce da ragazza sboccata che avevo appena pronunciato e che, in un certo senso, dovevano averlo toccato profondamente. Dovevo riparare al mio errore. “Ma io ho fatto tutto questo per lei, John!”, fui in procinto di dire, ma mi trattenni giusto in tempo per evitarmi un’altra figuraccia, ne avevo già commesse abbastanza in una sola ora della giornata. Inoltre sapevo benissimo che l’avevo fatto principalmente per me, per nascondere un mio difetto, non c’era nessuna traccia di altruismo nel mio gesto. Con un cenno del capo confermai di aver accolto il suo suggerimento ed entrai in ascensore. John si era avvicinato e prima che le porte si richiudessero mi sorrise, mentre mi guardava con espressione rilassata e giocosa.

      «Non vedo italiani nell’ascensore Katherine. Bene, allora può salire». Scoppiai a ridere e non riuscii a fermarmi se non prima di essere rientrata nella mia stanza.

      Indossai il mio maglione di lana a collo alto, presi il bagaglio e tornai nella hall. John mi attendeva vicino alla porta dell’ascensore. Mi fermai lasciando la valigia per infilarmi il cappotto che portavo appeso al mio braccio, come sempre. John, senza dire nulla, prese la mia valigia e cominciò ad avviarsi, anticipandomi verso l’uscita dell’hotel.

      «Aspetti, devo saldare in conto della camera».

      «Già fatto, non si preoccupi. Possiamo andare, mi segua».

      «Ma ne è sicuro John?».

      «Mi chiede se son sicuro di aver pagato? Certo, la mia carta di credito è ancora calda», rispose sorridendomi.

      «No. Intendo dire se è sicuro di quello che sta facendo. Sono una perfetta sconosciuta per lei, non pensa?».

      «Non è vero! Ci siamo conosciuti ieri sera in aeroporto, abbiamo viaggiato insieme in macchina, abbiamo fatto colazione insieme questa mattina e poco ci mancava che non mi mostrasse completamente il suo seno con quella scollatura di poco fa. Ritiene ancora che lei ed io siamo dei perfetti sconosciuti?». Era disarmante nella sua semplicità espressiva, nella sua capacità di farmi sentire importante! Mi sentii talmente circuita che non riuscii a rispondere, se non in macchina, dopo essermi sistemata all’interno dell’abitacolo ancora freddo.

      «Si, siamo sconosciuti. Non vede che ci rivolgiamo l’uno all’altra con un freddo “lei”?», gli dissi, sperando di spalancare le porte a una maggiore confidenza tra di noi. La mia speranza fu subito ripagata.

      «Ben appunto, lo pensavo anch’io poco fa, mentre attendevo all’ascensore. Che ne direbbe di abbattere il muro e darci del “tu”?».

      «Va bene, con piacere», risposi mentre provavo davvero piacere nel dirlo, nel liberarmi da una costrizione che tendeva a frenarmi anche troppo.

      John mi guardava sempre dritto negli occhi quando mi parlava seriamente, come avevo potuto pensare di distrarlo con altri mezzi? Avevo l’impressione sempre più forte di conoscere davvero quell’uomo da molto tempo.

      «L’auto è ancora fredda, ma tra poco si starà meglio. Ti dispiace se accendo il condizionatore d’aria per farla riscaldare prima?».

      «Assolutamente no, vedi tu ciò che è meglio fare».

      «Bene, noto che il gonfiore agli occhi sta effettivamente scomparendo. Ora sono tornati belli, come ieri sera».

      Gli sorrisi in silenzio e rimasi a osservare i morbidi lineamenti del suo profilo mentre, attento, conduceva l’auto sulla strada principale. Restammo in silenzio per un po’, mentre la radio trasmetteva musica classica in continuazione. Attraversammo il centro della città, Portland era già viva a quell’ora del mattino, le sue strade e i marciapiedi erano riempiti di gente che camminava a passo veloce, diretta chissà dove, chissà perché. Attraversammo il ponte sul fiume Willamette, era così bello con la neve, assumeva un fascino particolare. Osservavo fuori dal finestrino e catturavo tutte le immagini di quel paesaggio, cercando di capire se nella mia vita passata fossi già stata in quella zona. No, per me erano completamente nuove e per questo, forse, le apprezzavo ancora di più.

      «Allora, ti piace Portland?».

      «E’ una bella città e con la neve sembra davvero magica. E’ molto più tranquilla di New York ma sembra non farsi mancare proprio nulla. Penso non

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