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donne di Fiandra, tormentate per la stessa cagione da Tommaso Connette fanatico carmelitano, esse, come scrive il Paradis negli Annales de Bourgognereleverent leur cornes, et firent comme les lymaçons, lesquels quand ils entendent quelque bruit retirent et reserrent tout bellement leurs cornes; mais, le bruit passé, soudain ils les relevent plus grandes que devant44. E occasione a rilevarle, la venuta del duca d'Atene in Firenze nel 1342, e la “sformata mutazione d'abito„ portata da quei francesi.

      E qui vorrei indugiarmi a descrivervi il figurino d'allora, quando i giovani vestivano “una gonnella corta e stretta„ che per metterla occorreva l'“aiuto d'altrui„, cinta alla vita da una striscia di cuoio con ricca fibbia e puntale, con “isfoggiata scarsella alla tedesca„, con il cappuccio attaccato ad una corta mantellina e terminato in una punta o becchetto lungo infino in terra, per avvolgerlo al capo “per lo freddo„: e i cavalieri una guarnacca attillata, con le punte de' manicottoli strascicanti per terra, foderati di vaio, ed ermellini, de' quali le donne copiaron subito la singolare “stranianza„45. Ma gli affreschi del Memmi in S. Maria Novella, che ritraggono quelle fogge, sono a voi noti, anche per visite recenti, quando in un'occasione solenne tentaste di rinnovarle. A studio, dico tentaste, perchè l'eleganza moderna non può agguagliare la magnificenza signorile di que' drappi, di quelle vesti sontuose.

      La Prammatica del vestito del 1343, che conservavasi nell'Archivio della Grascia, di cui ottenni alcun estratto dalla cortesia d'un amico il quale ebbela fra mano, serba memoria di quegli splendidi abbigliamenti ch'eran colpiti dal rigor delle leggi e bollati con un marchio di piombo, avente sull'una e sull'altra faccia un mezzo giglio ed una mezza croce, a cura dei famigli di quei poveri “uficiali forestieri„, deputati dal Comune all'applicazione della legge. Eccovi descritto un capo di vestiario proibito, appartenente a donna Francesca moglie di Landozzo di Uberto degli Albizzi del popolo di San Pier Maggiore: “Un mantello nero di drappo rilevato col fondo di color giallo, con sopra uccellini, pappagalli, farfalle e rose bianche e vermiglie e molte altre figure vermiglie e verdi, e con trabacchi e dragoni, e con lettere e alberi gialli e neri e molte altre figure di diversi colori, foderato di drappo bianco con righe nere e vermiglie„. Nè basta: spesso erano anche motti, non soltanto lettere, impressi sui drappi.

      VII

      Ma di quell'Archivio stesso della Grascia e di quei disgraziati ufficiali, costretti a un cómpito così disumano, di quei poveri potestà e capitani, cavalieri, giudici, notai e famigli che dalle città guelfe di Lombardia e delle Marche venivano in Firenze a sostenere le parti di rettore, a contrastare nel loro rozzo dialetto, beffato dai novellieri borghesi, con le lingue arrotate delle donne e de' loro mariti, ancor si conserva un documento curioso. Chi non ricorda la novella46 di Franco Sacchetti, in cui narra le tribulazioni di “uno judice di ragione„, Messer Amerigo Amerighi da Pesaro, “bellissimo uomo del corpo„, e ancora “valentissimo della sua scienza„, il quale ebbe mandato, mentre Franco era de' Priori nella nostra città, di proceder sollecitamente ad eseguire certi “nuovi ordini„, al solito “sopra gli ornamenti delle donne?„ Il valente giudice si pone all'opera, e manda attorno il notaio, e i famigli, a fare inquisizioni; ma i cittadini vanno a' Signori e dicono “che l'officiale nuovo fa sì bene il suo officio, che le donne non trascorsono mai nelle portature come al presente fanno.„

      Or ecco la discolpa di Messer Amerigo: “Signori miei, io ho tutto il tempo della vita mia studiato, per apparar ragione; e ora, quando io credea sapere qualche cosa, io trovo che io so nulla; perocchè cercando degli ornamenti divietati alle vostre donne per gli ordini che m'avete dati, sì fatti argomenti non trovai mai in alcuna legge, come son quelli che elle fanno; e fra gli altri ve ne voglio nominare alcuni. E si truova una donna col becchetto frastagliato avvolto sopra il cappuccio. Il notaio mio dice: Ditemi il nome vostro, perocchè avete il becchetto intagliato. La buona donna piglia questo becchetto, che è appiccato al cappuccio con uno spillo e recaselo in mano, e dice ch'egli è una ghirlanda. Or va' più oltre, truovo molti bottoni portare dinanzi. Dicesi a quella che è truovata: Questi bottoni voi non potete portare. E quella risponde: Messer sì, posso, chè questi non sono bottoni, ma sono coppelle; e se non mi credete, guardate, e' non hanno picciuolo; e ancora, non c'è niuno occhiello. Va il notaio all'altra che porta gli ermellini, e dice: Che potrà apporre costei? Voi portate gli ermellini. E la vuole scrivere. La donna dice: Non iscrivete, no; chè questi non sono ermellini, anzi sono lattizzi. Dice il notaio: Che cos'è questo lattizzo? E la donna risponde: È una bestia„. E il notaio non insiste, come non sanno insistere i magnifici signori Priori, che si ricordano delle loro donne lasciate a casa, e conchiudono, come hanno sempre conchiuso in Palagio, esortando messer Amerigo a tirar via, e lasciar “correre le ghirlande per becchetti e le coppelle e i lattizzi, e' cinciglioni„.

      Non volevano forse che il giudice pesarese avesse a ricordare il malinconico distico che un suo collega della Mercanzia aveva scritto sul margine degli Statuti:

      “S' tu ài niuno a chi tu vogli male

      “Mandallo a Firenze per uficiale.47

      Pur questa volta, la novella del Sacchetti è verace documento di storia; l'Archivio della Grascia serba gli Atti civili del Giudice degli appelli e nullità, e fra quei protocolli appunto ve n'è uno di Giovanni di Piero da Lugo, notaio del dottore in legge ser Amerigo di Pesaro, ufficiale della Grascia del Comune di Firenze, per sei mesi, a cominciare dal XV marzo 1384.

      Quel giorno stesso l'Amerighi pubblicò, a' soliti luoghi, un bando per ricordare le pene delle leggi contro chi trasgrediva alla Prammatica sopra 'l vestire. E il 27 marzo cominciarono per parte degli ufficiali le inquisizioni. Vedevano per via alcuna donna con due anelli, ornati di quattro perle, con una cappellina di velluto nero ricamata, con una ghirlanda, con una delle abbottonature proibite? E subito si contestava alle malcapitate (diciamolo col frasario odierno) la contravvenzione. Andava il messo alle case con un “mandato di comparizione„, e il giorno fissato compariva per la moglie il marito, che riconosceva l'errore e pagava la multa. Così s'andò innanzi un bel po'; ma più tardi dovettero le donne, ammaliziate, cominciare quelle contestazioni, accennate dal novelliere, e naturalmente omesse nel protocollo del notaio. Le inquisizioni si fanno più rare, le condanne meno frequenti e i mariti che compariscono principiano a negare la reità delle mogli, con validi argomenti: una è troppo vecchia perchè possano imputarsele siffatti trascorsi, un'altra era in casa quel tal giorno a quella tale ora, una terza è in lutto e così via… E il protocollo si chiude quasi senza registrare più nessuna condanna.

      La Signoria e il giudice prima di lei si son dati per vinti; ma non senza sospetto che quelli ufficiali, quei notai, deputati all'odioso ministero, non si fossero lasciati vincere dal fuoco di qualche bell'occhio, dalle carezze di qualche voce lusingatrice. Ahimè nelle coperte della Prammatica di quel tempo, leggiamo la confessione, lo sfogo d'un cuore innamorato, prezioso documento umano fra le pedanterie curialesche degli Statuti. Udite:

      Li dulci canti e le brigate oneste

      Gli uccelli, i cani e l'andar sollazzando,

      Le vaghe donne, i templi e le gran feste

      Che per amore solea ir cercando.

      Ora fuoco mi sono, oimè moleste,

      Quantunque vengo con meco pensando

      Che tu dimori di qui or(a) lontana

      Dolce mio bene e speme mia sovrana!

      Le donne avean trovato alleati nella famiglia del Giudice di ragione: la loro causa era vinta!

      Ma per poco, giacchè quasi periodicamente si tornò ad infierire contro la vanità femminile, e altre bufere scoppiarono, sempre di breve durata. Anche tremendi avversari ebbero ne' moralisti che nei trattati del Governo della famiglia, seguitavano a battere cotesto tasto (valga l'esempio del Palmieri); peggiori nemici ne' frati, invasi dal furore di purgare il mondo dai peccati.

      Frate Bernardino da Siena nel 1425 continuò a Perugia quei bruciamenti delle vanità che l'anno innanzi aveva iniziato a Roma, facendo

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<p>44</p>

Fabretti, pag. 208.

<p>45</p>

Villani, XII, 4.

<p>46</p>

Nov. 137.

<p>47</p>

Carducci, Rime antiche da carte di archivi. Nel Propugnatore, vol. I, fasc. I, 1888.