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cure della edilità municipale, e del concorso che la immensa maggioranza di ogni classe di popolo gli prestava che se tale concorso non avesse esistito, o nulla o a ben poca cosa avrebbero giovato le misure della edilità.

      Nel corso dei sei anni passati per Napoli sotto il benefico, ma talora pericoloso regime della libertà, il popolo Napoletano non ha tentato una sola volta di abusarne. – Desso ha accettato le leggi, i regolamenti, le istituzioni, i decreti che gli furono imposti, sottomettendosi al peso ed agli inconvenienti degli uni, e cavando vantaggi da altri con una spontanea docilità, ed una costante prudenza che da lui non si aspettava. – Si è sempre parlato della innata vigliaccheria del Napoletano, ma qui ancora i vecchi motteggi, ed i rancidi pregiudizii ebbero una solenne mentita. – La guerra del 66 fu combattuta dai Napoletani quanto da tutte le altre popolazioni Italiane, e nessun episodio fu narrato sin qui che testimoniasse della timidezza imputata ai Napoletani. – Le nostre sventure durante quella guerra furono la conseguenza della poca esperienza o della incapacità di alcuni capi, non già del difetto di valore della bassa forza; e fra i generali di una certa età e di un certo grado, quello che forse più d'ogni altro diede di sè, del suo sapere del suo valore prove migliori, si fu un generale Napoletano, il Nunziante, Duca di Mignano. – La classe che in Napoli si è mostrata sin qui meno intelligente dei proprii interessi, e meno tenera di quelli del paese, è la così detta aristocrazia. – In Napoli si trovano meglio distinte che altrove le tre classi sociali che compongono oggidì le nazioni civili; la aristocrazia cioè; la borghesia, o classe di mezzo, ed il popolo. – Sotto il dominio dei Borboni, la prima e l'ultima erano le predilette della corte; quella perchè rassomigliava e conseguentemente simpatizzava di più coi membri della reale famiglia; sì gli uni che gli altri ignoravano presso che tutto ciò che avrebbero dovuto conoscere; consideravano questa loro ignoranza come un privilegio della elevata loro condizione, e guardavano con ischerno e compassione agli sforzi che le classi inferiori facevano per acquistare il sapere ossia come quelli dicevano per guadagnarsi il pane. – La famiglia reale e la aristocrazia avevano comuni gli interessi, le speranze, i desiderii, i timori. – Il godimento materiale della vita, l'incremento delle loro ricchezze; la soddisfazione della puerile loro vanità componevano lo scopo della loro esistenza. – La nobiltà Napoletana stava attaccata alla stirpe Borbonica, come a quella inesausta sorgente di godimenti, e di onori che ne accarezzavano la vanità; mentre il sovrano e la famiglia di lui si specchiavano nella nobiltà, come in quella classe di persone che si divertiva dei divertimenti loro, nulla desiderava di ciò ch'essi temevano, e dalla cui bocca non esciva parola che contrastasse coi loro pensieri.

      La classe infima della plebe Napoletana occupava il secondo posto nelle reali affezioni. – Romorosa nelle sue dimostrazioni, ma inocua nelle sue azioni, la plebe dei così detti Lazzari fanatica come presso che tutte le ignoranti moltitudini, era assolutamente in balìa del clero e dei frati che la volgevano e rivolgevano a loro capriccio. – Il re sapeva qual uso facesse il clero di tanto dominio, e si maneggiava in modo da tenerselo amico. – I Borboni d'altronde superstiziosi anch'essi non meno della plebe, erano pure un docile strumento nelle mani del clero, la cui ignoranza presso che eguale a quella dei principi e dei lazzaroni, gli permetteva di prestar qualche fede ad alcune delle cose ch'esso insegnava come dommi religiosi. – Tutte queste ignoranze erano fra di esse alleate, e dirette ad un medesimo fine, il perpetuarsi della società del medio evo, e l'impedire ogni progresso sì intellettuale, come morale o materiale. – Perciò ottenere il clero aveva bisogno dell'appoggio reale; ed il re non poteva sostenersi senza quello del clero. – Consapevoli l'uno e l'altro di tale reciproca dipendenza, non ad altro tendevano che a trarne vantaggio nel miglior modo possibile, per difendersi da quel formidabile progresso che agli occhi loro rappresentava il più orrendo cataclisma, la distruzione dell'edifizio sociale, lo scatenamento di tutte le fiere del creato sotto nome di filosofia, di diritto, di civiltà, di libertà, di indipendenza, di eguaglianza, di tolleranza, di filantropia, ecc. ecc; e per catastrofe finale, una guerra accanita contro il sacerdozio, cioè contro Dio e la religione, un macello di frati e di monache, il saccheggio degli altari, e le porte dell'inferno spalancate per inghiottire la moltitudine delle anime feroci ed empie i cui corpi più non potevano contenerle. – Per coloro che di buona fede vedono il moderno incivilimento sotto tale aspetto non è da meravigliarsi se mettono tutto in opera per impedirne il corso. – E non pochi fra i nemici della moderna civiltà, sono di buona fede, o per lo meno credono ciò che venne loro insegnato, e trovando in tale credenza il loro vantaggio non si sforzano di scoprire se riposi quella sul vero o sul falso.

      Pei Borboni, per la nobiltà e pel clero napoletano, il progresso era personificato nel ceto di mezzo ossia nella borghesia. – Una certa somma di coltura intellettuale è necessaria per formare degli avvocati, dei medici, degli ingegneri, e persino dei militari; e sebbene i tre corpi che governavano in Napoli avessero volontieri fatto di meno di tutte quelle dotte professioni, e si fossero contentati di non avere sotto di essi altri che lazzaroni, pure conoscendo che la totale soppressione del ceto medico e della sua coltura intellettuale era cosa impossibile, dessi si limitarono sebbene con rammarico, a combattere questi rappresentanti del sociale progresso, perseguitandoli, ponendo ogni sorta di ostacoli sulla loro strada, mantenendoli per quanto il potevano nella condizione stessa in cui si erano trovati gli avvocati, i medici, gli ingegneri, ecc. ecc. dei secoli passati, ed aizzando contro di essi i pregiudizii e le passioni indomite della plebe.

      Sintanto che le cose rimanevano in quello stato, il Re si teneva per certo di trovare, quando ne abbisognasse, il popolo armato in sua difesa e nemico dei suoi nemici; e la nobiltà siccome il clero avendo gli interessi comuni colla corte, fidavano anch'essi nelle armi che avrebbero consegnate ai lazzari in un momento di crisi rivoluzionaria e si confortavano pensando che il popolano così affezionato al suo Re e così devoto al clero avrebbe resistito a tutte le seduzioni del partito liberale.

      Già sul finire dello scorso secolo, i lazzari si erano mostrati quali li volevano il Re, la nobiltà ed il clero, e se nel Maggio del 48 il sangue cittadino non fu sparso in tanta copia, quanto nei giorni di Championnet, non fu quella parsimonia da attribuirsi alla clemenza del popolo, ma bensì alla debolezza della resistenza che ad esso opposero i liberali, che in picciol numero erano rimasti in Napoli, mentre pressochè tutti correvano verso il Po ove speravano combattere e vincere l'austriaco.

      Intanto sì il Re che la nobiltà ed il clero si confortavano colle dimostrazioni popolari che consideravano come sintomi importantissimi dello stato della pubblica opinione. – Quando il Re compariva a Chiaja o a S. Lucia era salutato con acclamazioni frenetiche dei lazzari-pescatori, ed esso rientrava nel suo palazzo convinto che il suo popolo lo adorava, e sicuro di trovar sempre una valida difesa contro il liberalismo ed i liberali, in quei semplici, ma fedelissimi petti. – La nobiltà divideva le illusioni del sovrano, e ben sapendo, che la privilegiata di lei condizione si manterrebbe quanto il potere assoluto del principe, dessa si stimava solidamente stabilita e secura. – Il clero anch'esso vedeva sempre lo stesso concorso di popolo nella chiesa di S. Gennaro il giorno del famoso miracolo; udiva le stesse preghiere, le stesse promesse, improperi ed acclamazioni secondo che il sangue era più o meno pronto a bollire, vedeva la stessa moltitudine seguirlo nelle processioni, la stessa calca nelle chiese, ai confessionali, dinanzi agli altari; vendeva lo stesso numero di reliquie, di messe, benedizioni, indulgenze, candele o acqua benedetta, ecc. ecc., e si confortava pensando che la fede non era scemata malgrado i tentativi e gli sforzi dei liberali, e dicendosi che molti secoli passerebbero ancora prima che si riescisse a trasformare il lazzaro napoletano, in un cittadino civile, istruito e spregiudicato.

      Erravamo tutti. – Nè il re, nè la nobiltà nè il clero distinguevano ciò che vi era di semplicemente drammatico in quelle dimostrazioni popolari, da ciò che vi era di veramente sentito. – Il popolo napoletano era favorevolmente inclinato al suo re perchè ne riceveva qualche parola o qualche tratto famigliare, e perchè il despotismo borbonico non pesava direttamente sopra di lui. – Era disposto verso la nobiltà ad un dipresso come verso il suo re ed il clero gli appariva come una categoria di esseri qualche poco soprannaturali, capaci di operare alcuni miracoli, ed in relazioni segrete ma dirette cogli abitanti del paradiso.

      Sapeva altresì che le sue acclamazioni, e le sue romorose dimostrazioni riescivano assai gradite a quei tre ordini di persone, la corte cioè, la nobiltà ed il clero, che le rimuneravano con qualche largizione o con altri favori, e siccome il porsi in iscena

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