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impetuoso come lo sono gli altri popoli d'Italia. Desso riflette alla condizione sua, sa che certe soddisfazioni non si possono ottenere se non col rinunziare a certe altre, e scieglie fra queste, quelle che più gli convengono, abbandonando con animo rassegnato quelle che sarebbero un ostacolo alle prime. – Tutto il sistema economico della Toscana è fondato sopra tale scelta. – Tra i desiderj o i bisogni più urgenti del popolo Toscano; il principale è il riposo; un riposo relativo s'intende e non assoluto. Il popolano ed il contadino Toscano, lavorano quanto è necessario per guadagnare ogni giorno i pochi bajocchi che bastano al sostentamento di lui e della famiglia perchè tanto l'uno quanto l'altra sanno di ciò accontentarsi. – La scarsità del denaro forma la ricchezza delle infime classi della popolazione, mantenendo bassi i prezzi degli oggetti di prima necessità. – Se un genio benefico versasse improvvisamente qualche milione di lire sulla Toscana, desso non riceverebbe in ringraziamento altro che maledizioni e busse, e produrrebbe in realtà un funesto squilibrio nella esistenza di quelle popolazioni, poichè gli oggetti di prima necessità aumenterebbero subito di prezzo. – Egli è ben vero che la mano d'opera sarebbe rimunerata più largamente, ma la concorrenza degli operai non toscani, si aggiungerebbe presto alle altre complicazioni, ed il toscano non conserverebbe il suo posto se non lavorando più o meglio che per lo passato. Ora il pensiero di lavorare più e meglio ch'esso non lavora oggidì, è pensiero per lui dolorosissimo, nè lo consolerebbe la prospettiva di un guadagno maggiore poichè ha pesato nella mente sua i vantaggi del riposo e della ricchezza ed ha preferito i primi ai secondi. Con tali sentimenti, e con siffatto carattere i progressi verso la civiltà ch'è quanto dire nella industria non possono essere che assai lenti se pure non sono nulli.

      Nè vale il dire che la miseria non sentita nè rimpianta non può considerarsi come vera miseria. – Se il contadino ed il popolano toscano non deplorano la propria miseria, ma lo accettano come il prezzo del riposo cui godono, le classi più elevate della toscana società, poste in contatto coi pari loro di altre parti d'Italia e di Europa, sentono amaramente la condizione direi quasi subalterna e parassita a cui le condanna la loro povertà. – Firenze ebbe sempre una corte ed un corpo diplomatico che traeva dietro di sè molte famiglie straniere illustri e doviziose. – Queste esercitavano in Firenze la ospitalità, ed i Fiorentini a cui spettava siffatta parte, la abbandonavano a quelli che avrebbero dovuto ospitare, accettando invece per sè medesimi la parte dell'ospitato senza neppur ricambiare le cortesie dagli stranieri ricevute.

      In nessuna provincia d'Italia il bisogno di aprire nuove vie alla prosperità nazionale è così evidente come in Toscana; ed in nessuna la introduzione di nuovi strumenti per la operosità della popolazione sembra a primo aspetto dover incontrare minori difficoltà. Il gran numero delle città ossia dei centri di popolazione, di operosità e di civiltà, un certo grado di coltura e di modi civili distribuiti in tutte le classi sociali, la circostanza che il popolo parla non già un dialetto non intelligibile per chi nacque una trentina di miglia più in su o più in giù, ma la lingua scritta leggermente alterata, l'intelligenza ed il naturale docile e quieto degli abitanti, sono cose che animar dovrebbero gli speculatori e gli spiriti intraprendenti a tentare qualche nuovo stabilimento commerciale ed industriale. – Il felice successo di un tale tentativo non sarebbe però così certo nè così probabile, come può sembrarlo a prima vista. – Il grande, il formidabile ostacolo sta appunto nel carattere della popolazione che nessun male considera come più intollerabile, della fatica e che resiste passivamente a qualunque sforzo si tenti per vincerne l'inerzia; e vi resiste senza rimorsi perchè la sua resistenza non è accompagnata da moti o da espressioni violenti, anzi direi quasi che il toscano considera quella sua ostinata resistenza come una virtù, detta la moderazione nei desiderj, la rassegnazione, ed il sapersi accontentare di poco.

      Il governo gran ducale toscano fu sempre il più mite fra i governi dispotici che fecero per tanti secoli strazio dell'Italia. Il sovrano che conosceva personalmente una grandissima parte dei suoi sudditi conosceva e praticava con perfezione quelli artifizj di modi e di espressioni che toccano il cuore dei semplici, e rivestono agli occhi loro l'aspetto della benevolenza e della umiltà. Una passeggiata per le vie della città in abito borghese, e senza seguito apparente; una parola detta familiarmente ad un popolano, un soccorso largito in tempo opportuno ad un bisognoso, erano i mezzi con cui si mascherava agli occhi delle popolazioni il vicerè austriaco, il depositario delle massime imperiali. Una penna toscana gli strappò la maschera e lo presentò al popolo deluso in tutta la laidezza di un ipocrita tiranno, ma il popolo toscano rise della strana figura che gli si mostrava per la prima volta, ritenne nella memoria il mirabile ritratto di quello; che non è, nella lista dei tiranni, carne nè pesce; ma non cavò insegnamento alcuno dallo spettacolo, e forse noverò fra le virtù del sovrano la indulgenza con cui si lasciava dipingere coronato di papaveri e lattughe e permetteva a lui di ridere del dipinto.

      Le popolazioni degli antichi stati romani, ammontano a circa due milioni; sono povere come tutte le popolazioni italiane, non posseggono industria di sorta, non si dedicano al commercio; e vivono su di un suolo quasi interamente incolto. Una gran parte dei poderi rurali, ed il terreno che circonda i villaggi, erano sino al 59 od al 60 posseduti dalle manimorte, ossia dalle corporazioni religiose o dalla chiesa. Tali possidenti non avendo nè molti bisogni, nè aspirazioni ambiziose, ma accontentandosi per lo più di mangiar bene e di essere al coperto dalle intemperie delle stagioni, al che provvedeva d'altronde la pietosa generosità dei fedeli, l'agricoltura era da essi trascurata e negletta, ed il viaggiatore che attraversava dieci anni sono le Romagne, le Legazioni, ecc. ecc., vedeva con dolore e con raccapriccio i villaggi situati nelle vicinanze degli innumerevoli conventi, o monasterj, squallidi, in rovina, schifosamente sudici, ed abitati da infelici che sembravano piuttosto cadaveri che viventi. – Piaghe di siffatta natura non si medicano in pochi anni, e tutto, meno le strade, è tuttora da farsi in quelle provincie. —

      Il difetto principale dei governi costituzionali, è la debolezza della loro iniziativa. In qualsiasi direzione quei governi intendino di volgere le popolazioni, dessi trovansi ad ogni passo, o possono trovarsi in urto colle individuali volontà; e la prospettiva stessa di tali incontri basta a paralizzare le patriotiche intenzioni dei governi costituzionali anco più energici. – Non dubito che il nostro il quale non pretende ad una eccessiva energia, avrà risentito i frigidi effetti di simili previsioni; ma forse ch'esso incontrerebbe minori ostacoli fralle popolazioni degli antichi stati Romani che non fra quelle del rimanente d'Italia. I già sudditi della chiesa hanno sofferto assai, non solo moralmente, ma fisicamente eziandio e stanno ora aspettando pazientemente il compenso del lungo passato. – Materialmente la sorte loro deve aver peggiorato coll'acquisto della libertà poichè sono ora gravate di forti imposte, e nessuna nuova via fu ad essi aperta per guadagnare il denaro che pagano allo stato. – Eppure nessuno sintomo di malcontento apparve mai in quelle provincie. – I Romagnuoli non hanno speso nè in puerilità nè in frivolezze la esuberante gioja del loro riscatto. – Se ne rallegrarono e se ne rallegrano tuttavia con maschia gravità, come gente che non si crede in diritto di ottenere gratuitamente i due più preziosi doni a cui un popolo possa aspirare, la libertà e la indipendenza ma è preparato invece a pagarli a caro prezzo. – Tali erano nel 60; tali sono oggi e gli Italiani tutti potrebbero senza derogare prendere esempio dal contegno dei già sudditi della Chiesa.

      Delle provincie Napoletane e delle loro popolazioni si è parlato assai, e parmi, dietro osservazioni troppo superficiali. – Il brigante feroce superstizioso e stupido, ed il Lazzarone inerte più che mezzo ignudo, e per tre quarti selvaggio, sono i due tipi dietro i quali ne raffiguriamo generalmente i Napoletani, seppure non vi si aggiunge un Principe o un Duca senza denaro, giuocatore, libertino, duellista e poco amante della guerra. – Non nego che tali tipi si incontrino più frequentemente nelle provincie Napoletane che altrove; ma in questi si spiegano ingranditi ed esagerati i difetti di tutti i popoli meridionali, e di quelli in particolar modo che non conobbero mai i vantaggi risultanti dalle virtù a tali difetti opposte. – Ma siffatte esagerazioni dei difetti comuni ai popoli meridionali, non sono da imputarsi al popolo Napoletano in massa. – Se v'ha una provincia d'Italia in cui la libertà e la indipendenza abbiano già prodotto dei risultati evidenti, oltre la costruzione di nuove strade, di nuovi ponti e di nuovi edifizi, quella è la provincia o per dir meglio lo stato Napoletano. Il tipo Lazzarone che viveva di maccheroni e di angurie, e dormiva in un canestro, è quasi interamente scomparso, trasformandosi e confondendosi nei pescatori. – L'immondezza

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