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che ha il furore della paura, un buon vento gagliardo, e da ponente, farebbe meglio di tutti i nostri discorsi. —

       Capitolo III.

      Di una bella sconosciuta che mandò a Cristoforo Colombo un ramo di spino fiorito

      Cristoforo Colombo era stimato un gran dotto in materia geografica, cosmografica ed astronomica, quando non era stimato un impostore, od un pazzo. Per lui, si sa, erano stranamente mutevoli i giudizi del volgo, nobile o plebeo che si fosse; e saltavano da un estremo all'altro, come qualche volta usano saltare i venti, dal primo al terzo, o dal secondo al quarto quadrante. Si può dire, dopo aver letto attentamente la storia della sua vita fortunosa, che gli storti giudizi, i sospetti, le animosità contro di lui non posassero mai intieramente finchè egli visse, da prima volendo regalare per forza un nuovo mondo alla Spagna, poi disputando ai suoi grandi una corona di vicerè nelle terre scoperte, e da ultimo combattendo virilmente per la propria fama, per il proprio onore, per il proprio decoro, contro le invidie e le ingratitudini congiurate. Ma ci furono anche nella sua vita, e frequenti, i giorni della lode e della reverenza universale. Ci furono anche i giorni in cui egli era tenuto per un gran mago, padrone di alti segreti naturali, e capace di comandare agli elementi coll'autorità di misteriose parole. E per un negromante, di sicuro, lo avrebbero tenuto i marinai della Santa Maria, il giorno 22 settembre del 1492, se dieci o dodici ore prima, cioè nel cuor della notte che fu sopra a quel giorno, lo avessero udito domandare al cielo un vento gagliardo di ponente.

      Quel vento si levò per l'appunto nella giornata, fortissimo, teso, dritto da prora; tanto che fu necessario serrare i velacci e le basse vele, prendendo i terzaruoli alle gabbie ed anche alla mezzana, per mettersi alla cappa serrata. Non si navigava più, con quel vento indiavolato al traverso; ma ne avevano anche una patente mentita le sciocche paure dei marinai.

      – Ed ora direte ancora che in questi paraggi il vento fresco soffia soltanto da levante! – esclamò l'almirante, volgendosi a Perez Matteo Hernea, suo pilota.

      – Non lo dirò più, ve lo giuro; – rispose umiliato l'Hernea.

      Il giorno seguente, le cose mutarono. Pareva proprio che quel vento da ponente si fosse levato solamente per dar ragione a Cristoforo Colombo, contro il suo equipaggio, e che, dopo aver fatto quella buona testimonianza per lui, non avesse più motivo di soffiare. Cadde, infatti, e il 23 ripigliò la brezza di levante, con cui si poteva andare a gonfie vele per la rotta stabilita.

      La Santa Maria aveva dato gloriosamente tutta la sua tela al vento. Ma non durò a lungo con quella velatura di buon tempo. L'almirante, a un certo punto della giornata, comandò di serrar fiocchi, velacci, vela di maestra e mezzana, contentandosi di navigare con la gabbia, il trinchetto e la trinchettina. Certi punti neri all'orizzonte, diventati presto nuvoloni, l'aria più fresca, un color di piombo sulle acque, gli avevano annunziato imminente un temporale.

      Non si era ingannato. Il temporale si avanzò minaccioso, oscurando il cielo e sollevando il mare a tempesta. Le navi balenarono un poco, indi presero a menar la ridda sui flutti, ora balzando sulle creste spumanti che il vento incalzava, ora ascondendosi a mezzo nei profondi intervalli, per cui pareva che volesse ad ogni tratto scoprirsi il fondo degli abissi.

      La tela al vento era ancor troppa; e l'almirante comandò di prendere i terzaruoli alle gabbie. Poi, rinforzando il vento, le fece serrare a dirittura, ed egualmente il trinchetto, di guisa che la nave prese a correre con la sola trinchettina.

      – Che mare, Santa Vergine! – disse Damiano al compagno, mentre scendevano da serrare le gabbie. – Par quello che ha inghiottiti gli Egiziani, quando volevano dar la caccia agli Ebrei.

      – E quello fu per miracolo; – rispose l'almirante, davanti a cui passavano i suoi due Genovesi. – Così credo che sia anche questo. Ci vogliono dei miracoli, per ischiodare il cervello a questa gente. Del resto, – soggiunse, – le ondate propizie al gran salto son qua; e i miei nemici hanno già troppo da fare per sè, aggrappandosi al capo di banda, o alle sartie. —

      La burrasca non si chetò che verso il mattino del 24. Col sole ritornò la calma sul mare. Le caravelle, così duramente travagliate da quella collera d'elementi, ripresero la loro velatura ordinaria, e col vento più maneggevole si fecero a navigare di conserva. La Pinta, anzi, venne accostandosi quanto più poteva alla Santa Maria.

      – Ecco Martino Alonzo che ha qualche cosa da dirmi; – pensò l'almirante.

      Difatti il comandante della Pinta voleva parlare a Cristoforo Colombo. Questi, alcuni giorni prima, gli aveva fatta passare la carta nautica, a lui mandata da Paolo Toscanelli: una carta sulla quale era segnata la famosa isola di Cipango, ad una distanza che oramai doveva essere stata oltrepassata da loro. E di questo dubbio, che glie ne era venuto, voleva intrattenersi Martino Alonzo Pinzon coll'almirante.

      – Pare anche a me, che abbiamo fatto un cammino più lungo; – gridò Cristoforo Colombo al Pinzon. – Ma forse il Toscanelli ha fallato il punto, collocando la grande isola sulla carta, o noi, ingannati dalle correnti che ci han fatto derivare, abbiamo fallata la stima.

      – Potrebbe anche darsi, – ripigliò il Pinzon, – che noi ci fossimo tenuti troppo a ponente. Non credete opportuno di appoggiare un poco a garbino?

      – Non credo; – disse l'almirante. – Del resto, fatemi passare la carta, e osserverò meglio ancor io. Intanto non cangiate di rombo; mi raccomando. —

      La carta arrotolata e raccomandata ad una sagola fu scagliata a bordo della Santa Maria. Cristoforo Colombo la portò allora nella sua cameretta, la spiegò sul deschetto, e si fece ad osservare, insieme coi più sperimentati dei suoi ufficiali, quale potesse per allora essere la posizione delle navi.

      Il lettore si maraviglierà che Cristoforo Colombo volesse rilevare il punto di stima sopra una carta fatta di suo capo da un fisico fiorentino, e nella quale era segnata l'isola di Cipango ad una distanza immaginaria. Ma pensi il lettore che quella carta, fatta avanti la scoperta delle così dette Indie occidentali, era tuttavia condotta secondo due norme, che parevano sicure a que' tempi: la divisione della circonferenza del globo terrestre in ventiquattro zone, di quindici gradi ciascuna, che formavano in tutto trecentosessanta gradi, e il passo biblico di Esdra, ov'era detto che, diviso il nostro globo in sette parti, sei sono terra, e la settima è ricoperta dalle acque. Messe a riscontro queste due nozioni, aggiunta la notizia delle parti della terra già scoperte al tempo di Tolomeo, aggiunto finalmente tutto quel tratto che Marco Polo aveva visitato ad oriente, e i Genovesi scoperto ad occidente, non era difficile tracciare lo spazio di mare che doveva intercedere fra le Azzorre, estremità occidentale di Europa, e Cipango, estremità orientale dell'Asia. Il difficile sarebbe ora di credere a quella sistematica fabbricazione di carte nautiche; ma non era difficile allora. E ad ogni modo si può considerare con benevolenza un errore, il quale, rasentando la verità, condusse un uomo ardito e intelligente a scoprirla.

      Lo studio di Cristoforo Colombo e de' suoi piloti fu repentinamente interrotto da un grido d'allegrezza. Quel grido, ripetuto e rinforzato da molte voci, veniva dalla Pinta. L'almirante uscì tosto in coperta, e vide Martino Alonzo Pinzon, ritto sul castello di poppa della sua caravella, che alzava le mani al cielo, in atto di giubilo, gridando a squarciagola: terra! terra!

      – Che è ciò che voi dite, Martino Alonzo? – gridò l'almirante a sua volta.

      – Terra, terra! – ripetè il Pinzon. – Signor almirante, io chieggo la mia ricompensa. —

      Martino Alonzo Pinzon alludeva al premio che i reali di Castiglia avevano stabilito per colui che primo scoprisse la terra. Il premio consisteva in una rendita di trenta corone, un poco più di seicento lire della nostra moneta d'oggidì.

      E con la mano distesa, il comandante della Pinta accennava verso garbino, o libeccio, se meglio vi piace, dove infatti appariva una lingua di terra all'orizzonte, forse venticinque leghe distante dalle navi. I marinai della Pinta si erano lanciati come scoiattoli su per le sartie; così fecero i marinai della Santa Maria e quelli della Nina; tutti vedevano la terra, tutti confermavano con liete grida l'annuncio di Martino Alonzo Pinzon.

      Cristoforo

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