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Terra vergine: romanzo colombiano. Barrili Anton Giulio
Читать онлайн.Название Terra vergine: romanzo colombiano
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Автор произведения Barrili Anton Giulio
Жанр Зарубежная классика
Издательство Public Domain
Indizi di terre ne erano venuti… Sì, anche troppi, ed era il caso di richiamarsene, come della famosa sua grazia a sant'Antonio di Lisbona. Quei pellicani, quelle cingallegre, tutti quelli uccelli di passo che erano trascorsi a squadre, a sciami, a nembi, sul capo dei naviganti, ora venendo da prora via, ora da poppavia, non indicavano essi, nella capricciosa direzione del volo, che qualche spirito maligno si prendeva giuoco di loro? E qui taluni notavano che quei negri volatori, passando sulle caravelle, avevano fatto sentire un acuto stridìo. Sì, certamente, era uno scherno di potenze invisibili; le quali infondevano con vane immagini le speranze nei cuori, e si beffavano ancora dei troppo creduli marinai. E quegli uccelli, quei tonni, quelle nebbie basse all'orizzonte, non erano che apparizioni diaboliche. I mostri non sorgevano ancora dalle acque, dond'erano aspettati; si mostravano invece all'orizzonte, brulicavano in aria.
Questa spiegazione degli indizi ingannatori apparve così chiara, che fu creduta a breve andare da tutti. No, non più avanti, per contentare il capriccio dell'avventuriere, del pazzo. Quell'uomo voleva trovar terra a ponente, o morire; proposito da disperati! Ma egli poteva farlo, egli che non aveva famiglia; non potevano essi, che a Palos, a Huelva, a Moguer, lasciavano occhi per piangerli. Bisognava dunque ricusargli obbedienza, forzarlo a ritornare indietro. Chi li avrebbe biasimati? chi li avrebbe accusati di viltà? Si erano spinti quattrocento e più leghe sull'Oceano, sul mare tenebroso, spavento di tutti i naviganti del mondo. Che si voleva di più? che morissero tutti di fame, errando inutilmente sopra un mare senza sponde? o che nei gorghi di quel mare trovassero il sepolcro?
Le coscienze più timorate si davano pensiero di ciò che avrebbero detto i sovrani, vedendo ritornare le caravelle in Europa. Ma che cosa potevano dire i sovrani? Essi medesimi non si erano risoluti di concedere al marinaio genovese gli uomini e le navi, se non per levarsi d'attorno quel molesto supplicante, e a loro malgrado, come in troppe occasioni era stato dimostrato. Vedendo ritornare uomini e navi, la regina, forse, si sarebbe addolorata, poichè il Genovese aveva saputo ammaliarla col suoi racconti del Cataio e di Ofir; ma poi avrebbe capito che quel cercare il levante a ponente era una stravaganza, una pazzia; e buona com'era avrebbe finito con rallegrarsi di veder salve tante vite di bravi spagnuoli. Quanto al re Ferdinando, egli aveva detto di sì per contentare la moglie; ma che fosse contrario nel profondo dell'anima alla impresa di Cristoforo Colombo non era mai stato un mistero per nessuno. Il ritorno della spedizione, senza aver nulla ritrovato della terra promessa, neanche uno scoglio fuor d'acqua, sarebbe stato un vero trionfo per lui.
Sì, dunque, ritornare indietro, ricusando obbedienza all'almirante, obbligandolo ad accettare la legge da loro. Ma se non avesse voluto persuadersi con le buone, era egli conveniente di passare alle cattive? Non sarebbe sempre rimasto a carico loro il fatto della disobbedienza e delle conseguenti offese alla sua persona? Da senno, o da burla, era almirante, era vicerè, era governatore; e tutto ciò per decreto reale.
Il modo di superare quella piccola difficoltà alcuni dei più audaci lo avevano trovato, e ne avevano già discorso lungamente tra loro. Ma non se ne aprivano ancora liberamente nei crocchi più numerosi; stavano a bocca chiusa, o parlavano a monosillabi, a interiezioni, quando erano presenti marinai di altre nazioni; specie quando c'erano i due genovesi. E i due genovesi avevano capito; e si erano lungamente consultati tra di loro, per venire ad una risoluzione che di giorno in giorno si faceva più urgente. Finalmente uno di quei capiscarichi che quando è stato lor confidato un segreto, credono di averlo colto a volo, non istanno più nella pelle se non lo consegnano altrui, si lasciò sfuggire qualche parola coi due.
– Ah sì? il vostro Genovese non vuol saperne di tornare indietro? – aveva egli detto. – Ebbene, ci resti lui, a naufragare per tutti. Un'ondata che spazzi la coperta, e si prenda quel matto ostinato, non è poi tanto difficile a trovare.
– Trovare… sinonimo d'inventare, non è vero? – aveva risposto Damiano.
– Eh sicuramente! Capirete bene, voi altri, che quando la pazienza scappa… E il vostro Genovese la farebbe perdere ai santi. —
Damiano non volle sentirne più altro. Quella sera dormì male. A mezzanotte doveva andar egli di guardia alla vela, e Cosma gli teneva compagnia. Era l'uso, tra loro, di non separarsi mai; tanto che i piloti avevano finito col mandarli sempre insieme a far le quattro ore di guardia.
– Senti; – disse Damiano al compagno, quando furono soli sul ponte; – io, per me, non ho più pace, fino a tanto che non ho detto ogni cosa all'almirante. E tu, che cosa ne pensi?
– Io penso, – rispose Cosma, – che avremmo fatto bene a parlare anche prima. Finalmente, qui non si tratta di riferire i discorsi della gente; si tratta d'impedire un delitto. L'almirante dev'essere posto in grado di custodirsi da un colpo di mano.
– Giustissimo! – ripigliò Damiano. – Eccolo là, per esempio, che esce dal gavone di poppa, come fa tutte le notti, per invigilare la guardia. Egli infatti non dorme che da un occhio. Ma per la sua persona egli non ha nessuna vigilanza. Due uomini risoluti potrebbero gittarglisi addosso, afferrarlo per la vita, levarlo di peso, e una, due, tre, buttarmelo a mare come un sacco di cenci.
– Che infamia! e sarebbero capaci di farlo.
– Dunque, si dice tutto?
– Si dica. —
Mentre i due si confortavano scambievolmente a parlare, l'almirante veniva a passo lento da poppa, per vigilare le guardie, che non si lasciassero prendere dal sonno.
– Buona notte, signor almirante; – disse Cosma, appena quell'altro gli fu vicino. – Iddio vi guardi.
– Ed anche voi, ragazzi; – rispose a bassa voce Cristoforo Colombo. – Buona guardia.
– E san Giorgio valente vi conceda vittoria sui vostri nemici; – disse Damiano, parlando nel vernacolo della sua città natale.
– Ah! – esclamò l'almirante, fermandosi. – I miei genovesi?
– Sì, messere, e desiderosi di parlarvi. Se non era questa occasione, avremmo chiesto domattina di essere ammessi alla vostra presenza.
– Cose gravi, dunque? e da non potersi confidare al pilota?
– Gravissime, e vorremmo che non le sapesse neanche l'aria. Guardatevi, messere! C'è del torbido, a bordo.
– Lo so, ragazzi, lo so. Da più giorni ho dovuto avvedermene. Gente ignorante ed ingrata! che ci volete fare? Un giorno i più lievi segni del mare e del cielo, segni che non persuadono me, offrono a loro una certezza maravigliosa di approdo imminente. Un altro giorno una cosa da nulla, mettete anche la costanza del buon tempo, me li sbigottisce come i bambini un racconto della balia, quando non ardiscono più spiccarsi dalle sue ginocchia per andare nel fondo della stanza. In verità, figliuoli miei, non avrei mai creduto così debole la fibra umana. E voi, come fate a non seguire l'esempio degli altri?
– Noi? noi… è un'altra cosa! – rispose Damiano. – Noi abbiamo fede nel nostro Genovese.
– Abbiatela in Dio; – rispose l'almirante. – Da lui vengono le grandi idee alla mente; da lui i forti propositi al cuore dell'uomo.
– E dal demonio i cattivi, signor almirante; – rispose Cosma. – Si guardi, Vostra Eccellenza. Da certe parole che abbiamo colte per aria, alcuni tristi avrebbero intenzione…
– Di che cosa?
– Veramente… – balbettò Cosma. – È così nero, il disegno!..
– Di uccidermi, non è vero?
– No, mio signore… o piuttosto, sì, perchè infatti, uccidere e far sparire è tutt'uno.
– Già! – soggiunse Damiano, venendo in aiuto al compagno. – Si comincia a parlare di un'ondata