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avesse l’ale,

      frullò fra le sue mani; e la farina

      gialla com’oro nevicava uguale.

      Ne sparse un po’ nell’acqua, ove una fina

      tela si stese. Il bollor ruppe fioco.

      Ella ne sparse un’altra brancatina.

      E poi spentala tutta a poco a poco,

      mestò. Senza bisogno di garzone,

      inginocchiata nel chiaror del fuoco,

      mestò, rumò, poi schiaffeggiò il pastone,

      fin che fu cotto; e lo staccò bel bello,

      l’ammucchiò nel paiolo, col cannone

      di pioppo; e lo sbacchiò sopra il tarvello.

II

      Ora la madre nella teglia un muto

      rivolo d’olio infuse, e di vivace

      aglio uno spicchio vi tritò minuto.

      Pose la teglia su l’ardente brace,

      col facile olio; e, solo intenta ad esso,

      un poco d’ora l’esplorò sagace.

      L’olio cantò con murmure sommesso;

      un acre odore vaporò per tutto.

      Fumavano le calde erbe da presso,

      nel tondo ch’ella inebbriò del flutto

      stridulo, aulente; e poi nel canovaccio

      nitido e grosso avviluppava il tutto.

      E Rosa intanto sospendea lo staccio,

      ponea le fette sopra un bianco lino,

      stringea le còcche, e v’infilava il braccio.

      Tornò Viola, e furono in cammino.

III

      Rosa e Viola furono in cammino.

      Ma la pia madre altro pensò; discese;

      spillò la botte d’un segreto vino.

      E poi, tornata, con le figlie prese

      pei greppi; lesta, poi ch’una campana

      si sentiva sonare dal paese:

      non più che un’ombra pallida e lontana.

      L’ANGELUS

I

      Sì: sonava lontana una campana,

      ombra di romba; sì che un mal vestito

      che beveva, si alzò dalla fontana,

      e più non bevve, e scongiurò, di rito,

      l’impazïente spirito. Via via

      si sentì la campana di San Vito,

      si sentì la campana di Badia

      e gli altri borghi, di qua di là, pronti

      cantando si raggiunsero per via.

      C’era di muti spiriti nei fonti

      un palpitare al tremolìo sonoro

      ch’empieva l’aria e percotea nei monti.

      La donna andava con le figlie; e loro

      squillò sul capo, subito e soave,

      dalla lor Pieve un gran tumulto d’oro.

      E tu nascesti Dio da un piccolo Ave…

II

      – Tu che nascesti Dio dal piccolo Ave,

      dalla sorrisa paroletta alata

      (disse la voce tremolando grave):

      tu che nell’aia bianca e soleggiata

      eri e non eri, seme che vi avesse

      sperso il villano dalla corba alzata;

      ma poi l’uomo ti vide e ti soppresse,

      t’uccise l’uomo, o piccoletto grano;

      tu facesti la spiga e poi la mèsse

      e poi la vita: fa’ che non in vano

      nei duri solchi quella gente in riga

      semini il pane suo quotidïano.

      O Dio, neve raffrena, pioggia irriga,

      sole riscalda quei futuri steli;

      fa’ che granisca la futura spiga,

      o tu cui l’uomo seminò nei cieli! —

III

      Così diceva tremolando grave

      la voce d’oro su l’aerea Pieve;

      e gli aratori l’Angelus e l’Ave

      dissero; e in mezzo alla preghiera breve

      la dolce madre a lui venìa; non sola:

      l’erano accanto con andar più lieve

      bionda la Rosa e bruna la Viola.

      IL CACCIATORE

I

      Po le seguiva, il fido cane. Or essi

      siedono su la porca assai contenti.

      La Pieve sorridea sotto i cipressi.

      Po ringhiò, fece biancheggiare i denti:

      passava un uomo, un cacciator; ristette.

      «Giovine, giunto qui tra le mie genti!

      ciò che avanza per sei, basta per sette»

      disse il capoccio; e poi con lieta cera:

      «Male per voi, che bene per noi mette!

      Noi ci vedemmo, o giovine, alla fiera

      di Castiglione, all’osteria di Betto.

      Tuo padre, Andrea buon’anima, non c’era

      l’uomo più bravo e tuttavia più schietto;

      e dava tempo al tempo: ecco e tu ari

      un campetto con siepe e con fossetto…

      Bevi il mio vino e siedi tra’ miei cari!»

II

      Ed ei s’assise, il giovane, tra loro,

      e bevve il rosso vino. Era di faccia

      alla fanciulla da’ capelli d’oro.

      Ma la fanciulla dalle bianche braccia

      non lo guardava. Ed il capoccio allora

      gli domandò della sudata caccia.

      E lui: «La prima non ho fatto ancora;

      e sì, che non so dir con quanta pena

      io tutta notte l’aspettai, l’aurora!

      Che ieri io rincasava a notte piena,

      pensando ad altro, a non so che: zirlare

      io sentiva nell’alta ombra serena.

      Erano i tordi, che già vanno al mare,

      in alto, in alto, in alto. Io sentìa quelle

      voci dell’ombra, nel silenzio, chiare;

      e mi pareva un canticchiar di stelle.

III

      Ma i tordi ancor non calano, e non sento

      se non il fischio delle ballerine

      seguire il solco dell’aratro lento;

      e lo scoppiettìo trito senza fine

      del pettirosso mattinier… Comincia

      il passo. Sono piene le saggine

      e le olivete. Sì; ma c’è la cincia!»

      LA CINCIA

I

      Sorrise,

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