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dallo sguardo vivo, appassionato, ammaliante della fanciulla, e da quella sua personcina carica di elettricità, sentiva, con quel giuramento, di essere quasi sincero.

      – Ma… e la signora Ottavia?

      – La signora Ottavia?… che c’entra?

      – No? non c’entra la signora Ottavia? davvero davvero?… Vediamo, dunque, ecco la destra, bel cavaliere, il giro di polca è concesso; ma non qui… no, no; laggiù sotto la rotonda, in giardino! – e la fanciulla si avviò di corsa, e Alessandro dietro, lungo i viali dei carpini, interrotto nel mezzo da un pergolato di glicine, eretto sopra la statua di una Cerere di marmo bianco.

      Lalla, correndo sempre, era già alla rotonda, quando si fermò di botto, indicando al compagno d’inoltrarsi adagio e di non pestar sulla ghiaia: Sandrino, trattenendo il respiro, la raggiunse in punta di piedi. La notte era chiara e serena; la luna pallida senza nubi e senza nebbia.

      – Guardi, guardi là, dietro il rosaio… la Pierina! – Alessandro guardò: dietro una siepe di rose selvatiche vide una figura bianca e, più su, il disegno tozzo di un cappello da uomo. Gl’indiscreti, pian pianino, si avvicinarono tanto da udire distintamente il mormorare sommesso delle dolci parolette e dei baci. Lalla ascoltò qualche minuto, poi, stizzita di non poter udire di più, raccolse un pugno di ghiaia e la gittò nel roseto, spaventando i due colombi, che, dopo un grido acuto della Pierina, presero il volo, attraverso le aiuole, nella direzione del palazzo.

      – Cattiva – disse Alessandro sorridendo – cattiva, cattiva!

      Lalla non rispose: seria, pensierosa, sedendosi stanca presso la Cerere, posò la fronte sul piedestallo, per sentire il freddo del marmo. Anche il giovanotto aveva perduta la voce e ritto, di contro a lei, colla testa bassa un braccio appoggiato alla statua, ammirava il contorno serpentino della fanciulla fantasticamente illuminato dalla luna, in mezzo a tutto quel mistero di ombre e di tenebra.

      – Come deve essere bello il volersi bene! – diss’egli alla fine, concludendo un discorso, pensato in due lungamente.

      – Lei dovrebbe saperlo – soggiunse Lalla alzando il capo e stringendosi attorno la mantellina con un brivido di freddo.

      – Lo indovino, lo sento; ma creda, signora duchessina, non l’ho mai provato. – Sandro capiva allora, la prima volta, che la sua passione per la bella Ottavia era desiderio, era voluttà, tuttociò insieme confuso, ma che non era l’amore; capiva, la prima volta, che l’amore non doveva, non poteva essere nè il rimorso, nè la febbre dei sensi; ma una dolcezza ineffabile, pura, tranquilla, un sentimento nobile, elevato, più forte e più sano.

      – Se lo sentisse a parlare così, mi dica, che cosa le pare che ne penserebbe la… la più bella del paese?…

      – Forse… penserebbe come me. E il nostro giro di polca? – domandò il giovane volendo cambiar discorso.

      – Eh sì, ma qui ci manca l’orchestra. È vero che i poeti con questo bel cielo, trapunto di stelle, sentirebbero l’armonia del creato; ma, sventuratamente, non può servire per musica da ballo!

      – Eppure… la sua promessa?

      – Come si fa? non avevo pensato che qui non si sentisse la musica: e poi, sa, ho imparato da lei a non essere di parola; da un mese, non mi manda più un libro.

      – Ma… io… io non…

      – Non ho tempo di pensare a lei. – Questo mi vuol dire?

      – No, no, mi creda. Se lei sapesse che cosa provo in questo momento… – e il giovane s’interruppe. Lalla lo fissò coi suoi occhi lucenti, pieni di interrogazioni; ma il giovane non rispose.

      – Se domani le mando la Nena, si dimenticherà ancora di prepararmi i libri?

      – No.

      – Davvero? mo lo promette? Non si dimenticherà di… Non si dimenticherà?

      Che cosa voleva dire la signorina? Che cosa gli raccomandava di non dimenticare?

      – Le giuro… non potrei… Mi ricorderò: lo prometto! – rispose Alessandro con vivacità, e tutti e due perdettero di nuovo la parola; ma questa volta si guardavano tutti e due negli occhi.

      – Già – disse Lalla dopo un momento – come vuole che la signora Ottavia possa essere gelosa di me?… Il giovane tacque, e guardandola sempre, trasse un profondo sospiro.

      – E… lei, vuol proprio bene, lei, a quella signora?

      – Non so.

      – Non sa? Bel caso! – esclamò Lalla ridendo con uno di quei rapidi passaggi che mostrano la volubilità del carattere. – Bel caso! a Santo Fiore, saranno in due soli a non saperlo: lei e… e un altro.

      – Orbene, sì; non voglio più oltre mentire: ma pur confessandole che un giorno, ieri, ancora questa sera, ho potuto credere di voler bene all’Ottavia, le giuro per altro che amarla, amarla proprio coll’anima, non l’ho amata mai. Io non so, non posso spiegarmi; ma capisco, sento benissimo che una fanciulla soltanto può ispirare tanta sublime poesia!… Una fanciulla casta, ingenua che, amando, non commette una colpa, e non la fa commettere; una fanciulla che si può adorare e stimare, superbo, orgoglioso di lei, apertamente, sotto la faccia del sole, perchè l’amore ha bisogno della luce come la vita!…

      – Una fanciulla che fosse bella, buona… la Pierina, poniamo?

      – Oh, no! – esclamò il filodrammatico, colto così, all’impensata. – La Pierina no; è bella, ma non mi farebbe battere il cuore.

      – La Rinaldini?… ah quella le piace. Non la ricorda la cugina del marchese Rho?

      – No, no; nemmeno…

      – Allora sa che cosa le devo dire? – Io me ne lavo le mani; è troppo difficile da contentare. La Pierina, no, la Rinaldini nemmeno; come la vorrebbe dunque?…

      – Come la vorrei?… – e il povero Sandrino, al quale il freddo della sera aveva fatto un po’ di bene, s’interruppe quasi atterrito di ciò che stava per dire.

      – Dunque?! Coraggio!… ci sarebbe forse il pericolo che non sapesse nemmeno lei come la vorrebbe?

      – Oh! lo so; ma è su, su, tanto in alto, che io non dovrei, non potrei… non posso nemmeno guardarla!…

      – Peccato; in questo caso, non mi saprà dire se è bella o brutta.

      – No, no, non devo… non devo dir nulla! Senta, è meglio ritornare; fa freddo qui, e le potrebbe far male.

      – Teme che la signora Ottavia cerchi di lei?

      – No, non ho paura della signora Ottavia, ma ho paura della mia testa; della mia testa che brucia; e poi, se vuol saperlo, ho paura di lei…

      – Di me?… arrivare fino alla paura, è proprio un po’ troppo!

      – Vorrebbe dirmi, almeno, perchè lei si diverte tanto a prendersi gioco di un povero diavolo?… Da mezz’ora sento, e provo ciò che non ho mai sentito, nè provato in mia vita. Divento pazzo o che cosa divento? Non so… solamente so, che lei è tanto bella… e che mi fa perder la testa!…

      Bella!… era la prima volta che un giovane diceva a Lalla questa parola, e perchè sapeva di averla guadagnata, provò insieme con la soddisfazione della vanità, anche tutta la gioia di una vittoria. Sandro la vide sorridere avvolgersi nella sua mantellina, come per nascondersi agli occhi dell’ardito compagno, abbassar la testa, arrossire… egli credeva di modestia; ma la fanciulla arrossiva di piacere.

      Povero Frascolini, povero illuso! Egli vedeva svolgersi uno dei capitoli più romantici della biblioteca circolante: quella fanciulla che arrossiva alle sue parole, sola con lui, al chiaror della luna, bionda, duchessa, egli la fece scendere, a poco a poco, fino a sè, confidente, sincera, innamorata; e troppo ingenuo, troppo inesperto, troppo esaltato, senza poter riflettere, Sandrino si abbandonò tutto a quella gran finzione.

      – No, no; – esclamò Lalla interrompendo l’estasi del buon figliuolo – non sono bella, anzi… bruttina… sì, piuttosto

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