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lassù, con me?

      Ella esitò. Evidentemente ella esitò. Una parte della storiella, la montagna cioè, era stata capita subito da lei. Egli non vi scorgeva che amore, mentre ella, subito, vi sentì la noia e il freddo. Lo guardò, comprese quale risposta egli esigesse, e, proprio per compiacergli, disse senz’alcun entusiasmo: – Oh, sarebbe magnifico.

      Ma egli era già profondamente offeso. Aveva sempre creduto che quando si fosse deciso a farla sua, ella avrebbe accettato con entusiasmo qualunque condizione ch’egli le avesse imposta. Invece, no! Tanto in alto ella non si sarebbe trovata bene neppure con lui e, nell’oscurità, egli vide dipinta su quel volto la meraviglia che si potesse proporle di andar a passare la gioventù fra la neve, nella solitudine; la sua bella gioventù, dunque i capelli, i colori della faccia, i denti, tutte le cose ch’ella amava tanto di veder ammirate dalla gente.

      Le parti erano invertite. Egli aveva proposto, sebbene per figura retorica, di farla sua ed ella non aveva accettato; ne rimase veramente costernato! – Naturalmente – disse con ironia amara – lassù non ci sarebbe nessuno che potrebbe regalarti delle fotografie, né troveresti sulla via della gente fermata a guardarti.

      Ella sentì l’amarezza, ma non si offese dell’ironia perché le sembrava di aver ragione e si mise a discutere. Lassù faceva freddo ed ella non amava il freddo; d’inverno si sentiva infelice persino in città. Poi, a questo mondo, non si vive che una volta sola, e lassù si correva il pericolo di vivere più brevemente dopo d’esser vissuto peggio, perché non le si darebbe ad intendere che possa essere molto divertente di vedersi passare le nubi anche sotto ai piedi.

      Ella aveva ragione infatti, ma come era fredda e poco intelligente! Non discusse più perché come avrebbe potuto convincerla? Guardò altrove cercando. Le avrebbe potuto dire un’insolenza che lo vendicasse e quietasse. Ma restò zitto, indeciso a guardare intorno a sé la notte, le luci sparse sulla fosca penisola di faccia, poi la torre che s’ergeva all’ingresso dell’Arsenale, al di sopra degli alberi, di una lividezza turchina, un’ombra immota che pareva una combinazione casuale di colore campata in aria.

      – Io non dico di no, – disse Angiolina per rabbonirlo, – sarebbe magnifico, ma… – S’interruppe; pensò che poiché egli tanto desiderava di vederla entusiasmata di quella montagna che essi, certo, non avrebbero mai vista, sarebbe stata una sciocchezza di non compiacerlo: – Sarebbe molto bello – e ripeté la frase con un crescendo d’entusiasmo. Ma egli non distolse gli occhi dalla lividura dell’aria, offeso anche più da quella finzione tanto trasparente da sembrare uno scherzo, finché ella non lo attirò a sé. – Se vuoi una prova, domani, subito, partiamo e vivo sola con te per sempre.

      In uno stato d’animo identico a quello della mattina, egli ripensò al Balli: – Lo scultore Balli vuole fare la tua conoscenza.

      – Davvero? – chiese essa giocondamente. – Anch’io! – e pareva volesse correre subito in cerca del Balli. – Me ne è stato parlato tanto da una signorina che gli voleva bene, che da lungo tempo ho il desiderio di conoscerlo. Dove mi ha vista da desiderare di conoscermi?

      Non era cosa nuova ch’ella, in faccia a lui, dimostrasse dell’interessamento per altri uomini, ma come era doloroso! – Non sapeva nemmeno che tu esistessi! – disse egli bruscamente. – Ne sa quanto io gliene dissi. – Sperava di averle fatto dispiacere mentre invece ella gli fu molto grata d’aver parlato di lei. – Chissà, però – disse con accento comicissimo di diffidenza – che cosa tu gli avrai detto di me.

      – Gli dissi che sei una traditrice, – disse egli ridendo. La parola li fece ridere di cuore e furono immediatamente di buon umore e in buona armonia. Si lasciò abbracciare lungamente e, tutt’ad un tratto molto commossa, gli mormorò nell’orecchio: – Sce tèm bocù. – Egli ripeté questa volta con tristezza: – Traditrice. – Ella rise di nuovo fragorosamente, ma poi trovò qualche cosa di meglio. Baciandolo, gli parlò sulla bocca, e, con una grazia ch’egli non dimenticò più, una voce dolce supplichevole, che mutava timbro, gli chiese più volte: – Non è vero che non è vero ch’io sia quella tal cosa? – Perciò anche la chiusa della serata fu deliziosa. Bastava un gesto indovinato d’Angiolina per annullare ogni dubbio, ogni dolore.

      Al ritorno egli si rammentò che il Balli aveva da portar con sé una donna e s’affrettò di parlarne. Non parve ch’ella ne provasse dispiacere; poi però si informò con un aspetto d’indifferenza che non poteva essere simulato, se quella donna fosse molto amata dal Balli. – Non credo, – disse egli sinceramente, lieto di quell’indifferenza. – Il Balli ha un modo strano d’amare le donne; le ama molto ma tutte egualmente quando gli piacciono.

      – Deve averne avute molte? – chiese essa pensierosa. E qui egli credette di dover mentire. – Non lo credo.

      La sera appresso dovevano trovarsi al Giardino Pubblico in quattro. I primi sul posto furono Angiolina ed Emilio. Non era troppo gradevole d’attendere all’aperto, perché, senza che fosse piovuto, il terreno era umido per lo scirocco. Angiolina volle celare la sua impazienza sotto un aspetto di malumore, ma non le riuscì d’ingannare Emilio il quale fu preso da un intenso desiderio di conquistare quella donna ch’egli non sentiva più sua. Fu noioso invece, lo sentì ed ella non mancò di farglielo sentire anche meglio. Stringendole il braccio, egli le aveva chiesto: – Mi vuoi bene almeno quanto iersera? – Sì! – disse lei bruscamente – ma non sono mica cose che si dicano ad ogni istante.

      Il Balli capitò dall’Acquedotto al braccio di una donna grande come lui. – Com’è lunga! – disse Angiolina emettendo subito su quella donna l’unico giudizio che a quella distanza se ne poteva fare.

      Avvicinatosi, il Balli presentò: – Margherita! Ange! – Tentò nell’oscurità di vedere Angiolina e s’avvicinò con la faccia tanto che allungando le labbra avrebbe potuto baciarla. – Veramente Ange? – Non ancora soddisfatto, accese un cerino e illuminò con esso la rosea faccia che, seria, seria, si prestò all’operazione. Illuminata, essa aveva nell’oscurità delle trasparenze adorabili; gli occhi chiari, in cui il giallo della fiamma penetrava come nell’acqua più limpida, brillavano dolci, lieti, grandi. Senza scomporsi, il Balli illuminò col cerino la faccia di Margherita, una faccia pallida, pura, due occhioni turchini, grandi e vivaci, che toglievano la possibilità di guardare altrove, un naso aquilino e, sulla piccola testa, una grande quantità di capelli castagni. Strideva su quella faccia la contradizione fra quegli occhi arditi di monella e la serietà dei tratti di madonna sofferente. Oltre che per farsi vedere, ella approfittò della luce del cerino per guardare con curiosità Emilio; poi, visto che la fiammella non voleva ancora spegnersi, vi soffiò sopra.

      – Adesso vi conoscete tutti. Quel coso lì – disse il Balli accennando ad Emilio – lo vedrai al chiaro. – Precedette la compagnia con Margherita che già s’era attaccata al suo braccio. La figura di Margherita così alta e magra, non doveva esser bella; s’accompagnava ad entrambe le espressioni della faccia di vivacità e di sofferenza. Il suo passo era malsicuro, piccolo in proporzione alla figura. Portava una giacchetta di un color rosso fiammante, ma sul suo dosso modesto, povero, un po’ curvo, perdeva ogni arditezza; pareva una uniforme vestita da un fanciullo; mentre addosso ad Angiolina il colore più smorto s’avvivava. – Peccato, – mormorò Angiolina con profondo rammarico, – quella bella testa infilzata su quella stanga.

      Emilio volle dire qualche cosa. S’avvicinò al Balli e gli disse: – Soddisfattissimo degli occhi della tua signorina, vorrei sapere come ti sieno piaciuti quelli della mia.

      – Gli occhi non son brutti – dichiarò il Balli – il naso però non è modellato perfettamente; la linea inferiore è poco fatta. Bisognerebbe darci ancora qualche colpo di pollice.

      – Davvero! – esclamò Angiolina interdetta.

      – Forse potrei ingannarmi – disse il Balli serio, serio. – E cosa che si vedrà subito, al chiaro.

      Quando Angiolina si sentì abbastanza lontana dal suo terribile critico, disse con voce cattiva: – Come se la sua zoppa fosse perfetta.

      Al «Mondo Nuovo» entrarono in una stanza oblunga chiusa da una parte da un tramezzo, dall’altra, verso il vasto giardino della birreria, da una vetrata. Al loro arrivo accorse

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