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      S'arrestò colla criniera irta che lo faceva parere due volte più grosso. Sfuggì alle moschettate di Notis e di Fathma e s'avventò contro l'arabo che aveva tratto l'jatagan.

      L'urto fu terribile. Uomo e leone caddero al suolo, l'uno gettando urla selvaggie e l'altro ruggendo orrendamente.

      Notis volò coraggiosamente in aiuto di Abd-el-Kerim, ma prima che potesse giungervi vicino, questi erasi già sollevato coll'jatagan lordo di sangue fino all'impugnatura, calmo, sorridente, e con un piede sul corpo del leone che era morto sul colpo.

      —Sei ferito?… Tu mi fai paura!

      —Non aver timore, Notis, disse Abd-el-Kerim. Il leone è morto senza che abbia avuto il tempo di toccarmi le carni.

      —Tu sei stato pazzo assaltarlo coll'jatagan.

      —In questa notte e in questo posto avrei lottato con dieci leoni.

      Afferrò il suo mahari per la correggia e si diresse a rapidi passi verso Fathma che si era inginocchiata accanto all'uomo. Notis lo seguì.

      —Es-selàm-alekom (la salute sia con te) disse l'arabo all'almea.

      Fathma alzò il capo, lo guardò per alcuni istanti con quei due occhi che fiammeggiavano, si rizzò in piedi e tendendo la sua piccola mano verso di lui.

      —Sei un eroe! gli disse.

      —Grazie, Fathma.

      L'almea gli si avvicinò ancor più.

      —Ah! tu sei quello che vidi a Machmudiech.

      —Non t'inganni. Ecco qui il mio compagno.

      —Allàh vi compensi del bene che mi avete fatto. Senza di voi sarei a quest'ora morta.

      —E della tua morte non me ne sarei giammai consolato, adorabile creatura, disse galantemente Notis.

      L'almea crollò il capo e un sorriso sfiorò le sue labbra, ma parve un sorriso amaro, forzato e forse anche ironico.

      —Dove ti rechi? le chiese l'arabo.

      —Al campo d'Hossanieh.

      —Come noi. Mi pare che il tuo mahari e il tuo schiavo sieno morti,

      —Il leone li ha uccisi.

      —Vuoi salire sul mio mahari? È un animale forte e le mie braccia sono capaci di sostenere il leggero tuo corpo. Vi starai come in un angareb.

      —E perchè no sul mio? domandò Notis.

      —L'eroe è sempre più forte, disse l'almea.

      Il greco aggrottò la fronte e strinse le pugna con dispetto.

      —Ah! mormorò egli. Eroe!… Lo vedremo, Abd-el-Kerim!

      L'arabo salì sul mahari, allungò le braccia all'almea e la trasse in groppa, facendola sedere sulle proprie ginocchia e circondandola delicatamente colle braccia. Notis da canto suo s'accomodò sulla sella del suo animale.

      —Va, mio nobile amico, disse Abd-el-Kerim, prendendo la correggia a facendola fischiare nell'aria. Tu sei abbastanza forte per portarci entrambi.

      I mahari ripigliarono la disordinata loro corsa in mezzo alla pianura, divorando la via con crescente rapidità.

      Fathma, abbandonata fra le braccia dell'arabo che talvolta se l'accostava al petto in modo da sentire i battiti del suo picciol cuore, non diceva parola. Solo di tratto in tratto girava la testa verso colui che la reggeva, figgeva i suoi neri e grandi occhi sul di lui volto, e le sue labbra coralline aprivansi a un sorriso affascinante.

      Abd-el-Kerim, nel sentirla appoggiata così mollemente sulle ginocchia, nel sentire la lunga e nera capigliatura sferzargli il volto, e talvolta circondare e arrestarsi intorno al suo collo, nel respirare l'ardente alito di lei, nel guardarla, provava delle emozioni così strane, così voluttuose, così dolci, che parevagli talvolta di sognare. Il sangue gli montava alla testa e gli circolava più rapido nelle vene, il cuore battevagli febbrilmente, i suoi occhi si fissarono involontariamente su lei, e, per quanto facesse, non riusciva a staccarneli.

      In mezzo a quelle emozioni che a poco a poco facevansi più forti, l'immagine abbagliante della fiera Elenka s'oscurava, sfumava, scompariva. Persino l'immagine di Notis s'abbuiava e cancellavasi, e a segno che l'arabo credevasi di essere solo con Fathma a percorrere la pianura.

      —Fathma, disse d'un tratto egli, con una voce nella quale suonava un accento infinitamente accarezzevole.

      L'almea, nell'udirsi chiamare, si scosse e volse il capo verso di lui.

      —Fathma, dove andrai quando saremo a Hossanieh?

      —Perchè? chiese ella.

      —Perchè?… Ma…

      —Ti interesserebbe forse il saperlo?

      L'arabo sussultò e ammutolì.

      —Rimarrò in Hossanieh.

      Abd-el-Kerim la trasse vivamente sul petto. Egli si chinò verso di lei, come volesse dirle qualche cosa, ma non ne ebbe il tempo.

      —Abd-el-Kerim! gridò Notis in quell'istante.

      L'arabo tremò e si volse indietro come se una vipera l'avesse morso.

      —Siamo in vista del campo!

      Un profondo sospiro uscì dalle sue labbra.

      CAPITOLO III.—I due rivali.

      Il campo egiziano era piantato in una pianura aridissima, solcata però qua e là da piccoli ruscelli e sparsa di antichi bir o pozzi, a pochi passi dalle ultime capanne o tugul del villaggio d'Hossanieh. Si componeva di un trecento tende, disposte su tre ordini, che si piegavano cingendo la gran tenda del pascià sulla quale sventolava la bandiera egiziana, e quelle inferiori ma non meno elevate, degli ufficiali.

      Ottocento uomini, la maggior parte dei quali nubiani e sennaresi, con pochi pezzi d'artiglieria e una compagnia di basci-bozuk a cavallo, erano tutti quelli che occupavano il campo, sotto il comando di Dhafar pascia, uomo agguerrito ed intrepido che conosceva a menadito e l'Hossanieh e il Sudan, e che si era proposto di raggiungere, nonostante che il paese fosse battuto da numerose orde del Mahdi, l'esercito di Hicks e di Aladin pascià che operava verso El-Obeid, la capitale del Kordofan.

      I due mahari, appena che ebbero fiutato la vicinanza dell'accampamento, s'affrettarono ad allungare il passo, sicché pochi minuti dopo arrivarono alle prime sentinelle, le quali conosciuto in coloro che li montavano due ufficiali, li lasciarono passare senza dare l'allerta né chiedere chi fossero.

      Abd-el-Kerim s'arrestò dinanzi alle ultime capanne d'Hossanieh.

      —Dove vai, Fathma? chiese egli all'almea.

      —A quella casipola che vedi laggiù sull'orlo di quel campo di durah, rispose Fathma con voce dolce. Non occorre che tu mi accompagni, il leone che uccise il povero Daùd non mi minaccia più.

      Notis era disceso da sella e si era avvicinato al mahari dell'arabo. Egli tese ambe le mani, sulle quali s'appoggiarono i piccoli piedi dell'almea, tanto piccoli da muovere ad invidia quelli delle chinesi, e la depose a terra.

      —Ci rivedremo ancora, adorabile creatura? domandò il greco.

      Un sorriso leggiadro sfiorò le labbra di Fathma.

      —Se Allàh lo vorrà, rispose ella.

      —Proverei gran dispiacere se tu avessi a scomparire per sempre.

      —Ah!…

      —Sei bella, Fathma.

      —Non te lo domando.

      —Sei più bella delle urì del paradiso. Ed io…

      L'almea

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