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È una greca, ma una greca terribile.

      —Deve esserti costato assai, conquistare il cuore di quella superba donna che disprezzò l'amore di pascià e di mudir (governatori)

      —Per conquistarla mi fece soffrire due anni, e soffrire a segno che credetti d'impazzire. Mi disprezzò, mi derise atrocemente, mi dilaniò il cuore, poi ebbe pietà di me, si mostrò meno superba e meno feroce e finì per amarmi. Aveva vinto la greca, ma assai a caro prezzo.

      L'arabo si passò la mano sulla fronte e sospirò.

      —Ecco il caffè, disse Oòseir, arrestandosi.

      Erano giunti dinanzi ad una grande capanna colle mura di mattoni cotti al sole, diroccate e col tetto acuminato coperto di ghérsc o paglia durissima.

      Vi entrarono. Era occupato da una ventina di persone, parte Arabi, parte Nubiani e parte Sennaresi avvolti, nonostante il caldo, in candide farde o in grandi taub (mantelli) orlati di rosso. Alcuni erano sdraiati su tappeti scolorati e sfilacciati e fumavano silenziosamente nei loro scibouk di terra cotta e dorata; altri erano seduti su panche primitive o su vasi rovesciati e bevevano il merissak, specie di birra fatta con maiz fermentato, o centellinavano con voluttà sibaritica del vero moka fumante racchiuso in fiugiàn o vasetti senza manico.

      In un canto, su di un angareb coperto di stuoie dipinte, stava sdraiato un greco di media statura dalla pelle chiara, occhi castani e grandi e una gran barba nera e ispida. Appena che scorse i due ufficiali scattò in piedi, movendo loro incontro.

      —Olà! Abd-el-Kerim! gridò, gaiamente.

      —Ah! sei tu, Notis! esclamò l'arabo stringendo vigorosamente la mano che l'altro gli tendeva.

      —Avevo paura che tu non mi venissi incontro. Ira di Dio! Posso chiamarmi ancora fortunato.

      —Avesti torto di supporre che non sarei venuto. Quanto tempo è che sei arrivato?

      —Può essere una mezz'ora che ho lasciata la dahabiad (barca) di quel birbone d'Ibrahim. Ah! che viaggio noioso, amico mio! Sono arrostito nè più nè meno d'un montone. Come va, Oòseir?

      —Come la può andare ad un uomo che fuma ed ozia tutto il giorno, rispose il basci-bozuk.

      —Voi nei villaggi state sempre bene. Ehi! wadgi (caffettiere) portaci un vaso di merissak.

      Il basci-bozuk e l'arabo si sedettero e tracannarono parecchie tazze di birra recate dal wadgi.

      —Ebbene, Abd-el-Kerim, chiese Notis, come mai non mi chiedi nulla di mia sorella Elenka? Avresti, per caso, dimenticata la fidanzata?

      L'arabo trasalì leggermente e sulla sua fronte si disegnò una ruga.

      —Ah! perdona, Notis, rispose egli. La tua presenza, la gioia di rivederti, me l'avevano fatta dimenticare. Come sta la mia bella fidanzata?

      —Ti porto, innanzi tutto, un monte di saluti e una botte di proteste amorose, disse Notis ridendo. La piccina sta sempre bene, ma smania dalla voglia di rivederti e ha sempre paura che tu la dimentichi o che una disgraziata palla ti colga.

      —Ha torto di temere che io l'abbandoni. Dal primo dì che la vidi sempre l'amai e spero ritornare da lei fedele.

      —Tu sai già come sono le donne che amano, e quando queste donne sono greche. Sono sempre gelose di tutti e di tutto, gelose persino del sole, dell'aria, della luce.

      —Povera Elenka, mormorò l'arabo. Se il Profeta mi conserverà in vita, la farò… felice.

      La sua fronte s'abbuiò e la fiamma vivace che brillavagli negli occhi si spense.

      —Hai qualche funesto presentimento, Abd-el-Kerim? chiese il greco celiando.

      —No, e spero di non averne mai. Sono fatalista come quelli della mia razza, e ciò basta per tranquillarmi anche nei più terribili momenti.

      «Cambiando discorso, che si fa a Hossanieh?

      —Si ozia sempre. Dhafar pascià senza i rinforzi che devono venire da Chartum non si metterà in campagna. Manchiamo totalmente di artiglierie e tu sai che senza queste non si possono affrontare i ribelli.

      —Temo che i rinforzi arrivino molto tardi. La spedizione di Hicks pascià costò dodici milioni ed ora le casse sono vuote. E che nuove dal Sudan?

      —Sempre tristi, Notis. Il Mahdi è più forte che mai e non so come lo vinceremo.

      —Bah! fe' il greco, alzando le spalle. Non dò due mesi di vita a quel falso profeta. Aspetta che veniamo alle mani colle sue orde e tu le vedrai squagliarsi come neve al sole.

      —Non illudiamoci, Notis, e non disprezziamo troppo quegli insorti che l'anno scorso hanno schiacciato completamente 8000 Egiziani di Yussif pascià e che hanno espugnato El-Obeid. Credi a me, abbiamo un osso duro da rodere.

      —Ma coi cannoni e coi remingtons lo si roderà.

      —Gli Egiziani hanno paura del Mahdi e dei suoi terribili guerrieri.

      —Eh! via! Siamo in molti e bene armati.

      —Ma disorganizzati. Allàh non voglia che noi abbiamo ad essere vinti: se veniamo rotti, neppure uno rientrerà in Chartum, te lo dico io, Notis. Non si darà quartiere a nessuno, nemmeno ai feriti.

      —Abbiamo Hicks pascià che ci guida, Abd-el-Kerim.

      —Peggio che peggio. Questi Inglesi non sono ben visti dagli Egiziani, la maggior parte dei quali ben si ricordano del bombardamento d'Alessandria e dell'eroico Arabi pascià. E poi, che conoscenza hanno del Sudan, gl'Inglesi?

      —E Aladin pascià, non lo conti?

      —Aladin è un comandante sottoposto agli ordini dell'inglese e dovrà curvare il capo per forza.

      —A ogni modo si vedrà.

      —E a Chartum che si dice della insurrezione? chiese Oòseir.

      —Si ha paura che non la si possa domare, rispose Notis. Eppoi vi sono molti abitanti che parteggiano per il Mahdi, credendo realmente che egli sia l'inviato di Dio.

      —Di già?

      —Eh! fe' il greco, alzando una mano e facendo schioccar le dita. Vi sono in città dei partigiani del ribelle, i quali fanno proseliti su larga scala.

      —Quel cane di Mohamed Ahmed è fortunato.

      —E anche un grand'uomo, disse Abd-el-Kerim.

      —Zitto, dissero improvvisamente alcuni arabi.

      —Che c'è? chiese Notis, stizzito da quell'intimazione.

      —Udite?…

      Al di fuori si suonava un cembalo e tratto tratto s'udivano fragorosi battimani uniti alle grida di:

      —Viva l'almea!

      —Che succede? domando Oòseir, alzandosi.

      —Pare che s'avvicini qualche almea, rispose Abd-el-Kerim. Stiamo qui che verrà a danzare.

      —Se la popolazione applaude, deve essere una celebre almea, osservò Notis.

      —È Fathma, la più bella danzatrice del Sudan, disse un arabo.

      Il suono del cembalo s'avvicinava e si arrestò dinanzi alla porta del caffè. S'udì un fruscio di vesti di seta e un istante dopo una donna entrava nella stanza. I tre ufficiali saltarono in piedi mandando un grido d'ammirazione e di sorpresa.

      La donna che entrava era una creatura di bellezza straordinaria, irresistibile, una di quelle creature nelle quali sembra che Dio abbia voluto dare un saggio della forza di bellezza, di seduzione e di incanto a cui può arrivare una donna. Poteva avere appena vent'anni, alta, robusta, vivace, dalle forme voluttuosamente tondeggianti e stupendamente sviluppate.

      Era

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