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a Salem!

      La riunione inizia alle 17.30 alla Locanda del Gatto Nero.

      La Locanda del Gatto Nero? Era il luogo di una famigerata presenza soprannaturale, frequentato un tempo solo da marinai. Si diceva che una donna solitaria si aggirasse nella soffitta, cercando il suo innamorato perduto in mare. C’era un indirizzo e un’annotazione a mano. La Locanda del Gatto Nero non era distante, e la si poteva raggiungere a piedi.

      Improvvisamente, Mia sentì bussare leggermente alla porta. Ruotò la maniglia e si trovò davanti una ragazza minuta dall’aria bohemienne. Doveva avere meno di trent’anni, con un viso da elfo e i capelli corti coperti da un berrettino a righe. Tandy le corse subito incontro e iniziò a leccarle la mano. Quello era sempre un buon segno.

      “Sono Sylvie Payne,” disse la ragazza con marcato accento del Jersey. “Tecnico del suono.” Si chinò ad accarezza Tandy che scodinzolava freneticamente come se si conoscessero da tempo.

      “Per Libro, campanella e candela?”

      “Esatto. E sono anche la tua vicina di casa.” Le mostro una chiave che pendeva da un portachiavi simile al suo. “Sono al 2B. Comunque, mi sa che siamo in ritardo per la riunione dello staff. Vuoi che andiamo insieme alla ricerca del Gatto Nero?”

      CAPITOLO SETTE

      Mentre passeggiava lungo la Essex Street, Mia si sentiva come se fosse appena entrata in una scena di una storia d’epoca. Quando passarono accanto al Lappin Park, videro la scultura stregata, la statua di una strega a cavallo di una scopa, incorniciata dalla luna piena.

      “Mi sa che sono seri sulle loro streghe,” disse Mia.

      “E sugli stregoni,” aggiunse Sylvie. Passarono accanto a un uomo con un cappotto vittoriano che si stava sistemando i polsini di pizzo.

      Attraversarono la strada ed entrarono in un’area lastricata chiusa al traffico delle automobili. Era piena zeppa di bancarelle colorate che offrivano articoli magici e artefatti mistici. Mia notò sfere di cristallo, pentacoli e sacchettini di erbe impilati su dei carri. I turisti si aggiravano tra i negozi mangiando mele caramellate. La porta di un edificio era spalancata e all’interno era in pieno svolgimento una fiera del paranormale traboccante di visitatori. Quando il cielo iniziò a scurirsi, si levò una fresca brezza e dei lampioni vintage si accesero illuminando l’area con il loro bagliore soffuso. Mia rabbrividì: era affascinante, ma inquietante.

      “Ascoltavo il tuo show,” disse Sylvie. “Era fantastico, a parte la qualità del suono. Attrezzatura economica, scarsa qualità. Molto semplice.”

      “Ho dovuto farmi il mio studio a casa,” disse Mia ridendo. “E non ho mai avuto il lusso di potermi appoggiare a un tecnico del suono. Sinceramente, facevo tutto da sola, e meglio che potevo.”

      “Beh, ora tutto questo cambierà. Avrai un intero staff a tua disposizione, e io trasformerò la tua voce in oro che cola.”

      Mia sorrise sotto ai baffi. Sylvie era sicura e sfacciata in un modo a cui lei non era abituata. Ma se Tandy già la adorava, tutto sarebbe andato alla grande tra loro. Nel tempo Mia aveva imparato che Tandy era il miglior giudice delle persone che le stavano attorno.

      “Penso che sia laggiù,” disse Mia, seguendo la mappa. Mentre passavano sotto a un lampione, quello improvvisamente ebbe uno scatto e si spense. Sylvie sollevò gli occhi e scosse la testa.

      “Non preoccuparti del mio poltergeist,” le disse con tono indifferente.

      “Il tuo cosa?” chiese Mia, non sicura di aver sentito bene.

      “Il mio poltergeist,” disse Sylvie. “Mi segue da anni. Penso sia il mio cugino morto.”

      “Quindi pensi che lo spirito di tuo cugino ti stia inseguendo?”

      “Senti, so che tu sei una scettica, ma questa cosa mi viene dietro da anni. Le luci si accendono e spengono, i volumi si alzano. È una follia. Sto seriamente pensando di andare da un esorcista.”

      Mia mise da parte lo strano fatto tra i suoi pensieri, e quando furono arrivate alla Locanda del Gatto Nero, tenne la porta aperta per Sylvie. Entrarono, passando sotto a un pesante lampadario e accedendo a una stanza con il pavimento in legno e il soffitto decorato da spesse travi. Era impossibile dare un’età precisa alla taverna a primo colpo d’occhio. Il legno era vecchio e scuro, e c’era un ampio caminetto. L’intero ambiente sembrava piuttosto vissuto.

      Un paio di persone che sembravano clienti abituali stavano giocando a freccette in un angolo. Uno degli uomini si voltò e fissò Mia. Era il tizio che aveva visto alla casa dei sette abbaini? Mia notò il barista, un orso d’uomo che stava pulendo bicchieri e seguendo con sguardo accigliato la partita a freccette.

      Una mano scattò in aria e fece loro cenno di avvicinarsi.

      “Ragazze, eccovi qua. Sono Graham.”

      Graham Stone si alzò in piedi e sorrise, le braccia aperte. Indossava una camicia colorata praticamente sbottonata fino all’ombelico e una giacca viola. Al collo portava una grossa catena dorata in stile rapper. I capelli erano tagliati alla moda e tenuti dritti con il gel. Considerato il periodo dell’anno, la sua pelle mostrava uno strano colorito aranciato.

      Aveva carisma, questo era certo. Ma a Mia dava l’impressione di un venditore di auto usate che stava per venderle un limone. Non era sicura di potersi fidare di lui.

      “Lasciate che vi presenti gli altri, qui attorno al tavolo,” disse. “Questo è il mio socio Ollie Cooper, l’uomo dei soldi. Qualsiasi dettaglio del contratto, chiedete a lui.”

      “Ho sentito parlare così tanto di te, Mia,” disse Ollie. Era vestito in modo piuttosto conservatore, con una penna d’argento infilata nel taschino. Lui e Graham costituivano un’accoppiata piuttosto improbabile. Mia si rilassò immediatamente quando lo vide. Aveva un’espressione indifesa e un sorriso caloroso. Il fatto che avesse sistemato le cose anche per Tandy già glielo aveva reso simpatico.

      “Grazie per preparato tutto anche per il mio cane,” disse Mia con un sorriso.

      “Figurati. Vogliamo che tu e…”

      “Tandy,” gli disse Mia.

      “Sì. Vogliamo che tu e Tandy vi sentiate a casa vostra.” Ollie sorrise. Mia si chiese se conoscesse Vic Tandy.

      “Ho già avuto il piacere di conoscere Sylvie,” disse. “Posso offrire a tutte e due qualcosa da bere?” Chiamò la cameriera, mentre Graham continuava con le presentazioni.

      “Questo è Jake Lowry, il miglior microfonista sul campo. Sa anche manovrare piuttosto bene una cinepresa. Sarà con noi ogni volta che usciamo dallo studio.”

      Jake si alzò in piedi, mostrandosi molto più alto di Graham.

      “Piacere di conoscerti,” disse, allungando un braccio tozzo e ricoperto di tatuaggi variopinti. La stretta della sua mano praticamente fagocitò quella di Mia. Si sentì un po’ sorpresa dalla sua stazza, ma la sua stretta di mano era morbida, come se fosse consapevole della sua forza e facesse del proprio meglio per essere delicato.

      “Dov’è il segretario?” chiese Graham sbuffando. “Quel diavolo d’un ragazzo. Doveva arrivare presto.”

      La porta si spalancò di colpo e Mia fu sorpresa di vedere Will. Il ragazzino corse verso il gruppo, portando una pila di carte. Era senza fiato e lasciò cadere tutto sul tavolo.

      “Scusi, signor Stone. Ho dovuto chiudere la cassa prima di andare alla fotocopisteria.” Si lasciò cadere soddisfatto su una sedia, chiaramente emozionato di essere parte dell’organizzazione dello show.

      “Ora ci resta solo una persona, e come al solito è in ritardo.”

      Mia si chinò verso Sylvie.

      “Di chi parla?” sussurrò.

      “Il tuo co-presentatore, Johnny Astor,” le rispose. “È proprio un personaggio.”

      “Il mio co-presentatore?” disse Mia sorpresa. Sapeva che avere due presentatori era un format piuttosto

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