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tagliati a novanta gradi rispetto al suo mento, era abbastanza cortese. Mostrò loro il cadavere del professore, e si allontanò rispettosamente mentre le due donne conducevano il loro esame.

      Disteso nudo sulla barella metallica, l’uomo era ridotto ad un pezzo di carne bianca. Una volta tolto il lenzuolo, fu difficile per Zoe connettere e tenere uniti i collegamenti tra questo corpo di carne morta e l’uomo che era stato un tempo. Chiunque fosse, era andato via da tanto. Riusciva ancora a vederlo, nei polpastrelli ingialliti che indicavano il vizio del fumo e nel piccolo solco dello spessore di un centimetro sull’orecchio sinistro, frutto di anni trascorsi a indossare occhiali della misura sbagliata. Ma l’essenza, lo spirito, qualsiasi cosa avesse riempito e animato questo corpo, era scomparsa nel nulla.

      Era meglio così. Le persone la distraevano. Nascondevano il loro vero io dietro parole e gesti che non sempre riusciva a capire. Ma i cadaveri non mentivano. Erano così com’erano, niente di più e niente di meno.

      Non colpì, ovviamente, il fatto che la sua faccia fosse sparita. Fracassata. Il naso era stato ridotto a una superficie interamente piatta sul volto, tutte le protuberanze e le forme ormai schiacciate verso la parte interna del suo cranio. Il lato destro della testa era anche rotto e schiacciato, caratterizzato da evidenti linee d’impatto. Nessuno sarebbe sopravvissuto a quelle ferite. Persino uno dei suoi occhi era sparito.

      L’equazione era lì sul suo torace, scritta obliquamente dalla parte superiore del petto ad appena sotto l’ombelico. Era tutto come appariva nelle foto: l’intera zona era stata inquadrata fedelmente. Indossando scomodi guanti bianchi monouso, Zoe girò le braccia e le gambe, e lo sollevò persino di fianco con l’aiuto di Shelley. Non riuscirono a vedere altre tracce di inchiostro da nessuna parte, né qualsiasi altro segno che potesse suggerire di essere una parte mancante dell’equazione.

      “Non hanno tralasciato nulla,” disse Shelley ad alta voce, confermando la frustrazione che stava crescendo nel cuore di Zoe.

      “L’altro.” Zoe si girò verso il medico legale. “Dobbiamo vedere anche lo studente.”

      Il medico legale scrollò le spalle, facendo intendere che lo ritenesse inutile, e andò ad aprire un altro scomparto della cella frigorifera che fungeva da tomba temporanea. Fece scivolare il carrello con un prolungato rumore di metallo ben oliato, e si fece da parte per permettere loro di accedere al corpo.

      Lo studente sembrava persino più giovane rispetto alle fotografie, steso sulla fredda barella di metallo con tutto il sangue risucchiato dalle guance insieme all’incarnato. La parte superiore della sua testa era un disastro, spaccata e schiacciata verso l’interno. Era rispettosamente coperto da un lenzuolo, ma il rispetto era soltanto un ostacolo in questo caso. Zoe si avvicinò e lo spostò di lato, notando la riluttanza di Shelley a farlo.

      Per un lungo secondo, Zoe lo fissò, incapace di comprendere cosa stesse guardando. Quindi pensò brevemente che avessero tirato fuori il cadavere sbagliato, ma aveva riconosciuto la sua faccia dalle foto della scena del crimine. Alla fine, prevalse l’incredulità, e lei si voltò verso il medico legale, rivolgendole un’occhiataccia che la fece indietreggiare.

      “Dove sono le equazioni?” chiese Zoe con un tono basso e piatto, abbastanza minaccioso da rivelare la rabbia che si celava dietro.

      “Beh, abbiamo condotto l’autopsia,” balbettò il medico legale, cercando un tavolo di metallo alle sue spalle per reggersi. “Laviamo sempre i cadaveri prima di iniziare.”

      “Avete cancellato le prove.”

      Shelley si avvicinò per posare con delicatezza una mano sul braccio di Zoe, forse per avvertirla di calmarsi. Zoe ignorò il gesto. Stava ribollendo, ogni muscolo del suo corpo voleva esplodere in una scarica di energia e tirare qualcosa contro la parete. Forse persino contro il medico legale.

      Non lo fece soltanto perché andava chiaramente contro l’etica professionale. Come avevano potuto permettere che accadesse qualcosa del genere?

      “Chi ha autorizzato il lavaggio?” domandò Shelley con un tono calmo e tranquillo. Si fece avanti, superando leggermente Zoe, come per proteggerla.

      Il medico legale armeggiò alla ricerca dei documenti balbettando, impallidita. Zoe non ne poteva più. Uscì dalla stanza trattenendo in gola un ruggito, sbattendo la porta dietro di sé per buona misura. Essendo una porta a battente, il gesto perse una parte del suo effetto, ma liberò ugualmente un po’ di tensione dal suo corpo.

      Shelley la raggiunse un paio di minuti più tardi, trovandola a camminare avanti e indietro in fondo al corridoio.

      “Dovremmo far loro rapporto per manomissione delle prove,” disse Zoe, non appena Shelley si avvicinò abbastanza da sentirla.

      “Faceva parte delle loro istruzioni,” sospirò Shelley, scrollando le spalle. “Il fotografo era sicuro che avessero colto tutto. Possiamo soltanto credere alla loro parola.”

      “Dovrebbero comunque essere sanzionati. Non hanno un minimo di buon senso. Era chiaramente una prova. E gli investigatori principali non avevano ancora visto il cadavere!”

      “Beh, a dire il vero, questo era un caso locale quando hanno effettuato l’autopsia, non un caso federale. Ma quello che è fatto è fatto. Dobbiamo lavorare con quello che abbiamo in mano.”

      Shelley si stava comportando in modo razionale, troppo razionale. A Zoe non piacque il suo atteggiamento. Lei voleva una giustificazione per la frustrazione che provava, maledizione, un sentimento in comune tra loro due. Odiava quando la facevano sentire come se fosse la maniaca della situazione. Le cose che venivano fatte in modo sbagliato erano un problema. Le persone avrebbero dovuto svolgere il lavoro per il quale venivano pagate. È così che funzionava la società.

      “Una cosa del genere avrebbe dovuto essere chiaramente importante,” disse Zoe, facendo un ultimo tentativo per indurre Shelley ad arrabbiarsi.

      Non le riuscì. “Dobbiamo comunque andare avanti,” rispose Shelley, dirigendosi fuori e guardando indietro per assicurarsi che Zoe la stesse seguendo. “Ora dovremmo andare a parlare con la moglie del professore?”

      Zoe annuì, arrendendosi. Forse stava reagendo in maniera esagerata. Le era stato detto che avrebbe potuto farlo, di tanto in tanto.

      C’era altro in questo caso, oltre alle prove fisiche sui cadaveri. Ovvio, la matematica era allettante, così come lo era il bersaglio di una rispettata università. Ma c’era sempre un’altra storia da ascoltare dalle famiglie delle vittime, le persone che le conoscevano.

      Forse la signora Henderson sarebbe stata in grado di gettare una luce sulla morte di suo marito, e far sì che questo caso frustrante venisse risolto il prima possibile.

      CAPITOLO CINQUE

      Shelley occupò il sedile del guidatore, un evento raro quando andava in auto con la sua partner. Shelley sapeva che Zoe solitamente aveva mal d’auto, ma oggi era talmente concentrata sulle sue equazioni che sembrava notare a stento la strada. Non stava neanche stringendo la cintura di sicurezza, il suo consueto segnale di disagio.

      Shelley le rivolgeva uno sguardo ogni volta che ne aveva la possibilità, quando era in attesa agli incroci o ferma nel traffico. Quello che Zoe stava scarabocchiando freneticamente su diverse pagine del suo taccuino non aveva alcun senso per lei. Avrebbero potuto benissimo essere geroglifici.

      Zoe aveva un vero dono quando si trattava di numeri, ma c’era anche il rovescio della medaglia. A volte, come ora, poteva prendere il controllo un’ostinata ossessione. Per quanto Shelley volesse esserle d’aiuto, non aveva idea di cosa fosse necessario, e Zoe non aveva intenzione di dirglielo. Lei era così, anche piuttosto spesso. Silenziosa, chiusa. Shelley aveva sentito delle voci a proposito dei suoi precedenti partner, e non le fu difficile dedurre che, nella sua mente, forse Zoe aveva smesso di fidarsi delle persone un sacco di tempo fa.

      Zoe era abituata a lavorare da sola. Se fosse dipeso da lei, Shelley l’avrebbe cambiata. Ma ci sarebbe voluto un sacco di tempo per farlo. Nel frattempo, avrebbe dovuto continuare a incitarla e a ricordarle di condividere le sue riflessioni.

      Ecco, magari non quelle relative alla matematica. Shelley poteva lasciare che Zoe lavorasse da

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