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vittima, ma c’era tempo per quello. Tirò fuori il taccuino e una penna e iniziò a scrivere, facendo solchi rapidi e nitidi sulla pagina mentre iniziava a delineare una bozza. Lettere greche, linee, parentesi, triangoli con il vertice rivolto verso il basso: tutti i simboli in matematica quantistica avevano un significato equivalente in grado di rivelare un numero. M diviso per t” meno t’, uno diviso per s’ e quindi sommato a uno diviso per s”, e via dicendo, il tutto per trovare il valore di B1 da inserire, in seguito, in un’altra riga dell’equazione per trovare il valore di un’altra figura.

      Le operazioni iniziarono piuttosto facilmente. Se il valore di M era uguale a quello di r’, allora le prime due righe avevano perfettamente senso; ma poi la terza mandava tutto a monte, e sembrava restituire un valore totalmente diverso per M. Va bene, andava risolta in un altro modo. Forse M era, in realtà, il doppio del valore di r’, che aveva ancora abbastanza senso e faceva funzionare la terza riga; ma entro la sesta riga, il valore di M doveva raggiungere zero, e di nuovo non aveva alcun senso.

      Zoe rialzò lo sguardo senza avere idea di quanto tempo fosse trascorso. Ad un certo punto, Shelley si era seduta di fronte a lei e stava guardando qualcosa sullo schermo del cellulare.

      “Non ha alcun senso,” disse Zoe.

      Shelley alzò lo sguardo, sollevando un sopracciglio accuratamente modellato. “Non riesci a risolverle?”

      Le labbra di Zoe si disposero a formare una linea piatta prima che potesse ammetterlo. “Non ci riesco ancora,” rispose. “Forse ci manca qualche sorta di indizio. Questo è proprio tutto? Non c’era nient’altro scritto sulle loro schiene, sulle braccia o da qualche altra parte?”

      “Ne so quanto te,” disse Shelley. “Mi stavo documentando sul professore. Non emerge niente dalla sua storia accademica, né dalle informazioni sulla sua vita privata reperibili online.”

      “Ricontrolla le foto,” suggerì Zoe, passandole un mazzetto e prendendone alcune per sé. Studiò attentamente gli scatti, i suoi occhi guardarono le angolazioni delle ossa, il grado al quale una gamba era piegata nel rigor mortis, la lunghezza degli strappi sulle loro camicie rispetto alla forza evidente del materiale e delle cuciture. Non riusciva a vedere collegamenti. Altezza, peso, età, era tutto diverso; e non c’era nessuna ulteriore traccia di inchiostro distribuito sulla pelle.

      La cosa preoccupante, ovviamente, era che gli schemi matematici diventavano più facili da prevedere all’aumentare dei dati a disposizione. Due numeri potevano sembrare non collegati; troppe possibilità per scegliere una direzione precisa. Ma tre numeri, beh … con tre numeri era possibile mettere da parte la casualità, costruire una relazione, una formula. Ma per quello sarebbe stato necessario un altro omicidio.

      E loro sicuramente non volevano niente del genere.

      “Non ho nulla,” disse Shelley, scuotendo la testa.

      “Scambiamocele,” consigliò Zoe, porgendo il suo mazzetto di foto e prendendo quello di Shelley. “L’unica cosa rilevante è l’angolo di impatto della testa della prima vittima. L’aggressore era un po’ più basso, probabilmente un metro e settantacinque.”

      Stesso risultato, stessa frustrazione. Nessuna traccia di inchiostro sui vestiti, nessuna sbavatura dei numeri sotto il tessuto, niente nelle vicinanze, in generale. Le piazzole del garage non erano numerate e non c’erano numeri sui muri, sui pilastri di cemento che reggevano il soffitto, sull’erba in prossimità della quale era stato ritrovato lo studente.

      Niente.

      Zoe si arrese, scuotendo il capo. “Devo vedere il cadavere del professore,” disse. “È l’unico modo che abbiamo per individuare qualcosa che le foto non ci hanno ancora detto.”

      “Grandioso,” disse Shelley. Probabilmente era sarcastica; Zoe aveva sempre avuto difficoltà a capire la differenza. “Allora andiamo a dare un’occhiata da vicino ad un tizio morto.”

      CAPITOLO QUATTRO

      Zoe batteva le dita sul volante mentre si dirigevano verso l’ufficio del medico legale del posto, guardando Shelley di sbieco. C’era qualcosa a proposito di questo caso che già la infastidiva, e doveva dare voce ai dubbi che si stavano insinuando nella sua testa prima che iniziassero a tormentarla. “Strano che Maitland sapesse che desideravo lavorare su un caso con componenti matematiche. Non gli avevo mai detto che mi piace lavorare con i numeri.”

      Shelley si schiarì leggermente la voce, evitando di voltarsi per non incontrare lo sguardo della sua partner. “Beh, sono stata io a proporci per questo caso. Mi è capitato di sentirne parlare e il comandante ha accettato che ce ne occupassimo noi.”

      Zoe metabolizzò per un istante. Solitamente non otteneva le cose dal suo capo soltanto chiedendole. “Solo questo? Non hai avuto bisogno di convincerlo?”

      Shelley stava giocherellando con il pendente che indossava, una freccia d’oro con un diamante incastonato che aveva ereditato da sua nonna, girandolo tra le dita. “Gli ho detto che, dato che sei brava in matematica, saremmo state in grado di occuparcene meglio rispetto a chiunque altro.”

      Zoe resistette all’istinto di pigiare sui freni, tenendo l’auto costante e regolare. Si concentrò sulla strada fino a quando il frastuono nella sua mente non si affievolì, e parlò consapevolmente e in modo calmo. “Gli hai detto che sono ‘brava in matematica’?”

      “È tutto quello che gli ho detto, lo giuro. Non gli ho raccontato la verità. Sai, quella riguardante ciò che sai fare.”

      Shelley sembrava dispiaciuta, ma non abbastanza da allontanare il fragore dalle orecchie di Zoe. Brava con la matematica. Era piuttosto simile alla verità, troppo per essere tranquillizzante. Si trattava quasi di un’ammissione.

      Forse aveva commesso un gravissimo errore a credere che Shelley non avrebbe rivelato il suo segreto. Ma la sua partner aveva giurato, così tante volte, che non l’avrebbe detto a nessuno senza il permesso di Zoe. Sebbene tecnicamente non l’avesse fatto, ci era andata vicino. Troppo vicino.

      “Ascolta, scusami, ok?” chiese Shelley. Il suo tono di voce si era alzato, adesso. “Mi dispiace davvero se non volevi che lo dicessi, ma si tratta soltanto di una piccolissima parte del modo in cui le cose stanno davvero. Non è il quadro completo. E chiunque può essere bravo in matematica, no? Non ti rende così tanto diversa.”

      Le dita di Zoe si strinsero al volante, in modo talmente forte che l’impugnatura di gomma fece un leggero rumore, e irrigidì la mascella. “Non spettava a te dirglielo.”

      “Ho solo … non credevo sarebbe stato un grosso problema dirlo a questa maniera.” Shelley sospirò, appoggiandosi al poggiatesta del sedile del passeggero. “Ho fatto un casino, lo capisco adesso. Mi dispiace. Ma dopo che hai risolto il nostro grande caso in Kansas, di sicuro avrebbero capito comunque che sei brava con i numeri. So che non posso dirlo a nessuno, e non voglio assolutamente farlo, ma non capisco perché tu senta il bisogno di doverlo nascondere.”

      Zoe strinse i denti. Era ovvio che Shelley non capisse. Shelley non si era trovata in quella situazione. Non era stata costretta a pregare ai piedi del letto, sul pavimento freddo, tutta la notte, con sua madre che urlava e le faceva sermoni a proposito dei doni del diavolo. Non era stata rimproverata a scuola per la sua distrazione, o derisa ed emarginata dagli altri bambini per le cose inquietanti che riusciva a capire soltanto con uno sguardo.

      Non aveva vissuto tutte le relazioni fallite di Zoe, che più e più volte si era sentita incompresa ed era rimasta a mani vuote, con l’etichetta di “schizzata” e il cuore sempre più infranto.

      “Spetta a me scegliere se rivelare o meno il mio segreto,” disse con fermezza, non appena il suo cuore rallentò abbastanza da permetterle di dire le parole piuttosto che sputarle. Shelley, dal canto suo, ebbe la saggezza di evitare qualsiasi risposta.

      Accostarono fuori l’ufficio del medico legale e Zoe sbatté la portiera dell’auto dietro di sé, incamminandosi verso l’entrata. Poi si fermò. Non sarebbe stato affatto utile proseguire con questo tipo di energia addosso. Doveva dimenticare la questione, riporla in un cassetto della propria mente e tornarci in seguito. Per ora, doveva comportarsi in modo professionale.

      Il

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