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metterti a dura prova.”

      Zoe scrollò le spalle. “I cadaveri sono cadaveri. È la mancanza di soluzioni a infastidirmi.”

      “E questo è un caso che non sei ancora stata in grado di risolvere.” Non era una domanda. Zoe l’aveva già preparata al fatto che avesse bisogno d’aiuto. La dottoressa Applewhite sapeva che era un caso aperto, in corso, e che bisognava richiedere un permesso persino per avere questa conversazione. Capiva anche che il tempo era prezioso. Ad ogni ora che passava, le probabilità di trovare la persona che aveva commesso quegli atti diminuivano sempre di più.

      Nel caso degli omicidi, la verità era che le prime ventiquattro ore avevano un’importanza cruciale. Lo sapevano tutti. Quarantotto ore senza un arresto, e avrebbero iniziato a camminare su una strada pericolosa. Erano casi che sarebbero diventati episodi di show televisivi notturni.

      Lo studente universitario era morto da ben più di quarantotto ore.

      “Devo capirne il significato,” spiegò Zoe. “Al momento, questo è l’unico indizio che abbiamo. Non sembrano esserci connessioni tra il professore e lo studente, al di là del luogo. Nessun testimone, nessuna copertura da parte di telecamere di sorveglianza. Dobbiamo capire che tipo di messaggio sta cercando di inviare l’assassino, se vogliamo fermarlo.”

      La dottoressa Applewhite aveva lo sguardo aggrottato sulle immagini, e le mise accanto agli appunti di Zoe per eseguire i calcoli che lei aveva già svolto.

      “Il tuo lavoro mi sembra sensato” disse dopo un po’. “Non riesco a fare nient’altro rispetto a ciò che hai già fatto tu. Questa è roba estremamente avanzata, oltre il livello al quale lavoro.”

      A Zoe caddero le braccia. Era stata convinta, così convinta, che la dottoressa Applewhite avrebbe avuto le risposte. Ora queste speranze sembravano svanite.

      Stava già vagliando le alternative, cercando di pensare a cosa avrebbe detto a Shelley, quando la dottoressa Applewhite ricominciò a parlare.

      “Conosco qualcuno che potrebbe aiutarci,” disse. “Professori. Un paio di matematici che lavorano in altri settori. Se potessi mostrar loro tutto questo, potremmo andare un po’ avanti. È il tipo di sfida che piacerà a tutti, e quantomeno saremo sicure di avere delle menti esperte al lavoro.”

      Zoe approvò. “Sarebbe utile.”

      La dottoressa Applewhite sistemò i capelli ingrigiti dietro un orecchio e alzò lo sguardo, fissando Zoe con occhi curiosi, adesso. “Come la stai affrontando? Non capita spesso che un enigma matematico ti metta in difficoltà.”

      Zoe considerò per un attimo di mentire, ma poi abbassò le spalle. “È un po’ un fallimento. Questa è la mia specialità. Dovrei essere in grado di risolvere queste equazioni. Se non posso farlo io, chi potrà farlo nell’FBI?”

      Queste parole, dette da chiunque altro, sarebbero sembrate arroganti. Nel caso di Zoe, si trattava un puro fatto. Analisti e simili potevano anche trascorrere tutto il giorno a lavorare con i numeri, ma non ne avevano la percezione istintiva propria di Zoe. Non potevano guardare un’equazione sulla pagina e vederne la soluzione come se fosse scritta accanto. Almeno era quello che le accadeva di solito.

      Ma stavolta era diverso.

      “Non puoi pretendere di risolvere tutto. Nessun agente dell’FBI, nella storia del Bureau, ha mai avuto un tasso di casi risolti del cento per cento.”

      Zoe le rivolse un pallido sorriso. “Sono certa che ci siano stati esempi del genere. Agenti che sono stati uccisi o che hanno mollato subito dopo aver risolto il loro primo caso, per dirne una.”

      La dottoressa Applewhite alzò gli occhi al cielo. “È proprio da te trovare la scappatoia. Ok, farò qualche chiamata e porterò queste equazioni all’attenzione di alcuni dei miei colleghi. Non dirò loro di cosa si tratta, ma solo che è urgente e che è una bella sfida. Questo dovrebbe incuriosirli abbastanza da spingerli a lavorarci su. Ti farò sapere quando qualcuno troverà una soluzione.”

      “O anche qualcos’altro,” suggerì Zoe. “Se qualcuno dovesse trovare un errore o una traccia di un qualcosa di mancante. Non siamo state in grado di controllare per bene il primo cadavere, per vedere se al fotografo fosse sfuggito qualcosa. Tenga presente che anche noi non sappiamo se questa sia stata concepita per essere un’equazione singola o due problemi separati.”

      “Capito.” La dottoressa Applewhite ripose le fotografie sulla scrivania davanti a lei, cinque centimetri a destra, più vicino al suo portatile. Un gesto che rassicurò Zoe della sua intenzione a iniziare a occuparsene il prima possibile. “Ora, cosa mi dici dei consigli della dottoressa Monk? Hai pensato di …”

      La suoneria di Zoe eruppe dalla tasca, accompagnata da un forte ronzio. Salvata dalla campanella, pensò, mentre assumeva un’espressione dispiaciuta e rispondeva alla chiamata.

      “Agente Speciale Prime.”

      “Z, sono io. Ho trovato qualcosa tra le e-mail del professore.”

      “Arrivo subito,” le rispose Zoe, chiudendo la chiamata e alzandosi di scatto dalla poltrona con un cenno alla sua mentore. Qualsiasi cosa fosse, doveva essere più promettente del nulla che avevano in mano.

      CAPITOLO SETTE

      Zoe parcheggiò l’auto all’interno del campus. A quest’ora, con la sera che calava rapidamente, era decisamente al completo; le auto appartenevano agli studenti che vivevano nei vari dormitori e appartamenti sparsi in giro. Ognuna di esse aveva un pass universitario attaccato al parabrezza anteriore. L’auto di Zoe aveva qualcosa di meglio: un adesivo dell’FBI.

      “Leggimela di nuovo” chiese Zoe. Era ancora dubbiosa a proposito della teoria di Shelley. Essere arrabbiati per un calo dei voti era una cosa, ma arrivare al punto di uccidere …?

      Shelley aprì l’e-mail sul suo cellulare senza neanche un sospiro di frustrazione, cosa che le faceva onore. Aveva salvato la schermata e l’aveva portata con sé come prova, prova di cui avrebbero avuto bisogno per affrontare lo studente che l’aveva inviata.

      “‘Professore,’” lesse. “‘Non riesco a credere che mi abbia bocciato. Insomma, seriamente? Mi sono fottutamente impegnato con il suo test e lei ha semplicemente deciso di sbattermi fuori a calci dal corso! Gli insegnanti dovrebbero aiutare e sostenere. Grazie mille, cazzo. Sei il peggior professore che abbia mai avuto. Spero ti licenzino. Non sono l’unico che ti odia a morte. Verrai appeso per le palle se il rettore darà ascolto alle nostre lamentele. Buonanotte, stronzo.’”

      Zoe aveva smesso di ascoltare prima che Shelley terminasse. L’aveva già sentita un paio di volte, e neanche stavolta aveva cambiato opinione. Era una spacconata da studente, tutto qui. Minacce rivolte alla sua carriera, non alla sua vita.

      Per non parlare del fatto che lo studente in questione studiava Inglese, non matematica. Non era un collegamento abbastanza diretto. Come poteva riuscire uno studente, che a stento aveva delle basi di istruzione, a scrivere equazioni complesse? Talmente complesse da mettere in difficoltà degli esperti?

      E inoltre, nonostante questo ragazzo fosse arrabbiato con il professore, non si spiegava affatto il motivo per il quale avrebbe dovuto dare la caccia alla prima vittima, l’altro studente.

      “Allora?” chiese Shelley.

      Zoe si rese conto di essere rimasta in silenzio e di non aver risposto a Shelley. Scrollò le spalle. “Sembra una cosa da niente.”

      “Andiamo, Z, ha minacciato direttamente il professore,” disse Shelley. “E questa allusione ad altri studenti insoddisfatti … e se conoscesse qualcuno che avrebbe potuto ucciderlo? Come minimo dobbiamo portarlo dentro per interrogarlo.”

      Zoe fissò il campus buio, le braccia incrociate al petto davanti al volante. “Se lo dici tu.”

      Chiaramente non era la risposta che Shelley si aspettava di ricevere, dato che emise un verso infastidito e si allontanò.

      Il suo telefono vibrò quasi nello stesso istante e lei abbassò lo sguardo per leggere il messaggio in arrivo. “Ho appena ricevuto un’e-mail da una segretaria dell’ufficio ammissioni. Mi ha inviato il

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