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rispose la Parks. “Ma tra le cinque e le sette ore sarebbe una stima accurata. Un incendio lento e controllato, come quelli usati nei forni crematori, può impiegare fino a otto ore.”

      “E invece questo è bruciato in meno di un’ora e mezza?” domandò Connelly.

      “Sì, questa è l’ipotesi,” disse la Parks.

      La sala conferenze si riempì di bisbigli di disgusto e stupore. Avery lo capiva. Era difficile riuscire a scenderci a patti.

      “Oppure,” disse Avery, “il corpo è stato bruciato altrove e i resti sono stati abbandonati in quel lotto questa mattina.”

      “Ma lo scheletro… quello era uno scheletro nuovo,” affermò la Parks. “Ha passato molto poco tempo senza la sua pelle, i muscoli, i tessuti e tutto il resto. Davvero pochissimo tempo.”

      “Riesce a darci una stima di quanto tempo fa il corpo è stato bruciato?” chiese Avery.

      “Di certo non più di un giorno fa.”

      “Quindi c’è voluta molta pianificazione e studio da parte del killer,” concluse Avery. “Deve saperne molto su come si bruciano i corpi. E siccome che non ha fatto alcun tentativo di nascondere i resti, e ha anche ucciso la vittima in una maniera tanto sorprendente… possiamo già raggiungere qualche conclusione. E quella che temo di più è che probabilmente questo sarà il primo di molti omicidi.”

      “Che cosa vuoi dire?” chiese Connelly.

      Lei sentì tutti gli sguardi presenti nella stanza su di sé.

      “Voglio dire che probabilmente è l’opera di un serial killer.”

      Un silenzio attonito gravò sulla stanza.

      “Di che cosa stai parlando?” domandò Connelly. “Non hai prove per supportare un’affermazione del genere.”

      “Niente di ovvio,” ammise Avery. “Ma voleva che i resti fossero trovati. Non ha fatto alcun tentativo di nasconderli in quel lotto. C’è un ruscello proprio in fondo alla proprietà, avrebbe potuto abbandonarlo lì. Inoltre c’è la cenere. Perché lasciare la cenere sulla scena quando puoi eliminarla facilmente a casa? La pianificazione e il metodo dell’omicidio… è molto fiero di ciò che ha fatto, ne ha ricavato piacere. Voleva che i resti fossero trovati e che se ne parlasse. E questi sono tutti segni che indicano un serial killer.”

      Sentì tutti i presenti ricambiare il suo sguardo, percepì la solennità del momento e capì che erano arrivati tutti alla stessa conclusione: quella faccenda si stava trasformando da un bizzarro caso su una cremazione improvvisata a un’urgente caccia al serial killer.

      CAPITOLO CINQUE

      Dopo la tensione della riunione, Avery fu felice di ritrovarsi dietro al volante della sua auto, con Ramirez nel sedile del passeggero. Tra di loro c’era uno strano silenzio che la mise a disagio. Era davvero stata tanto ingenua da credere che andare a letto insieme non avrebbe alterato il loro rapporto di lavoro?

      Era stato uno sbaglio?

      Iniziava a pensare che lo fosse stato. Purtroppo il fatto che il sesso fosse stato praticamente stravolgente lo rendeva difficile da accettare.

      “Mentre abbiamo un minuto di tempo,” iniziò Ramirez, “vogliamo parlare della notte scorsa?”

      “Certo,” rispose Avery. “Di che cosa vuoi parlare?”

      “Beh, a rischio di sembrare il classico maschio stereotipato, mi chiedevo se fosse una cosa di una notte sola o se lo faremo di nuovo.”

      “Non lo so,” replicò Avery.

      “Te ne stai già pentendo?” chiese lui.

      “No,” lo rassicurò. “Nessun pentimento. È solo che lì per lì non ho pensato a come avrebbe influenzato il nostro rapporto di lavoro.”

      “Non credo che possa rovinarlo,” disse Ramirez. “Scherzi a parte, io e te abbiamo girato attorno a questa attrazione fisica per mesi. Finalmente abbiamo fatto qualcosa, quindi la tensione dovrebbe essere svanita, giusto?”

      “È proprio da te pensarla così,” replicò Avery con un sorriso malizioso.

      “Tu non lo credi?”

      Lei ci pensò su per un po’ e poi scrollò le spalle. “Non lo so. E a essere sincera, non sono certa di essere già pronta a parlarne.”

      “Mi sembra giusto. In effetti siamo nel bel mezzo di un caso che sembra decisamente complicato.”

      “Sì, lo siamo,” disse lei. “Hai ricevuto l’email del distretto? Che altro sappiamo del testimone, a parte il suo indirizzo di casa?”

      Ramirez cercò nel telefono e ritrovò la mail. “Eccola,” annunciò. “Il nostro testimone si chiama Donald Greer, di ottantuno anni. In pensione. Vive in un appartamento a meno di un chilometro di distanza dalla scena del crimine. È un vedovo che ha lavorato cinquantacinque anni come supervisore in un cantiere navale, dopo essersi fatto saltare via due dita dei piedi in Vietnam.”

      “E come è riuscito a vedere l’assassino?” chiese Avery.

      “Questo ancora non lo sappiamo. Suppongo che scoprirlo sia il nostro lavoro, giusto?”

      “Giusto,” disse lei.

      Tra di loro ricadde il silenzio. Avery sentì l’istinto di tendersi e prenderlo per mano, ma ci ripensò. Era meglio mantenere la situazione strettamente professionale. Forse sarebbero finiti lo stesso di nuovo a letto insieme e magari le cose sarebbero andate ancora oltre—fino a diventare qualcosa di più emotivo e concreto.

      In quel momento non aveva alcuna importanza. Avevano un lavoro da fare e tutto ciò che avesse a che fare con le loro vite private doveva essere messo da parte.

      ***

      Donald Greer dimostrava tutti i suoi ottantuno anni. I suoi capelli erano una folta e scarmigliata massa bianca in cima alla testa e i denti erano leggermente scoloriti per l’età e le cure sbagliate. In ogni caso, era chiaramente lieto di ricevere visite mentre accoglieva Avery e Ramirez in casa sua. Quando sorrise, fu in modo tanto sincero e aperto che le condizioni anti-estetiche dei suoi denti sembrarono svanire.

      “Vi posso offrire del caffè o del tè?” chiese loro mentre entravano.

      “No, grazie,” rispose Avery.

      Da qualche parte in casa un cane abbaiò. Era un cane piccolo e i suoi versi suggerivano che fosse vecchio almeno quanto Donald.

      “Quindi, si tratta dell’uomo che ho visto stamattina?” chiese Donald. Si lasciò cadere su una poltrona nel soggiorno.

      “Sì, signore, è così,” replicò Avery. “Ci è stato detto che ha visto un uomo alto che sembrava nascondere qualcosa sotto il suo…”

      Il cane che si trovava da qualche parte nelle stanze sul retro dell’appartamento, cominciò ad abbaiare ancora più forte. I suoi guaiti erano rumorosi e piuttosto rauchi.

      “Zitta, Daisy!” gridò Donald. Il cane si ammutolì, dopo un fioco guaito. Donald scosse la testa e ridacchiò. “A Daisy piace molto la compagnia,” spiegò. “Ma sta invecchiando e ha la tendenza a fare la pipì sulle persone quando si emoziona troppo, quindi ho dovuto chiuderla per il vostro arrivo. Ero fuori a farle fare la passeggiata quando ho visto quell’uomo.”

      “Fin dove arriva con il cane?” chiese Avery.

      “Oh, io e Daisy camminiamo almeno due chilometri e mezzo ogni mattina. Il mio cuore non è più quello di una volta e il dottore ha detto che devo camminare il più possibile. Così dovrebbero rimanere in forma anche le mie articolazioni.”

      “Capisco,” disse lei. “Fa sempre lo stesso percorso tutte le mattine?”

      “No. Di tanto in tanto lo cambiamo.

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