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chinò in avanti e gli baciò un angolo della guancia. Lui sospirò e si tese verso di lei.

      “Che cosa c’è?” chiese lei, sfiorandogli la pelle con le labbra quando parlò.

      “È solo che ora questo è reale, capisci? Non è una storia di una notte e basta. È reale. Io tengo a te, Avery. Ci tengo davvero. E non voglio affrettare le cose.”

      “Ci stiamo girando attorno da quattro mesi,” disse lei. “Non credo che stiamo correndo.”

      “Ottima osservazione,” commentò lui. La baciò su una guancia e sulla piccola parte della spalla che la sua maglietta lasciava vedere. Poi le sue labbra trovarono il collo e quando la baciò lì, lei pensò che avrebbe potuto accasciarsi al suolo sul posto, trascinando anche lui insieme a sé.

      “Ramirez?” disse, rifiutandosi ancora giocosamente di usare il suo nome di battesimo.

      “Sì?” chiese lui, con il volto ancora appoggiato al suo collo, intento a depositare baci.

      “Portami in camera da letto.”

      Lui la attirò a sé, la sollevò e le lasciò stringere le gambe intorno alla sua vita. Iniziarono a baciarsi e lui le obbedì. La portò lentamente in camera e quando chiuse la porta della stanza, Avery era talmente presa dal momento che nemmeno la udì richiudersi.

      Tutto ciò di cui era consapevole erano le sue mani, la sua bocca, il corpo muscoloso che premeva contro il proprio mentre la sdraiava sul letto.

      Lui interruppe il loro bacio abbastanza a lungo da chiederle: “Ne sei certa?”

      E se lei avesse avuto bisogno di un'altra ragione per desiderarlo, quella domanda le sarebbe bastata. Lui le voleva sinceramente bene e non voleva rovinare quello che c'era tra di loro.

      Avery annuì e lo attirò giù, su di sé.

      E per un po', lei non fu più una frustrata detective della squadra Omicidi o una madre in difficoltà, né una figlia che aveva dovuto guardare la madre morire per mano del padre. Allora fu semplicemente Avery Black... una donna come tutte le altre, che si godeva i piaceri che la vita aveva da offrire.

      Si era quasi dimenticata come si faceva.

      E non appena iniziò a riprenderci la mano, giurò a se stessa che non li avrebbe mai più dimenticati.

      CAPITOLO TRE

      Avery aprì gli occhi e guardò il soffitto sconosciuto sopra la sua testa. La tenue luce dell'alba entrava dalla finestra della camera da letto, ricadendo sul suo corpo quasi completamente nudo. Illuminava anche la schiena scoperta di Ramirez accanto a lei. Si voltò leggermente e sorrise assonnata. Lui era ancora addormentato, con il volto girato dall’altra parte.

      Avevano fatto l’amore due volte la notte prima, prendendosi due ore tra ogni sessione per preparare una cena veloce e per discutere di come andare a letto insieme avrebbe potuto complicare il loro rapporto di lavoro, se non fossero stati attenti. Era quasi mezzanotte quando erano scivolati nel sonno fianco a fianco. Avery era stata assonnata e non riusciva a ricordare il momento in cui si era addormentata, ma rammentava il suo braccio attorno alla vita.

      Voleva provarla di nuovo… la sensazione di essere desiderata e al sicuro. Pensò di fargli scorrere le dita lungo la base della spina dorsale (oltre che in qualche altro punto, magari) solo per svegliarlo perché lui la potesse stringere.

      Non ne ebbe mai l’occasione. La suoneria dei messaggi del suo cellulare squillò. Lo stesso fece quella di Ramirez. Suonarono in contemporanea, un evento che poteva significare una cosa sola: riguardava il lavoro.

      Ramirez si alzò in fretta. Nel gesto, il lenzuolo gli scivolò di dosso e svelò tutto. Avery diede un’occhiatina, non riuscendo a resistere alla tentazione. Lui afferrò il telefono dal comodino e lo fissò, con occhi stretti dal sonno. Nel frattempo Avery recuperò il proprio cellulare dalla pila di abiti sul pavimento.

      Il messaggio veniva da Dylan Connelly, il supervisore della Omicidi dell’A1. In perfetto stile Connelly, il messaggio era diretto e dritto al punto:

      È stato trovato un corpo. Molto ustionato. Forse un trauma alla testa.

      Porta il culo al sito di costruzioni abbandonato sulla Kirkley St ORA.

      “Ma che bello svegliarsi così, di prima mattina,” borbottò lei.

      Ramirez scese dal letto, ancora completamente nudo, e si accovacciò sul pavimento insieme ad Avery. L’attirò a sé e commentò: “Sì, è molto piacevole svegliarsi in questo modo, il mattino.”

      Avery si appoggiò a lui, leggermente allarmata da quanto fosse follemente soddisfatta in quel momento. Borbottò di nuovo e si alzò in piedi.

      “Merda,” disse. “Arriveremo tardi sulla scena. Devo prendere la mia auto e anche tornare a casa per un cambio di vestiti.”

      “Andrà tutto bene,” la rassicurò Ramirez mentre iniziava a vestirsi. “Io gli risponderò tra pochi minuti, mentre tu vai a prendere l’auto. Fai passare un po’ di tempo prima di rispondere. Magari lo squillo del messaggio non ti ha svegliata. Forse ti ho dovuta chiamare io per tirarti in piedi.”

      “Sembra un inganno,” rispose lei, infilandosi la maglietta.

      “È una furbata, ecco cosa è,” replicò lui.

      Si sorrisero l’un l’altra mentre finivano di vestirsi. Poi andarono in bagno, dove Avery fece del suo meglio per dare un senso ai suoi capelli mentre Ramirez si spazzolava i denti. Si affrettarono in cucina e Avery mise insieme due tazze di cereali.

      “Come puoi vedere,” spiegò, “sono una cuoca provetta.”

      Lui l’abbracciò da dietro e sembrò godersi il suo profumo. “Staremo bene?” chiese. “Possiamo farlo funzionare, vero?”

      “Credo di sì,” rispose lei. “Andiamo là fuori e proviamoci.”

      Divorarono i loro cereali, passando la maggior parte del tempo a guardarsi a vicenda, cercando di valutare la reazione dell’altro a ciò che era successo la notte prima. Da quello che Avery riusciva a capire, Ramirez era felice esattamente quando lei.

      Si diressero fuori dalla porta d’ingresso, ma prima che Ramirez la chiudesse alle loro spalle, si fermò. “Aspetta, torniamo dentro un secondo.”

      Confusa, lei tornò in casa.

      “Dentro,” disse lui, “siamo fuori servizio. Non siamo ufficialmente partner, giusto?”

      “Giusto,” rispose Avery.

      “Quindi posso fare questo un’altra volta,” replicò lui.

      Si chinò e la baciò. Fu un bacio stravolgente, tanto forte da farle cedere leggermente le ginocchia. Lei lo spinse via allegramente. “Come ho detto prima,” annunciò, “non iniziare. A meno che tu non abbia anche intenzione di finire.”

      “Devo rimandare,” disse Ramirez. La ricondusse fuori e quella volta chiuse la porta dietro di loro. “Okay, ora siamo in servizio. Faccia strada, detective Black.”

      ***

      Seguirono il piano di Ramirez. Avery rispose al messaggio di Connelly solo sedici minuti dopo. A quel punto era quasi tornata al suo appartamento ed era ancora su di giri per come era andata la serata. Riuscì a vestirsi, a prendere un caffè e a tornare in strada in meno di dieci minuti. Il risultato, ovviamente, fu che arrivò sulla scena su Kirkley Street circa mezz’ora più tardi di quanto Connelly avrebbe preferito.

      C’erano già diversi agenti che si aggiravano per la zona. Erano tutti volti familiari, volti che era arrivata a conoscere e a rispettare da quando era diventata detective della Omicidi. Le espressioni sulle loro facce quella mattina le fecero intuire che sarebbe stata una giornata lunga e difficile.

      Tra i presenti c’era anche Mike O’Malley. Avery trovò preoccupante

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