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mamma. Non sono più una bambina.”

      “Beh, questo è ovvio.”

      “Oltretutto,” continuò la ragazza, mettendo via l’ultimo piatto e accantonando la scatola vuota. “Non sono più del tutto sola.”

      Ed eccole arrivate al punto della questione. Ultimamente Rose era stata un po’ distratta ma anche di buon umore, e un ovvio buon umore era un avvenimento raro per Rose Black. Avery aveva supposto che potesse c’entrare un ragazzo e quello era un altro argomento scomodo che non era preparata ad affrontare. Non era stata lei a spiegare il ciclo mestruale a Rose, non era con lei che la figlia aveva parlato della sua prima cotta, del primo ballo e del primo bacio. Ora che potenzialmente aveva davanti la vita amorosa della figlia diciottenne, si rendeva conto di tutto quello che si era persa.

      “Che cosa vuoi dire?” chiese Avery.

      Rose si morse un labbro, come se fosse pentita di aver parlato.

      “Io… beh, potrei aver incontrato qualcuno.”

      Lo disse casualmente e come se non fosse niente di importante, rendendo ovvio che non era interessata a parlarne.

      “Ah, sì?” domandò Avery. “Quando è successo?”

      “Circa un mese fa,” rispose Rose.

      Cioè precisamente da quando ho notato il suo buon umore, pensò Avery. A volte era inquietante quanto le sue abilità di detective fossero utili nella vita privata.

      “Ma… lui non vivrà qui, vero?” chiese Avery.

      “No, mamma. Ma potrebbe essere qui spesso.”

      “Non è il genere di cosa che la madre di una diciottenne vorrebbe sentirsi dire.”

      “Dio, mamma. Andrà tutto bene.”

      Avery sapeva che avrebbe dovuto lasciar correre. Se Rose voleva parlarle di questo ragazzo, lo avrebbe fatto con i suoi tempi. Insistere avrebbe solamente peggiorato le cose.

      E invece l’istinto maturato sul lavoro prese il sopravvento e non riuscì a trattenersi dal farle altre domande.

      “Posso incontrarlo?”

      “Uhm, assolutamente no. Non ancora, in ogni caso.”

      Avery percepì l'opportunità di approfondire la questione, di affrontare l'imbarazzante conversazione sul sesso sicuro e i rischi delle malattie e delle gravidanze giovanili. Ma sentiva quasi di non averne il diritto, dato i loro rapporti tesi.

      Essendo una detective della Omicidi però, le era praticamente impossibile non preoccuparsi. Sapeva che razza di uomini c’erano là fuori. Non aveva visto solo assassinii, ma anche casi gravi di abusi domestici. E anche se questo ragazzo nella vita di Rose era un perfetto gentiluomo, per lei era più semplice dare per scontato che fosse una minaccia.

      Tuttavia, a un certo punto, non avrebbe dovuto iniziare a fidarsi dell'istinto di sua figlia? Non le aveva appena fatto i complimenti per come era cresciuta bene, nonostante la sua educazione?

      “Basta che fai attenzione,” raccomandò Avery.

      Rose era chiaramente in imbarazzo. Alzò gli occhi al cielo e iniziò a mettere in ordine i dvd nel piccolo salotto che dava sulla cucina.

      “E tu?” chiese la ragazza. “Non ti stanchi mai di stare da sola? Lo sai... anche papà è ancora single.”

      “Lo so,” disse Avery. “Ma non è un problema mio.”

      “È il tuo ex marito,” sottolineò Rose. “Ed è mio padre. Quindi sì, è anche un problema tuo. Potrebbe farti bene vederlo.”

      “Non sarebbe positivo per nessuno dei due,” rispose Avery. “Se lo domandassi a lui, sono certa che ti direbbe la stessa cosa.”

      Avery era sicura che fossi così. Anche se non avevano mai parlato della possibilità di tornare insieme, tra di loro c'era un accordo inespresso, qualcosa che era stato nell'aria sin da quando aveva perso il lavoro da avvocato e nelle settimane seguenti si era praticamente rovinata la vita. Si sarebbero tollerati a vicenda per Rose. Anche se provavano ancora sentimenti di mutuo rispetto e affetto, sapevano che non era possibile tornare insieme. Jack si preoccupava solo della stessa cosa che interessava a lei. Voleva che Avery passasse più tempo con Rose. E stava a lei capire come farlo. Nelle ultime settimane si era messa d’impegno per elaborare un piano, e anche se richiedeva un sacrificio da parte sua, era pronta a provarci.

      Sentendo che avevano già superato la nube temporalesca che era il difficile argomento di Jack, Avery cercò di affrontare quello del sacrificio in questione. Non c’era modo di arrivarci per vie traverse, quindi decise di dirlo e basta.

      “Stavo pensando che potrei chiedere meno ore di lavoro i prossimi mesi. Mi sono detta che potremmo provare davvero a far funzionare le cose tra di noi.”

      Rose si fermò per un istante. Sembrò presa in contropiede e genuinamente sorpresa. Fece un piccolo cenno in segno di assenso e tornò a svuotare le scatole. Emise un lieve sbuffo.

      “Che c’è?” chiese Avery.

      “Ma tu ami il tuo lavoro.”

      “È così,” confermò lei. “Ma sto pensando di farmi trasferire dalla Omicidi. Se lo facessi, avrei molto più tempo libero.”

      Rose lasciò perdere le scatole del tutto. Nel giro di un secondo tutta una gamma di emozioni le attraversò il volto. Avery fu felice di vederne una che sembrava essere speranza.

      “Mamma, non devi farlo.” La sua voce era tenera e vulnerabile, quasi come la bambina che Avery ricordava bene. “È come se stravolgessi la tua vita.”

      “No, non lo è. Sto invecchiando e ho capito di essermi persa molte cose della mia famiglia. È quello che mi serve per andare avanti… per stare meglio.”

      Rose si sedette sul divano coperto di scatole e vestiti sparsi. Alzò lo sguardo su Avery, con quella luce di speranza ancora negli occhi.

      “Sei sicura che sia quello che vuoi?” chiese.

      “Non lo so. Forse.”

      “E poi,” aggiunse Rose, “ho capito da dove viene la mia abilità a cambiare argomento. Abbiamo già smesso di parlare della faccenda della solitudine.”

      “Te ne sei accorta, allora?”

      “Sì. E a essere sinceri, anche papà lo ha notato.”

      “Rose…”

      Rose si voltò verso di lei.

      “Gli manchi, mamma.”

      Avery si ritirò in se stessa. Rimase ferma lì, in silenzio per un momento, incapace di rispondere.

      “A volte anche lui mi manca,” ammise. “Solo non abbastanza da chiamarlo e riaffrontare fuori tutto il nostro passato.”

      Gli manchi, mamma.

      Avery rifletté su quelle parole. Raramente pensava a Jack in un senso veramente romantico. Ma aveva detto la verità: lui le mancava sul serio. Le mancava il suo buffo senso dell’umorismo, il modo in cui il suo corpo sembrava sempre un po’ troppo freddo al mattino, e come la sua voglia di sesso fosse comicamente imprevedibile. Più di ogni altra cosa però, le mancava guardarlo essere un ottimo padre. Ma ormai era tutto finito, parte di una vita che Avery stava cercando con impegno di lasciarsi alle spalle.

      E tuttavia non riusciva a evitare di chiedersi come sarebbe stato, consapevole di aver avuto l’occasione di godersi una bella vita. Una vita fatta di staccionate bianche, raccolte di fondi scolastici e pigre domeniche pomeriggio trascorse in cortile.

      Ma quell’occasione era svanita per sempre. Rose non aveva potuto avere quella vita perfetta e Avery incolpava ancora se stessa.

      “Mamma?”

      “Scusa, Rose. È solo che non credo che io e tuo padre potremmo aggiustare le cose, capisci?

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