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pensò. Fuoco.

      Mentre studiava la scena del crimine e immaginava l’assassino in piedi al suo posto, sentì che le stava sfuggendo qualcosa, un indizio cruciale che le stava proprio sotto il naso. Ma tutto ciò che riusciva a vedere era la zona paludosa e fangosa in fondo alla proprietà, insieme al piccolo riquadro di spazio dove una povera vittima era stata abbandonata come se non fosse stata altro che un comune mucchio di spazzatura.

      Si guardò di nuovo intorno nel lotto vuoto e si chiese se il luogo del ritrovamento dei resti non fosse importante quanto credeva. Se l’assassino usava il fuoco come mezzo per inviare un messaggio a qualcuno (alla vittima o alla polizia), forse era su quello che avrebbe dovuto concentrarsi.

      Mentre un’idea iniziava a prendere forma nella sua mente, tirò fuori il cellulare e chiamò il taxi più vicino per farsi portare via di lì. Dopo la chiamata e aver richiesto il taxi, guardò tra i suoi contatti e fissò il nome della figlia per cinque secondi.

      Mi dispiace così tanto, Rose, pensò.

      Premette CHIAMA e si portò il cellulare all’orecchio, mentre il suo cuore andava in mille pezzi.

      Rose rispose al terzo squillo. Subito sembrò felice. Avery sentì della musica che risuonava fioca in lontananza, si immaginò la figlia che si preparava per il loro pomeriggio insieme e si odiò un po’.

      “Ehi, mamma,” disse Rose.

      “Ehi, Rose.”

      “Che succede?”

      “Rose…” iniziò. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Guardò il lotto abbandonato alle sue spalle, cercando di convincersi che doveva farlo e che un giorno, Rose avrebbe capito.

      Senza che Avery aggiungesse un’altra parola, Rose apparentemente colse il senso della chiamata. Emise una breve risatina amara. “Perfetto,” disse la ragazza, senza più gioia nella voce. “Mamma, mi stai prendendo per il culo?”

      Avery aveva già sentito imprecare la figlia ma quella volta fu una pugnalata al petto perché se lo meritava.

      “Rose, mi hanno affidato un caso. È una brutta faccenda e io devo…”

      “Lo so che cosa devi fare,” la interruppe Rose. Non gridò. Quasi non alzò nemmeno la voce. E in qualche modo, ciò rese tutto peggiore.

      “Rose, non posso farci niente. Non mi aspettavo di certo che succedesse una cosa del genere. Quando mi sono organizzata con te, pensavo che avrei avuto un paio di giorni liberi. Ma è spuntata questa faccenda e… beh, le cose cambiano.”

      “Immagino che succeda, a volte,” disse Rose. “Ma non con te. Con te, le cose sono sempre le stesse… quando si tratta di me, per lo meno.”

      “Rose, questo non è giusto.”

      “Non cercare neanche di dirmi che cosa è o non è giusto! Sai che c’è, mamma? Lasciamo perdere. Questa volta e qualsiasi altra volta ti venga in mente di giocare alla Buona Madre in futuro. Si vede che non è destino.”

      “Rose…”

      “Lo capisco, mamma, davvero. Ma tu ti rendi conto di quanto faccia schifo avere una donna come te per madre… una donna forte con un lavoro impegnativo? Una donna che rispetto moltissimo… ma che continua a deludermi, una volta dopo l’altra?”

      Avery non sapeva che cosa dire. E non avrebbe avuto importanza, perché Rose non ne poteva più.

      “Ciao, mamma. Grazie comunque per avermi avvisata in anticipo. Meglio così che se mi avessi dato buca, immagino.”

      “Rose, io…”

      La linea cadde.

      Avery infilò il cellulare in fondo alla tasca e fece un respiro profondo. Dall’occhio destro le scivolò un'unica lacrima lungo una guancia e se l’asciugò il più rapidamente possibile. Poi camminò deliberatamente verso l’area che quella mattina era stata cordonata con il nastro della scena del crimine e la fissò a lungo.

      Fuoco, pensò. Forse è più di qualcosa che il killer usa per colpire. Forse è simbolico. Forse è il fuoco l’indizio più importante.

      E quindi mentre aspettava l’arrivo del taxi, pensò al fuoco e a che genere di persona avrebbe potuto usarlo per inviare un messaggio. Era difficile riuscire a comprenderlo, dato che conosceva molto poco della piromania.

      Devo parlare con qualcun altro di questa faccenda, rifletté.

      E con quel pensiero tirò fuori il cellulare e chiamò il quartier generale dell’A1. Chiese di farsi passare Sloane Miller, la psicologa dell’A1 e strizzacervelli di fiducia per gli agenti e i detective del distretto. Se qualcuno poteva capire la mente di un assassino con il fuoco nel cervello, quella era proprio Sloane.

      CAPITOLO SETTE

      Avery tornò al quartier generale dell’A1 mezz’ora più tardi. Una volta entrata, non prese l’ascensore fino al suo ufficio. Invece rimase al primo piano e si incamminò verso il fondo dell’edificio. Era già stata lì, quando le era stato ordinato di parlare con Sloane Miller, la psicologa del dipartimento, durante il suo ultimo difficile caso, e aveva avuto su di lei un effetto che ancora non aveva compreso appieno. Ma in quel momento stava andando dalla psicologa per altri motivi… per avere accesso alla mente dell’assassino. Essendo nel suo elemento, quella visita le sembrò più rilassata.

      Arrivò all’ufficio di Sloane e fu sollevata di trovare la porta socchiusa. Sloane non aveva un’agenda di appuntamenti vera e propria, per le forze dell’ordine era più una risorsa del tipo ‘chi prima arriva meglio alloggia’. Quando Avery bussò alla porta, sentì che la psicologa stava scrivendo qualcosa al suo portatile.

      “Entri pure,” disse Sloane.

      Avery obbedì, sentendosi molto più a suo agio rispetto all’ultima volta che aveva visto l’altra donna. Lì nel suo ufficio, invece che nell’area simile a un atrio in cui accoglieva i pazienti, le cose erano un po’ più formali.

      “Ah, detective Black,” disse Sloane con sincero piacere quando alzò lo sguardo dal portatile. “È bello rivederla! Sono stata molto felice di avere sue notizie, quando mi ha chiamata. Come è stata?”

      “Le cose vanno bene,” disse Avery. Ma dentro di sé sapeva che Sloane avrebbe colto al volo l’occasione di analizzare i suoi problemi con Rose e la sua complicata relazione con Ramirez.

      “Che cosa posso fare per lei oggi?” chiese Sloane.

      “Beh, speravo di avere la sua opinione su un particolare tipo di personalità. Sto seguendo un caso su un uomo che siamo abbastanza certi appicchi il fuoco alle sue vittime. Ha lasciato solo ossa e ceneri sulla scena del crimine, ossa pulite, senza bruciature o danni. C’era anche una pila di ceneri e un odore chimico nell’aria… che veniva proprio dalle ceneri, credo. È chiaro che sa quello che fa. Sa come bruciare un corpo, e mi sembra una conoscenza piuttosto specifica da avere. Ma non credo che stia usando il fuoco solo come mezzo per le sue azioni. Ho bisogno di capire che genere di persona non solo userebbe il fuoco in questo modo ma ne farebbe anche un gesto simbolico.”

      “L’idea che stia usando il fuoco come una specie di simbolo è una deduzione interessante,” commentò Sloane. “In un caso come questo, le garantisco che certamente è così. Tutto sommato, credo che abbia a che fare con qualcuno che ha un interesse o magari persino dei precedenti come piromane. Forse ha avuto un lavoro o un hobby che includeva il fuoco. Ci sono studi che confermano con certezza che persino i ragazzini affascinati dai fuochi da campo e dai fiammiferi hanno un tendenza verso la piromania.”

      “Mi può dire qualcosa su questo genere di personalità che potrebbe aiutarci a catturare il nostro uomo il prima possibile?”

      “Certo, posso provarci,” rispose Sloane. “Prima di tutto, dovrebbe avere dei problemi mentali, ma niente di troppo serio. Potrebbe essere qualcosa di semplice come una tendenza agli scoppi d’ira anche nelle situazioni più

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