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la vana minaccia. Ma non era vana, com’essi pensavano. Appunto in quella sera, all’apparir della luna incominciando l’ecclisse, e più aumentando quanto ella più ascendeva sull’orizzonte, quei poveri inesperti ricordarono le parole del Giocomina quanto fossero vere; e fu tanta la paura loro, che con grandissimi pianti e strida venivano d’ogni parte ai navigli con grandi carichi di vettovaglie. Prega il tuo Dio per noi, dicevano al Giocomina, pregalo che non eseguisca l’ira sua contro di noi; e manterremo d’ora in poi le nostre promesse, fino a tanto che tu rimarrai alla spiaggia di Maima. A che il signor Almirante si raccolse, per parlar col suo Dio; e tanto stette appartato finchè l’ecclisse della luna era sul crescere; ed essi tuttavia forte gridavano che dovesse aiutarli. Ma quando egli vide che l’oscuramento della luna era presso al suo massimo punto, non rimanendo più che di vederlo scemare via via, venne fuori dicendo aver fatto orazione per loro, promettendo che quind’innanzi sarebbero buoni, e tratterebbero bene i Cristiani, portando loro tutte le cose necessarie alla vita; e Dio aver perdonato, in segno di che vedrebbero essi che l’ira passava, e con questa la infiammazione della luna. La qual cosa avendo effetto insieme con le sue parole, essi rendevano molte grazie al Giocomina e lodavano il suo Dio: e così stettero finchè non ebbe termine l’ecclisse.

      “Fu questo assai buono espediente, al cui felice successo aiutò la nessuna cognizione di quei naturali intorno ai moti degli astri, e alle ragioni per cui talvolta si ecclissano il sole e la luna; eventi celesti che essi stimano accadere a danno degli uomini. Nè io mi starò a lodare con molte parole l’accorgimento del signor Almirante, bastando il considerare che con esso egli ebbe provveduto alla salvezza di tanta gente cristiana, quantunque per sedizioni e turbolenze continue così poco meritevole delle sue cure paterne. Indi a pochi giorni giungeva alla spiaggia di Maima la canòa di Bartolomeo Fiesco, che prima non aveva potuto, per ragioni gravissime, le quali partitamente si diranno più sotto, non volendo io interrompere con privati accidenti, comunque maravigliosi e terribili, il racconto delle cose che riguardano il grande Navigatore genovese e le fortunose vicende del suo quarto viaggio. Accolto a festa dal signor Almirante, recava il Fiesco novelle del Mendez, da lui lasciato a San Domingo; novelle non liete, le quali il signor Almirante non stimò di far conoscere ad altri; che anzi, a tutti i ritornati della canòa fe’ giurare il segreto. Le novelle erano queste, che dopo tanti mesi di preghiere, tenuto quasi sotto custodia dal governatore, il Mendez non aveva potuto ottenere i navigli da condurre alla Giamaica, nè la licenza di trovarne egli stesso, pagandoli coi denari del signor Almirante; donde appariva chiaro il bieco proposito del gran commendatore d’Alcántara, di far perire Colombo e di oscurarne la gloria. Ma forse in tal proposito non avrebbe egli potuto durare, poichè il Fiesco gli era fuggito di mano, e certamente, Dio permettendolo, sarebbe giunto ad informare il signor Almirante di tutte quelle macchinazioni della brutta invidia e malvagità singolare di lui.

      “Ma intanto la gente raccolta nelle due navi sdruscite, ignorando le nuove, stimava perduto il Mendez; nè quasi poteva più dubitarne, non pure per il ritorno avvenuto del Fiesco senza il compagno di tragitto, ma ancora per certe voci sparse dai sollevati del Porras, di una imbarcazione che s’era vista al largo della punta di Aramaquique, capovolta e trasportata dalle correnti, che sono fortissime al levante della Giamaica. Crebbero le paure, e con le paure le mormorazioni, i malcontenti, le trame. Già si ordiva una congiura, capitanata da un Bernardo di Valenza, speziale dell’armata, a cui s’aggiungevano uno Zamora e un Villatoros. E questa certamente avrebbe potuto segnare la estrema rovina dell’Almirante e de’ suoi fedeli, se non fosse intervenuto un caso fortunato a sviare le menti; onde lo speziale finì con aver pestata l’acqua nel mortaio. Si vide adunque una sera apparire da scirocco una caravelletta, quasi una voglia delle due che si aspettavano, sospirando, da poco meno di otto mesi. Quel piccolo guscio si accostò sull’imbrunire alle due navi arenate; un palischermo se ne spiccò, muovendo verso la capitana e portandovi il suo comandante Diego d’Escobar, inviato dal signor governatore. Brutta scelta era stata quella di Nicola Ovando, che sapeva l’Escobar nemico mortale del signor Almirante, contro il quale si era ribellato col famoso Roldano, meritando una condanna di morte, a cui non era sfuggito se non per l’amicizia del Bovadilla, gran protettore dei tristi.

      “Quasi per aggiungere lo scherno all’offesa, portava l’Escobar in presente un barile di vino e una mezzina di porco salato. Se ne cavassero la sete, un centinaio di bocche, quante ne lasciava alle due navi sdruscite la sollevazione del Porras! Quanto ad aiuto di navigli, il gran commendatore (lo avevano infatti promosso alla maggior dignità di Alcántara, e si era spogliato della commenda di Lares) non poteva far altro che promesse, e solo per dimostrare il suo buon animo mandava quella piccola caravella, l’unico legno che si trovasse ad aver sotto mano. Bisognava contentarsi delle promesse, e far buon viso a chi le portava. Gran mercè che Diego d’Escobar si fosse incaricato di portar anche una lettera del Mendez, dove quel buon servitore faceva relazione di tutto il suo viaggio: relazione attenuata, s’intende, poichè doveva passare sotto gli occhi dei nemici; ma il signor Almirante sapeva leggere tra le righe.

      “Questi avrebbe voluto rispondere, non pure al Mendez, ma ancora al governatore. Ma venne il mattino, e la caravelletta era scomparsa. Diego d’Escobar non aveva avuto altro incarico che di spiare e di riferire all’Ovando se l’odiato Genovese fosse ancor vivo. Bartolomeo Fiesco, dal canto suo, potè immaginare che quell’esploratore fosse venuto anche un pochino per lui, per vedere se egli, con quel suo tronco di legno incavato, fosse riuscito ad afferrar la Giamaica, e quali notizie avesse portate al signor Almirante. Se questo era il disegno di Nicola Ovando, poco doveva profittargli la sua accortezza. Bartolomeo Fiesco, che già all’apparire della piccola caravella si era posto sull’avviso, e delle persone che lo accompagnavano aveva prudentemente nascoste quelle che gli premeva di non lasciar vedere ai curiosi, trovò modo di dire all’Escobar, nel cospetto del signor Almirante, come questi fosse già informato delle buone intenzioni di don Nicola Ovando. – Gliel ho pur detto io, non dubitate, che il signor governatore non ha per ora a San Domingo i legni necessarii per mandare a levarci di qui; e se anche non giungevate voi, egli era già ben persuaso della bontà e della cortesia, comunque per ora impotenti, del gran commendatore d’Alcántara che Dio guardi, a cui vi prego di rammentarmi come suo buon servitore. – Era una bugía necessaria; e con certa gente, del resto, non si nasconde mai abbastanza quel che si pensa di loro. Il Fiesco, dopo tutto, non si pentì di quella bugía, nè d’altre parecchie, che per difesa sua e degli amici gli fosse tornato di dire. Se poi son colpe, ne domanderà l’assoluzione al suo confessore.„

      – Fossero tutte lì! – scappò detto a frate Alessandro.

      – Ah, tu non vuoi starmi ai patti, frate scudiero! – esclamò il capitano Fiesco. – Polidamante, negagli il vino.

      – Per carità! – riprese il frate scudiero. – Stavo appunto per accennargli di mescere; e vi chiedo assoluzione a mia volta. Sapete pure che in certi brutti momenti avevamo promesso di confessarci l’un l’altro. Ma proseguite, capitano, ve ne prego. —

      Il capitano Fiesco bevette un sorso, e ripigliò la lettura.

      “Ritornando ora al signor Almirante, dirò com’egli, confidando oramai d’essere prima o poi sovvenuto di navigli, e cedendo all’impulso del suo cuore sempre inchinevole a pietà, mandasse due uomini a terra, dei suoi più fedeli, per tornare all’obbedienza i ribelli, avvisandoli dell’arrivo della piccola caravella, e mandando loro a testimonianza del fatto, come della bontà sua, una parte dei presenti che gli aveva portati l’Escobar. Già si disponevano alcuni ad accettare il perdono; ma li trattennero i Porras, più infelloniti che mai. E così, dopo essere stati un pezzo a consiglio, rispondevano tutti ad una, non volersi fidare del perdono, nè del salvacondotto che mandava loro il signor Almirante. Volentieri se n’andrebbero quieti dall’isola, s’egli promettesse di dar loro uno dei due navigli che aspettava, o mezzo naviglio, se uno solo ne fosse arrivato; e frattanto, poichè avevano perdute tutte le cose loro, volesse egli spartire con essi tutte quelle che aveva. E rispondendo i due ambasciatori non esser patti ragionevoli i loro, replicarono arroganti che quanto non si concedesse loro per amore, saprebbero bene pigliarsi per forza.

      “Altro aggiungevano i Porras, riscaldandosi via via. Bene conoscevano l’Almirante per uomo vendicativo e crudele. Per sè stessi non temevano, sapendosi forti di amicizie e protezioni alla Corte; bensì per tanti loro compagni dei quali egli avrebbe preso vendetta,

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