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bella!» Ecco perchè l'uomo che ama è ricambiato, e per che modo. Notate, io parlo delle migliori, di quelle che sono grate all'uomo un tantino di più che non allo specchio. Ma che cos'è poi questo loro ricambio di amore? È il superfluo dei loro pensieri, delle loro cure, e che non impedisce loro di contentare ogni loro capriccio, pari a quel superfluo che il Vangelo ci comanda di dare ai poveri, e che, levato di tasca, ci lascia ancor tanto da non patir difetto di nulla. Ora io lo chiedo a voi, gentilissime eccezioni; questo amare per una decima, anzi per una centesima parte della propria potenza spirituale, è egli amare davvero, o non piuttosto per celia?

      – L'accusa è antica, – rispose placidamente Ginevra, – e tutte le donne che ci hanno preceduto sulla scena del mondo, l'hanno combattuta, risospingendola agli uomini. Io non mi gioverò di questo spediente; non negherò neppure che ci sia molto di vero in quello che dite. Ma non si meritano questo, e peggio, i signori uomini? Lascio, s'intende, da parte i presenti; – aggiunse ella sorridendo, per rendere la pariglia al Cigàla, che s'alzò a mezzo, per farle un inchino; – ma è certo che i signori uomini sanno molto bene volere, e punto punto guadagnare. Oggi, pur di vederci, si contentano di starci dinanzi in adorazione; domani vogliono già udirci a parlare, e d'una cosa soltanto; entrati a mala pena, e quasi sempre a caso, nella cerchia delle nostre consuetudini, s'atteggiano a conquistatori, e vogliono essere adorati a lor volta, o chiedono una confessione in premio d'un sacrifizio che non hanno fatto, ed anche qui vogliono essere adorati alle prime. Ricordate la sentenza, Cigàla; «il vero amante è sempre timido».

      – È la contessa di Sciampagna che lo dice?

      – Non so, ma ne ricordo bene un'altra delle sue: «chi non sa nascondere non sa amare».

      – Signora, Lanfranco Cigàla, mio antenato, e trovatore di grido, lasciò scritto in una delle sue canzoni: «chi nasconde non fa veder nulla».

      – È autentica la citazione?

      – Poniamo che sia apocrifa; la sentenza rimane, e può valer quanto un'altra.

      – A questi patti ve ne citerò una terza, che potete leggere nel codice d'amore: «L'indiscreto non sarà mai un amante fedele». Ma tornando alla vostra, vi dirò che una donna si avvede mai sempre dell'affetto di un uomo, anco se gelosamente custodito nel profondo del cuore. E così i signori uomini si contentassero a lasciare indovinare i loro pensieri, che n'avrebbero assai più vantaggio. —

      Aloise, il quale era stato muto ad udire quella tenzone, respirò più liberamente all'ultima frase della marchesa Ginevra, che gli parve uno zuccherino per lui. Ma il Cigàla, che non poteva averci le ragioni di Aloise a contentarsi di quella chiusa, s'impuntò ancora a rispondere.

      – Voi dunque, signora, non ammettete nessuna uguaglianza tra le donne e gli uomini? Voi sarete un cortèo di regine, e noi un branco di schiavi?

      – E che altro vorreste essere? – dimandò Ginevra, con piglio di leggiadra alterezza. – Non vi basta di avere lo scettro per tutte l'altre cose della vita? Lasciate a noi il regno del cuore, questo povero regno, questo alveare che abbiamo fabbricato noi, api pazienti, colla nostra industria sottile, cavando la cera e il miele dal calice dei fiori. Ma sapete che se questo regno grazioso cadesse per avventura anch'esso in vostra balìa, ne fareste un bell'uso!

      – Non io certamente, marchesa!

      – Lasciamo da parte i presenti, uomo di corta memoria! Vi arrendete?

      – A discrezione.

      – Bene! la Corte vi rimanda assolto, ma non già in grazia vostra, sibbene di Lanfranco Cigàla, vostro antenato, e gentil trovatore, che avete citato, in vostra buon'ora, testè. E poichè parliamo di trovatori, chi di voi, signori, saprebbe raccontarci la vita di Goffredo Rudel, e di Percivalle Doria?

      IV

      Qui si racconta di Goffredo Rudel, come per amor si morisse.

      Si ricordano i nostri lettori della visita che fece Aloise alla villa Vivaldi, allorquando l'amico Pietrasanta lo condusse a fare la prima passeggiata di convalescenza là dalla parte di Nervi? Se essi non hanno dimenticato quella gita campestre, rammenteranno ancora che, innanzi di uscir dalla villa, e quando il giardiniere aveva additato l'albo dei visitatori, Aloise di Montalto si era fatto sollecito a pigliar la matita, e, dopo avere rivolta un'occhiata d'intelligenza al compagno, aveva scritto sull'albo due strani nomi: __Goffredo Rudel__ e __Percivalle Doria__.

      Di questa bizzarria il Pietrasanta aveva chiesta la ragione all'amico; e questi gli aveva risposto con un'altra, ripetendo una frase detta da Enrico al giardiniere, quando erano per rimettersi in carrozza: «i nostri noi viaggiano nel più stretto incognito».

      Ma perchè, tra tanti nomi posticci che potevano venirgli in mente, egli era andato a cercar proprio que' due nomi storici? Perchè all'innamorato senza speranze pareva di scorgere una certa somiglianza tra la sua infelicità e quella famosa del poeta provenzale. Un trovatore, poi, ne tirava un altro, e tra i nomi di trovatori da poter mettere accanto al primo, gli era balenato alla fantasia quello di un genovese; però aveva aggiunto Percivalle Doria, come pseudonimo di Enrico Pietrasanta. Si noti che mezz'ora innanzi il giardiniere, conducendoli sotto l'albero di sughero, aveva accennato ad una Corte di amore; si aggiunga che Aloise, a que' tempi, secondo l'uso di tanti innamorati, leggeva assiduamente il Leopardi e il Petrarca. Ora, dal cenno del giardiniere e dai versi del Petrarca, ai trovatori, al Rudel, non c'era altro che un passo, e ad Aloise tornava in mente ciò che aveva scritto messer Francesco nel suo __Trionfo d'amore__.

      Gianfrè Rudel, che usò la vela e il remo

      A cercar la sua morte…

      Dopo quel giorno, molte cose erano avvenute, ed Aloise era introdotto solennemente in casa Torre-Vivaldi. La sua prima visita alla marchesa, dopo ch'ella era in villeggiatura, gli aveva fatto ricordare, non senza un pochino di trepidanza, i due nomi scritti sul libro, e l'altro inciso sulla tavola di lavagna; ma s'era poscia raffidato nel pensiero che i primi dovessero rimanere ignorati, confusi com'erano tra tanti altri forestieri e visitatori d'ogni risma, e l'altro celato sotto il tappeto, che era sempre disteso sulla tavola di lavagna, in quelle ore che la marchesa usava passare in quel suo luogo prediletto.

      Una volta aveva tremato davvero, ma non al tutto di sgomento. Egli era, con altri, vicino alla signora, e il discorso era per l'appunto caduto su quella rustica tavola, che il marchese Antoniotto avrebbe desiderato mutare in un'altra di marmo.

      – No, essa m'è troppo cara così! – aveva esclamato la marchesa.

      Ma il subitaneo timore e il dubbio dolcissimo di Aloise erano tosto svaniti. La marchesa, proseguendo, aveva narrato com'ella non volesse mutar nulla in quel luogo. La disposizione d'ogni cosa, la consuetudine di andarvi a passare le calde ore del giorno, il nome istesso di Corte d'amore, rimontavano alla sua bisavola, a quella «__celebrata – Per ingegno e beltà Tullia divina__» siccome l'avea cantata un poeta famoso del suo tempo. Agli orli di quella tavola si erano appoggiate le crespe rigonfie della sua veste di broccato; su quel piano s'era posato il suo ventaglio piumato, il suo occhialino, il suo libro; quella rozza lastra era sacra; sacri i rozzi sedili fatti di quel medesimo schisto nericcio, sorretti da scabri pilastrini; nient'altro di nuovo ci aveva da essere, salvo l'aggiunta dei sedili di maiolica, poichè i primi non sarebbero bastati alle geniali adunanze dei visitatori moderni.

      Tornando ad Aloise, egli, poichè Ginevra niente aveva detto, o lontanamente accennato, s'era facilmente condotto a credere che non si fosse addata di nulla. E inoltre, come avrebbe ella potuto rintracciare in quei muti segni la mano di lui? Il giardiniere, nel quale s'era imbattuto due volte, non aveva mostrato di raffigurarlo; oltre di che, non avrebbe potuto affermare chi, dei tanti forestieri, avesse scritto que' nomi. E li aveva forse pur letti? In queste argomentazioni s'era chetata l'apprensione di Aloise, ed egli non ci pensava già più.

      Ma bene, per contro, ci pensava Ginevra, come potrebbe dimostrarvi una lettera di lei alla Roche Huart, scritta ne' primi giorni del giugno, e già debitamente copiata da padre Bonaventura nel noto volume delle Opere di santo Agostino.

      Volete leggerla? Tanto, per udire la continuazione dei lieti ragionari e la vita del trovatore Rudel, che qualcheduno si farà pure animo a raccontare, ci sarà sempre tempo,

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