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il giovinotto.

      – Parlate anche per l'assente?

      – No, marchesa; qui parlo per me, solamente per me.

      – Cigàla, io vo in collera! – interruppe Ginevra.

      – E perchè, di grazia?

      – Perchè voi dite a tutte le dame la medesima cosa; ed è male, assai male!

      – Ma il peggio, signora, è più ancora del male, se ben ricordo gl'insegnamenti del mio maestro di grammatica. Ora il peggio si è che con tutte faccio fiasco egualmente.

      – E perchè? non lo indovinate voi, il perchè? – soggiunse Ginevra, proseguendo la celia. – Perchè mirate a troppe. Ora voi non ignorate che cos'abbia sentenziato una nostra gentile antecessora, la contessa di Sciampagna. «Egli non si può amare più d'una donna ad un tempo».

      – Verissimo, pel tempo d'allora; – rispose il Cigàla.

      – Perchè d'allora, e non d'adesso? – chiese Maddalena.

      – Perchè? È presto detto. Perchè una dama a quel tempo era costretta dalle leggi d'amore a non mandar disperato il cavaliere ch'ella avesse ricevuto in sua mercè, il cavaliere che portasse i suoi colori e facesse ogni maniera di prodezze per lei. Che fanno ora, con vostra licenza, le dame? C'incatenano colle loro lusinghe (lusinghe inconsapevoli, involontarie, s'intende) e poi, come fanciulli crudeli cogli animalucci che cascano sotto le loro mani innocenti, si pigliano spasso de' nostri dolori; ci piantano spille tra le unghie e la carne ci punzecchiano il cuore, come si adopera colle oche, per dilatar loro il fegato; ci mettono a rosolare sulla graticola e in fondo a tutto questo martirio non c'è nemmeno quella speranza del paradiso, che consolava gli antichi confessori della fede cristiana.

      – Benissimo! – tartagliò il De' Carli.

      – È pretta verità! – soggiunse il piccolo Riario, battendo del tacco sull'erba.

      – Mi fate venir la pelle d'oca! – disse a sua volta ridendo la marchesa Ginevra.

      – Ah, buon segno! – gridò con aria di trionfo il Cigàla. – Voi, almeno, sentireste pietà de' nostri tormenti. Ora, volete intorno a ciò il mio schietto parere? Io non voglio patire a questo modo; io sono un filosofo, non già un santo anacoreta che ami flagellarsi le carni, far penitenza de' suoi peccati e di quelli degli altri. Amo la donna in tutte le donne; piglio divotamente (e qui sta il mio pregio) tutto quello che esse non ricusano ad alcuno, voglio dire la vista delle loro bellezze, lo splendore delle loro grazie, i dolci sorrisi, le soavi parole, e ne compongo un elettuario, un brodo ristretto…

      – Eravate galante, e diventate volgare! – esclamò Giulia, strappandogli la matassa dalle mani.

      – Lasciatemi finire, signora! – ripigliò il Cigàla, trattenendo i pochi giri di lana che gli rimanevano sospesi tra il pollice e l'indice. – Ho detto e ripeto che ne compongo un elettuario, un brodo ristretto, che mi abbia a servire di viatico in questo deserto della vita. Il paragone è volgare, ma esprime il concetto; e il concetto non è volgare, finalmente! Amo in tutte le donne la donna; questo è l'essenziale. E ciò vale meglio che amarne una, una sola, e condannarsi a morire di rabbia. Che ne dici tu Aloise? —

      La dimanda era rivolta al Montalto, che in quel frattempo s'era liberato dalle fabbricerie e tornava con lenti passi verso il crocchio delle signore.

      – Io? – rispose il giovine, che aveva udito le ultime frasi del discorso di Cigàla. – Io dico che l'amore è la più trista delle umane passioni. —

      Questo era l'atto di contrizione di un apostata che tornava alla fede!

      Ma la vendetta della sdegnata divinità non si fece aspettare.

      – Per chi non ama davvero, sì certo, – rispose asciuttamente Ginevra, senza alzare gli occhi verso di lui, in quella che spingeva la punta del suo ago da ricamo nei trafori del canavaccio.

      Più acuto assai che non fosse l'ago da ricamo, giunse lo strale e si piantò nel cuore di Aloise. Egli ricevette il colpo senza badare a pararlo ne a renderlo; barcollò, e, per non far scorgere il suo turbamento, si lasciò andare su d'un sedile ch'era rimasto vuoto.

      Ma il Cigàla, sempre armato di tutto punto, e destro schermidore in cosiffatte tenzoni (tanto più destro in quanto che non ci aveva malinconie dentro il cuore), fu pronto a rispondere.

      – Questa sarebbe un'eccezione, signora, e noi parliamo sui generali.

      – Rispondete anche pel signor di Montalto?

      – S'egli lo permette, perchè no? —

      Aloise, così messo al punto, accennò all'amico che proseguisse liberamente per tutti e due.

      – Stando adunque sui generali, – disse il Cigàla, – io chiederò a voi, gentili signore, chi pensiate amar più fortemente, fra le donne e gli uomini.

      – Ah, veramente, voi non volete più avere quest'altra matassa che io stavo slacciando per voi! – gridò la Monterosso in atto di minaccia.

      – L'avrà un guindolo migliore; – rispose sospirando il Cigàla. – Ecco infatti un assente, che sarà lietissimo di pigliare il mio posto. —

      L'arguta allusione del giovinotto accennava alla comparsa del Pietrasanta alle falde del prato. Poco dianzi s'era udito rumore d'una carrozza dall'altro lato del palazzo, ed era il __landau__ del nostro Eurialo, che veniva in traccia di Niso. Il Pietrasanta si avanzò spigliatamente sul prato, alla volta degli alberi, e col cappello tra mani, il sorriso sulle labbra, corse ad ossequiare la marchesa Ginevra e le altre due dame; dopo di che si volse a salutare i cavalieri, stringendo la mano ai più intrinseci, e da ultimo si sedette accanto ad Aloise, col quale già incominciava a barattare qualche parola, allorquando fu interrotto dalla marchesa Giulia.

      – Siete venuto in buon punto, Pietrasanta, – ella diceva, – per aiutarmi a dipanare la lana di Ginevra. Il Cigàla ha ardito mettere in dubbio che le donne siano migliori degli uomini, e non mi farà più da guindolo.

      – Crudelissimo Cigàla, ne fai di queste?

      – Cioè a dire… – rispose il Cigàla, – io non ho messo in dubbio nulla; chiedevo mi si dicesse chi ami più fortemente, se l'uomo o la donna, e torno a chiederlo, checchè possiate infliggermi per penitenza, ingiustissima dama.

      – Alzatevi intanto, e date il posto al Pietrasanta; – disse la Giulia.

      – Signora, – soggiunse Enrico, in quella che poggiava amorevolmente le mani sulle spalle dell'amico, per trattenerlo sul sedile; – perdonate al Cigàla, e sarà la grazia maggiore che mi potrete concedere.

      – Ma bene, ottimamente! – entrò a dire Ginevra. – Vedi Giulia, come sono galanti tra di loro, questi signori uomini.

      – Perchè amano fortemente, marchesa! – gridò, con aria di trionfo, il Cigàla. – Questa cortesia di Enrico, che io non ho chiesta nè preparata, viene in aiuto alla mia tesi.

      Ora io lo dimanderò alla signora Maddalena, che non mi ha ancora dato il suo voto di biasimo; chi ama più fortemente? gli uomini o le donne?

      – E lo chiedete ancora? – rispose la soave Maddalena. – Le donne, a mio credere. E voi, seriamente, ardireste essere d'una contraria opinione?

      – Pur troppo, signora, e non solo tengo che gli uomini amino più fortemente a gran pezza, ma aggiungo…

      – Suvvia, non vi fermate a mezza strada! – disse Ginevra. – Dopo quello che avete già sentenziato, non ci può esser altro che rechi stupore a Maddalena.

      – Or bene, aggiungo… Ma intendiamoci, lascio da parte le dame presenti! Aggiungo insomma che le donne amano poco, per non dir nulla, addirittura.

      – È grossa! – esclamò la Giulia.

      – E la sostengo, foss'anche grossa come il nostro pianeta! – disse di rimando l'oratore pessimista. – Le donne, generalmente parlando,

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