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cercò di catalogarlo come genitore ma non ci riuscì. Aprì la borsa, prendendo istintivamente lo spray al peperoncino. C’erano altre persone nell’edificio e nessun motivo per temere un pericolo, ma meglio essere prudenti. Lo sconosciuto entrò in classe.

      “La signora Lite?” chiese con una voce sorprendentemente profonda.

      Star si sarebbe aspettata più un flebile sussurro provenire da quella corporatura scheletrica.

      “Sì, sono io, cosa posso fare per lei?”

      “Posso parlarle un momento? Di mio figlio.”

      Beh, diamine. Star voleva intensamente dirgli di no e andare a casa. Era convinta che quell’uomo non fosse il padre di uno dei suoi attuali alunni, e se suo figlio avesse dovuto essere con lei il semestre seguente, avrebbe preferito aspettare fino ad allora per cominciare i colloqui genitore-insegnante.

      “Ho un altro appuntamento,” mentì. “Possiamo occuparcene via email?”

      “Prenderò solo un momento del suo tempo. Potremmo sederci?”

      Mettendo giù la sua scatola di cianfrusaglie con un tonfo, Star sedette in un banco e fece cenno all’uomo di fare lo stesso. Non erano costruiti per un adulto – certamente non per uno della sua altezza – e lei sperava che il suo disagio avrebbe abbreviato la conversazione.

      “Sono il padre di Curtis Smith,” disse, offrendole una grossa mano da stringere. “Era nella sua classe l’anno scorso. Mi parlava molto bene di lei.”

      “E come sta Curtis?” chiese Star, scervellandosi, cercando di ricordare uno studente con quel nome.

      “Sta bene. È con sua madre ora. L’ho visto recentemente e mi ha chiesto di darle questo.” L’uomo estrasse una piccola scatola ricoperta di brillantini. “Curtis ha detto che lei l’ha aiutato molto con i suoi studi, e che non l’aveva mai ringraziata adeguatamente. Voleva che avesse questo come segno del suo apprezzamento.” L’uomo si alzò. “Grazie per il suo tempo, signora Lite.” Le rivolse un debole sorriso e uscì dalla stanza.

      Star rimase seduta per un momento, non ben sicura di quello che era appena accaduto. Le era venuto in mente che l’uomo non le aveva dato il suo nome, solo quello di suo figlio. Curtis Smith le diceva qualcosa, ma non riusciva a ricordarlo. Non doveva essere stato un combinaguai o uno studente eccezionale. Così tanti studenti avevano incrociato il suo cammino che aveva difficoltà a tenere traccia di tutti, non importa quanto si sforzasse.

      Afferrando nuovamente la sua scatola di scartoffie, Star si diresse verso la porta, sollevata dal fatto che l’incontro fosse stato breve. Strano, ma breve. Avrebbe cercato Curtis Smith una volta a casa, ma ora la priorità era uscire dall’edificio prima che l’avvicinasse qualcun altro.

       * * * *

      Una volta a casa, Star lanciò la borsa sul tavolo della cucina e gettò la scatola di scartoffie dell’aula in un angolo. Molto probabilmente il caos sarebbe rimasto lì per l’estate, poi lei ci avrebbe frettolosamente scavato in mezzo e tirato fuori ciò di cui aveva bisogno quando fosse iniziato l’anno scolastico successivo. Per ora, regnava la beata libertà.

      Aprendo bruscamente la porta del frigo, rimase delusa – ma non sorpresa – nel vedere che i ripiani erano desolatamente vuoti. È tempo di un giro di spesa. Star scavò nella borsa poi rovistò in un cassetto della cucina prima di setacciare la sua camera da letto e il soggiorno, cercando una sigaretta. Se non poteva mangiare, tanto valeva che fumasse anche se tecnicamente aveva smesso. Niente cibo, niente sigarette. Era troppo presto per un drink? Ah-ha, un tesoro! Una sigaretta rimasta in un pacchetto nascosto.

      L’irritante squillo del telefono ruppe il silenzio. Controllò l’ID del chiamante e gemette. Sua cugina Betty. Sapeva esattamente cosa avrebbe comportato quella chiamata e fu tentata di ignorarla, ma Betty avrebbe perseverato fino ad ottenere una risposta. Tanto vale levarsi di torno questa conversazione.

      “Pronto?” borbottò Star nel telefono, tenendolo in equilibrio sulla spalla. Posò l’armamentario per fumare, non volendo sprecare quel piccolo piacere con la chiamata.

      “Pronto, Star?” chiese la voce all’altro capo del filo.

      Chi altro risponderebbe al telefono a casa mia, e non riconosci la mia voce dopo tutti questi anni? Solo per una volta, Star avrebbe voluto buttar lì una svelta risposta a tono, ma il sarcasmo era sprecato con la sua dolce, innocente cugina.

      “Sì Betty, sono Star. Che c’è?” chiese, sperando di arrivare al punto velocemente.

      “È il tuo periodo di vacanza ora, vero? Sei emozionata all’idea di avere l’estate libera?”

      “Sì, molto emozionata. Sono un po’ nel bel mezzo di cose da fare in questo momento. Volevi qualcosa?”

      “Oh, voglio solo assicurarmi che tu ti stia preparando per la nostra festa per il 4 luglio. Dovremmo cominciare presto ad organizzare.”

      “Betty, è il primo giugno. Abbiamo davvero bisogno di pensare a luglio così presto?”

      “Ovvio! C’è così tanto da fare. Ora, di cosa ti vuoi occupare? Le decorazioni? I dessert? O forse il vassoio delle bevande. Accidenti, mi sto emozionando al solo pensiero!”

      Star era pronta a vomitare al solo pensiero, ma si sforzò di prendere un respiro profondo e di espirare lentamente. Betty aveva buon cuore, non poteva farci niente se il suo cervello a volte andava in sovraccarico.

      “Che ne dici se ti richiamo fra una settimana? Devo spacchettare la mia roba di scuola e sbrigare alcune faccende.”

      “Oh tesoro, sei ancora triste? Sembri triste. Accidenti, lo sarei anch’io dopo quello che ti ha fatto quell’uomo odioso. Sei una così gran donna, è sua la perdita, lo sai.”

      “Non sono triste, sto bene,” disse, non volendo pensare al suo ex fidanzato e a quel giorno orribile. “È finita con lui. Hai ragione, la perdita è sua, io sono andata avanti.”

      “Questo è lo spirito giusto! Non perdere neanche un minuto a pensare a lui. Semplicemente ti rimetti in sesto, sbrighi quelle faccende, e mi chiami. Non aspettare troppo, però. Abbiamo un sacco di preparativi da fare!”

      Star salutò e riagganciò. Provò a suscitare un po’ di indignazione verso Betty. Accidenti a lei per trascinarla a lavorare a una festa a cui nemmeno voleva partecipare, e accidenti a lei per darle un’altra cosa di cui preoccuparsi. Star aveva troppi progetti da affrontare quell’estate, troppe cose da fare.

      Ma non riusciva a essere indignata. Non provava praticamente niente, la stessa cosa che aveva provato ininterrottamente fino ad ora da... quanto tempo era passato dall’Evento, quasi un anno? Nessuna gioia, niente rabbia, nessun dolore, solo una grande e grossa sensazione di blah ogni giorno. Cominciava al risveglio, andava avanti durante la giornata e fino a notte, quando gli ultimi fuggevoli pensieri le danzavano nella mente prima che il sonno la reclamasse. Anche i suoi sogni erano noiosi e spenti.

      E la verità era che non aveva nessuna dannata cosa da fare quell’estate, nessun piano, niente. La maggior parte degli anni aveva qualcosa di delineato, un corso in cui insegnare o al quale partecipare, progetti da realizzare nel suo cortile o intorno alla casa – qualche attività che le desse una buona ragione per alzarsi dal letto ogni mattina. Non quest’anno. In qualche modo, aveva lasciato che l’estate la sorprendesse senza aver fatto alcun progetto.

      Star sapeva che il suo attuale stato mentale non era un buon posto dove stare. Aveva sentito le parole ‘clinicamente depressa’ sussurrate in sala insegnanti e sapeva che poteva essere quello il caso, ma non era riuscita a mettere insieme abbastanza voglia di analizzare il problema. Continuava a promettersi di prenotare una visita medica, ma non lo faceva mai. Il pensiero di prendere delle pillole non era particolarmente allettante, e sospettava che i farmaci fossero tutto ciò che avrebbe ottenuto da un medico.

      Quello di cui aveva realmente bisogno era una pausa dalla sua routine quotidiana. Forse trovare qualcosa di completamente diverso

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