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      Sì: Gerione è l’invidia infernale, che fu cagione di tutti i mali al genere umano: più cercavo ne le valli di Malebolge e più me ne convincevo. Già la prima di esse cerchiava quelli che con segni e con parole ornate rinnovarono con Eva l’inganno del serpente biblico; e la seconda quelli che, come esso serpente, ebbero la lingua pronta sempre alle lusinghe: quelli insomma, l’una e l’altra, che nel far male al loro Prossimo usarono le stesse arti del primo Tentatore. Nella terza bolgia vedevo i simoniaci; e non è a dire come sul principio io divenissi perplesso a credere invidiosi quelli che adulterano per oro e per argento le cose di Dio. In ciò è, dicevo, avarizia, empietà o che so io, non invidia. Ma Dante stesso mi rassicurava sulla vera natura del peccato di simonia:

      ... la vostra avarizia il mondo attrista

      Calcando i buoni e sollevando i pravi.

      Il mondo attrista; cioè danneggia il genere umano, a cui volete male, a cui invidiate il bene, come già Satana; calcando i buoni, cioè facendo quello che l’invido fa, il quale, come spesso noi vediamo, nessun male crede poter fare più grande al buono e al valente, che esaltare sopra lui il malvagio e l’inetto. Si tratta, io soggiungeva leggendo in Agostino (Civ. Dei XV, 5), di quella invidentia diabolica, per la quale i pravi invidiano i buoni, per nessun’altra ragione se non che quelli sono buoni ed essi pravi. Anche il peccato di simonia io concludeva dunque essere invidia, e l’avarizia dei venditori delle cose divine intendeva essere altro che il mal dare e mal tener della quarta lacca. Nè gli altri peccatori di Malebolge mi parevano contrastare al concetto generale dell’invidia, che è mal vedere il bene del Prossimo, o al significato del primo peccato di invidia, commesso da Lucifero a sventura del genere umano: nè gl’indovini, che non vedono dinanzi più che Satana quando diceva. Sarete come Iddii; nè quelli che falsificarono sè in altrui forma, come Satana che si mutò in serpente; nè i falsi che hanno il principal vizio del diavolo che è bugiardo e padre di menzogna; nè i seminator di scandalo e di scisma che imitarono il Nemico che fu autore della separazione degli uomini da Dio; nè gli ipocriti tristi (aggiunto, questo, proprio degl’invidi) che, sotto color di bene, gente dipinta, come la figura che benigna avea di fuor la pelle, fecero il male; gli ipocriti che, come dice S. Gregorio (Mor. VIII 34) ‛laudari de inchoata iustitia appetunt, praeesse ceteris etiam melioribus concupiscunt’; nè i ladri che si trasformano in serpenti, nè i barattieri, nè i pravi consiglieri. E non mancavano altri indizi, messi qua e là ad ammonire il lettore che Malebolge è il regno dell’invidia. Papa Niccolò storce i piedi, quando apprende che non è Bonifazio quello che con tanta sua gioia credeva venuto anzi tempo in inferno: ‛Sei tu già costì ritto, Sei tu già costì ritto?’ E così tutti questi dannati sono ossessi dall’invidia: i due frati godenti,

      Quando fur giunti, assai con l’occhio bieco

      Mi rimiraron senza far parola:

      Poi si volsero in sè e dicean seco:

      “Costui par vivo all’atto della gola;

      E s’ei son morti, per qual privilegio

      Vanno scoperti della grave stola?„;[34]

      e Maestro Adamo:

      O voi, che senza alcuna pena siete,

      E non so io perchè...[35]

      I dannati par che si dolgano che gli altri non soffrano abbastanza, sì che gran parte di lor martoro è data dai compagni di pena, come a Caifas, che deve sentire ‛Qualunque passa com’ei pesa pria’. E così i ladri l’uno muta e tramuta l’altro: ‛io vo’ che Buoso corra, Com’ho fatt’io, carpon per questo calle’; e così le due ombre smorte e nude corrono mordendo, come porci; e così rissano Mastro Adamo e Sinone, compiacendosi l’uno della maggior pena e maggior peccato dell’altro. Rissano persino due diavoli, Alichino e Calcabrina, dei quali questo era invaghito ‛Che quei campasse (ossia che succedesse un male, un disordine) per aver la zuffa’: il qual desiderio è come nota precipua dell’invidia. E quasi a suggellare il tutto, a Dante che piange in vedere il pianto degl’indovini, dice rimbrottando Virgilio:

      ancor se’ tu degli altri sciocchi?

      Qui vive la pietà quando è ben morta.[36]

      Le quali parole più che in generale ai dannati dell’Inferno, si riferiscono in particolare a quelli che operarono contro la carità, ossia agli invidi, per i quali non aver carità, è mostrare ossequio alla carità che essi offesero.

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