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mondo a parte, oggetto di preoccupazione continua non meno per la guarnigione che per i pinerolesi. Gli ufficiali, i viaggiatori, i cittadini girano intorno a quelle alte muraglie impenetrabili, divorati dalla curiosità, fantasticando, poichè non posson far altro, sui prigionieri misteriosi e sugli strani avvenimenti che vi si debbon nascondere; tanto che finiscono col ragionare delle cose immaginate come di cose reali. Chi ci sia dentro ora, non si sa con certezza, fatta eccezione dell'intendente Fouquet, del suo servo, il famoso Eustache Dauger, del più famoso conte di Lauzun, e di due ufficiali di artiglieria, francesi, dei quali non s'è ancora riusciti a scoprire nè il delitto nè il nome. Ma si crede che i prigionieri sian molti. Ogni tanto ne arriva uno, di notte, scortato da un drappello della compagnia franca, e lo conducono nella cittadella senza attraversar la città, facendolo passare per la porta segreta di San Giacomo, a cui si giunge per un sentiero sinistro che serpeggia tra la lunetta di Santa Brigida e quella di Sault. Presentemente si fa ancora un gran discorrere intorno a uno sconosciuto, portato lassù nell'aprile dell'anno scorso, con grandissima segretezza, una notte di pioggia, in mezzo a uno stuolo di cavalieri, comandati dal luogotenente Saint-Martin; e rinchiuso, dicono, nella torre chiamata torre bassa, che è quella di mezzo del castello, e la più tetra delle cinque. Raccontano che fu portato in lettiga, che veniva da Lione, che aveva sul viso una maschera di ferro. Chi crede che sia il conte di Beaufort, chi vuole che sia figlio di Cromwell. I soliti almanacchi. Per me, quando penso ai molti birbaccioni volgari che passaron per grandi personaggi perchè furon portati quassù, chiusi in gabbie, come tigri ircane, o in bussole, come principesse rapite, larvati, imbacuccati e tappati come se lo scoprimento della loro persona dovesse sconvolgere il mondo; mi pare cosa molto probabile che anche questo nuovo venuto non sia che un malfattore di dozzina, come chi dicesse il capo d'una delle cento congiure che si vanno scoprendo di continuo, o un avvelenatore di Corte, od anco un galantuomo qualsiasi, che ha detto quattro crude verità in faccia a Sua Maestà il Re di Francia.

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      Comunque sia, tutti gli sguardi e tutti i pensieri son rivolti al Castello. Su dieci pinerolesi io credo che sette lo sognino tutte le notti. Chi sia il nuovo confessore concesso dal Re ai prigionieri, quanto abbia speso il Governo nel mese scorso per la mensa del Fouquet, che secreti si sia lasciato cascare dalle labbra, nel suo ultimo viaggio, quel grand'uomo del D'Artagnan, e che cosa sia venuto ad armeggiare il personaggio sconosciuto che fu visto uscire due giorni addietro dalla casa del Governatore, sono argomenti di chiacchiere interminabili, indovinelli meravigliosi, su cui centinaia di persone si scervellano dalla mattina alla sera, non avendo altro da fare. La curiosità è così smaniosa che la stessa marchesa d'Herleville s'è inimicata con la signora Saint-Mars (una delle più belle e delle più sciocche creature che si sian mai viste con due occhi) per il dispetto di non aver potuto visitare il Castello come voleva. Il Saint-Mars è affollato di tante domande indiscrete e supplichevoli intorno ai suoi ospiti, e in special modo alla maschera di ferro, che ha preso il partito di raccontare a ciascuno una fandonia diversa, la prima e la più strampalata che gli passa pel capo, con la speranza che, mettendole poi a confronto e riconoscendosi corbellati, i curiosi si sdiano dall'interrogare. Questo Saint-Mars, antico moschettiere, soldataccio di ventura, affamato d'oro come un usurario, che si becca la bagatella di centocinquantamila lire francesi all'anno, oltre a quello che raspa nell'amministrazione; piccolo, brutto, con un muso di bertuccia, sempre rannuvolato come il cattivo tempo, irascibile e bestemmiatore come un vetturale, tutto carne e pelle col Louvois per via della sorella di sua moglie; è il tipo nato del ferro di polizia e del carceriere aguzzino, che Dio gli mandi il malanno. Non si assenta un giorno all'anno dalla sua bicocca, veglia sulle sentinelle dalla finestra, fruga i panni dei prigionieri mentre dormono, è capace di passar la notte sopra un albero per scoprire che cosa fa nella cella un disgraziato che gli dà sospetto. Questa specie di porco spino, circondato di mistero e di paura, non è l'ultima delle cagioni per cui a Parigi e alla Corte si parla come d'un recesso strano e quasi fantastico, di questa fortezza solitaria, posta all'ultimo confine dello Stato, ai piedi della quale vengono dalle sale splendide di Versailles i sospiri, i saluti e l'oro di tante belle, a cercare gli amici o gli amanti. Ma chi può farla al Saint-Mars? Ai prigionieri più gelosi porta egli stesso il mangiare una volta al giorno; due sentinelle girano dì e notte intorno alle torri; nella stanza che sta sopra a ogni cella, dorme con gli occhi aperti un ufficiale; ai reclusi non è permesso di confessarsi che una volta l'anno: assistono alla messa da un finestrino obliquo che li nasconde; e quando si cambia la gente del presidio, il cambio è regolato per modo che gli ufficiali e i soldati che vengono non possano barattare una parola con gli ufficiali e coi soldati che se ne vanno. Che delitto avran commesso la maggior parte di quegli infelici? Un libello, una canzonetta impertinente, uno scherzo mordace, che fece ridere furtivamente dieci cortigiani e dieci dame. La collera d'una amante del Re o di un ministro bastò a farli sprofondare in quel sepolcro, dove alcuni muoiono in capo a pochi anni; e quando la notizia della loro morte giunge a Parigi, accade non di rado che chi li ha fatti seppellire non si ricordi più nè del loro nome nè della loro colpa. Ah! la giustizia non ha la mano leggera di qua dal confine, te lo assicuro io. A quando a quando, sulla cima del colle di San Maurizio, si sentono gli urli dei prigionieri indocili, ai quali “dànno la disciplina.„ Giorni fa, dalle carceri basse, si son viste uscire barcollando, soffocate dai singhiozzi, istupidite dal terrore e dalla vergogna, tre meretrici della città, ancora giovani, alle quali, non so per che colpa, avevan raso i capelli e lacerato la schiena a sferzate. Io ricorderò per tutta la vita, rabbrividendo, quegli orribili crani nudi e quei miseri cenci bagnati di pianto e di sangue.

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      Riguardo al Fouquet, me ne duole, non mi trovo in grado di soddisfare la tua giusta curiosità: so questo soltanto, che in dieci anni da che è qui, tutto occupato a far la digestione, un po' laboriosa, dei trentasei milioni del castello di Vaux, non gli è ancora stato concesso di riveder la moglie e i figliuoli. Si sa per altro che può, quando vuole, stare in compagnia del Lauzun e degli ufficiali della cittadella, e che al Saint-Mars è permesso dal Re d'invitarlo a pranzo, e di fargli gustare, oltre ai suoi piatti, le scioccherie della sua signora. Pare che sia rassegnato e tranquillo. Ti posso dire qualcosa di più del conte di Lauzun, che è confitto qui da quattro anni, e che ci starà un altro bel pezzo, se Dio m'esaudisce. Dopo ch'è venuto lui, il Saint-Mars non ha più un'ora di bene. Gli dà più da fare questo rompicollo di dragone, che tutti gli altri prigionieri insieme. Superbo, furioso, scontento di tutto, manesco come un facchino, schiamazzone come un banditore d'incanti, è riuscito a ordire intrighi amorosi dentro e fuori della cittadella, e a far più chiasso a Pinerolo di quello che ne facesse a Versailles. Le sue ultime due amanti, la Grande demoiselle e la bella La Motte, damigella d'onore della Regina, hanno profuso i denari a palate per fargli prendere il volo. Di tempo in tempo si vedono per la città delle facce nuove; si dice: chi sono? chi non sono? Tutt'a un tratto spariscono come spettri. È un tentativo di fuga andato a male. Già una volta una sentinella e non so chi altri avevano preso l'imbeccata; una lettera era arrivata fino al conte; tutto era disposto per la fuga. Ma quel satanasso di Saint-Mars stava all'erta. Un messo della damigella, scoperto, si tagliò le vene; parecchi altri furon messi sotto chiave; e il dragone amato rimase a contare i travicelli. Figurati il chiacchierìo che se ne fece a Pinerolo. Per molto tempo fu un vero furore di curiosità. Questa lamaccia di De Lauzun, dopo averne fatte di tutte le tinte, cortigiano ipocrita, cacciatore di grasse doti, giocatore sospetto, crapulone, maldicente, invidioso, villano con le donne e insolente col suo Re, è ancora riuscito a farsi un piccolo paradiso in prigione, dove le sole spese del suo installamento, a quello che si dice, raggiunsero la somma di diecimila lire francesi. Ha vitto di principe, stoviglie d'argento, camicie di trina, letto di piume, due servitori, e grandi dame che lo adorano a duecento leghe di lontananza. Si chiama nascer fortunati. Si dice che stia nella medesima torre del Fouquet, che è quella accanto al quartiere del Saint-Mars. Ma per quanto sia lasciato libero, le belle signore di Pinerolo, che girano intorno alla cittadella con gli occhi fuori del capo, non sono ancora riuscite a vedere neanche il contorno della sua bellissima faccia di ferro fuso.

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      La vita intellettuale di Pinerolo, insomma, consiste in gran parte nel commentare i fatti e le gesta di quei signori, dei merles, come li chiama benignamente

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