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e per di più anche il letto gli parve umido; subito dopo chiusa la finestra nella stanza putiva fortemente. Erano i muri, erano i mobili vecchi ch’emanavano quell’odore.

      Non sentì l’avvicinarsi lento del sonno ristoratore. Il malessere ch’egli ancora sempre attribuiva alla puzza e alla mancanza d’aria aumentava. Egli di nuovo risolse di levarsi e uscire dalla casa. Era tanto risoluto di agire così che andava immaginando delle scuse alla sua fuga, da dirsi il giorno dopo a Mascotti. Gli parve anche d’essere stato in procinto di porre ad esecuzione il suo progetto e di aver sollevato il busto. Il fatto si è che non ricordava di essersi steso di nuovo e che ben s’avvedeva di trovarsi ancora sempre nel medesimo letto e premendo sul guanciale la testa che gli doleva.

      Si sentì tutt’ad un tratto meglio, più comodo nel letto e senza dolori. Stette immoto temendo di far svanire il suo benessere. Certamente non dormiva ma riposava aggradevolmente.

      Non si rammentò mai come il passaggio fosse avvenuto, ma improvvisamente egli si vide in tutt’altro luogo e in stato d’animo ben differente.

      Giaceva nel suo letto, a casa, nello stanzone bene arieggiato e il sole d’estate entrava da una delle finestre aperte. Era convalescente di una lunga malattia e debole tanto che non gli riusciva di spostare le coperte che gli opprimevano il petto. Ma questo era l’unico disturbo, perché del resto si sentiva lieto, allegro. Fissava il fascio di luce che illuminava un’immensità di corpuscoli sospesi nell’aria, una nebbia leggiera che il sole scopre nell’atmosfera più pura. Era lieto perché sapeva che di là a pochi giorni gli sarebbe stato permesso di uscire all’aria e al sole. Era lieto perché nella cucina vicina sentiva moversi la madre giovine ancora e la quale canticchiava lavorando per lui. Di là gli giungeva il suono monotono che la madre produceva pestando della carne con un coltello, ma nelle orecchie aveva un altro rumore monotono, un ronzìo dolce, una nota tenuta che lo addormentava.

      Doveva essere entrato qualcuno nel piccolo corridoio perché sulle pietre sentiva il suono di un piccolo piede e il fruscio di una veste. Proprio dinanzi alla sua porta risonò una dolce voce di donna: — Come sta Alfonso? — Per quanto dolce diveniva disaggradevole quella voce perché si ripeteva e risonava in tutti i vuoti della grande casa. Di chi era che gli sembrava notissima? La mise in relazione con tutte le voci di donna che conosceva e con nessuna s’accordava. — Ah! sì! Francesca! — e lo colse un profondo malessere e pensò: — Se s’è stabilita nel villaggio ruberà la quiete a tutti i suoi abitanti.

      La porta s’era aperta e subito la stanza era stata invasa da un tumulto di suoni dei carri che passavano sulla via e dei gridii prolungati dei carrettieri. Con movimento istintivo egli aveva chiuso gli occhi per isolarsi. Era sua madre. Prima ch’ella giungesse al suo letto egli la vide e vide il suo sorriso soddisfatto al trovarlo tanto quieto. Ella si chinò su lui e lo baciò, ma giusto sulla cavità dell’orecchio. Egli sentì un acuto dolore come se dentro qualche cosa fosse scoppiato e si svegliò.

      Fu abbagliato dalla luce ch’entrava dalla finestra. Già giorno? La sorpresa era maggiore perché si sentiva ancora stanco come se avesse dormito un’ora al più.

      Accanto al suo letto c’erano Mascotti e Frontini e parve che non si fossero accorti ch’egli aveva aperto gli occhi.

      — Quanto può durare? — chiese Mascotti pensieroso e accarezzandosi il naso con l’indice.

      — Chi lo può sapere? Anche quindici giorni. È probabilmente una tifoidea.

      — Io tifo? — chiese Alfonso.

      — Vede che capisce e che si sente meglio? — gridò Mascotti contento.

      — Ha la febbre ma lieve, — disse Frontini rivolto ad Alfonso. — Deriva probabilmente dalla stanchezza e dal dispiacere. Le garantisco che non è cosa seria. Adesso mi pare che stia molto meglio.

      Era dunque ammalato e si sorprendeva di non essersene accorto prima. Aveva la febbre che continuava con brividi alla schiena, tutto il corpo caldo e asciutto, una tendenza a ridere nelle mascelle. Non era disaggradevole come non erano stati disaggradevoli i sogni ch’essa gli aveva dati.

      — Sta meglio eh? — chiese Mascotti, e si chinò su lui forse desiderando che Frontini non udisse. Alfonso non dimenticò mai né quanto aveva sognato né quanto ora udiva. — Io la terrei ben volontieri qui, ma non ho nessuno che possa avere per lei le cure di cui abbisogna. Giuseppina sì, quella saprebbe fare da infermiera perché ne ha la pratica.

      — Sì, sì, a casa mia, — gridò Alfonso cui la febbre non toglieva di vedere la paura che aveva il pover’uomo di dover tenersi in casa un ammalato.

      Udì ancora che Mascotti s’era rivolto a Frontini per fargli constatare ch’era Alfonso stesso che desiderava di ritornare a casa sua.

      Ricadde nel sogno ma non interamente. Lottava con la febbre e ad ogni tratto ne usciva trionfante. Sentiva la voce della madre che gli chiedeva come stesse e poi subito gli riusciva di vedere il biondeggiare dei mustacchi di Frontini. Era molto assiduo Frontini. Ogni qualvolta Alfonso apriva gli occhi lo vedeva accanto al letto che gli tastava il polso o ponevagli alla testa delle pezze ghiacciate. Doveva essere una buona persona e nella febbre Alfonso si commoveva per quel povero uomo che egli aveva odiato.

      Poi la febbre aumentò di nuovo e vi si aggiunse un forte mal di capo. Si sentì affanno e ne soffrì.

      — Oh! povera madre mia! — pensò rammentandosi di quell’altro affanno a cui egli aveva assistito e che doveva essere stato tanto più doloroso del suo.

      Doveva aver perduto la nozione del tempo perché riaprendo gli occhi trovò notte oscura. Un lumicino brillava accanto al suo letto e Giuseppina semiaddormentata era sdraiata su un sofà posto sotto alla finestra, parallelo al suo letto. L’avevano chiamata dunque anziché mandare lui fuori di casa. Anche Mascotti era una buona persona.

      Aveva una forte sete e mise un piede fuori del letto per andare a bere da una bottiglia d’acqua ch’egli tanto presto aveva scoperta perché vi si rifletteva il piccolo chiarore del lumicino.

      — Vuole rimanere nel suo letto? — gridò improvvisamente Giuseppina minacciosa andando verso di lui.

      Spaventato ritirò la gamba.

      — Non volevo che acqua! — disse per iscusarsi.

      — Ah! è in sé! — disse Giuseppina riflettendo comodamente ad alta voce. — Scusi! — aggiunse e quella sua voce grossa d’uomo non sapeva chiedere scusa, — mi hanno raccomandato di stare molto attenta! — Gli diede dell’acqua quanta ne volle.

      Dovettero essere più giorni che passò in quello stato perché più volte aprendo gli occhi rimanevano sorpresi dalla luce del giorno mentre s’erano chiusi di notte.

      Una volta aprendo gli occhi ebbe la sorpresa di trovarsi sulla via, dinanzi alla casa di Mascotti, sostenuto da Frontini e da Giuseppina. Dubitando non fosse un sogno, non dimostrò la sua sorpresa e non chiese spiegazioni. Venne fatto salire su una carrettella che subito si mise in movimento lentamente ma non evitando perciò, inevitabili sul selciato irregolare, le scosse onde egli si risentiva come di legnate. Fu lieto quando altre visioni scacciarono quella e anche quando si riebbe di notte quella gita gli parve frutto del delirio.

      Ma alla mattina sentendosi tranquillo come dopo un lungo riposo e la mente quieta, alquanto intorpidita, ma già rivolta del tutto ai fatti che avevano preceduto la sua malattia, s’accorse che non era stata una visione. Vedeva esattamente in tutti i particolari la stanza di casa sua, i mobili vecchi, l’orologio a pendolo che camminava e che segnava le otto, e i due letti. Vi era anche quello della madre. Ne avevano asportato il cadavere e lo avevano rifatto come se la persona che ne era uscita avesse avuto da coricarvisi di nuovo la sera. Il guanciale era il medesimo ed egli lo riconosceva a una grande macchia di caffè ch’era stata fatta dalla defunta allorché respinse una tazza offertale in un momento in cui le sofferenze l’avevano esasperata.

      Bastava per evocargli dinanzi agli occhi tutti i terribili avvenimenti a cui aveva assistito negli ultimi quindici giorni. Gli vennero le lagrime agli occhi, proprio dolcissime, di compassione.

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