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sole brillava alto nel cielo, ma l’aria era fredda e umida. Aletha rabbrividì, mentre un vento freddo le soffiava addosso. Camminò lungo tutta la passerella per scendere dalla nave. La traversata dell’Atlantico era stata più lunga del previsto, a causa di una brutta tempesta. Per alcuni, terribili momenti, Aletha aveva addirittura temuto di non arrivare mai in Inghilterra! Dopo il naufragio del Titanic, aveva perso la sua incrollabile fiducia nei viaggi per mare.

      La nave a vapore aveva fatto scalo nel porto di Bristol. La sua famiglia l’avrebbe preceduta a Londra col treno, per fare un po’ di shopping. Lei invece aveva programmato di recarsi in alcune potenziali sedi per la succursale Inglese della Candy Carter Company. Aveva quindi telegrafato per procurarsi un’automobile, già quando si trovava ancora sulla nave. Essere ricchi era certo una gran bella cosa! Di sicuro i soldi spianano la strada e sono di grande aiuto in queste cose.

      “Caricate i bauli nel cofano della macchina, prego – disse ad cameriera – il resto del mio bagaglio sarà spedito domani in treno insieme alla mia famiglia.”

      Indossò i guanti. Per fortuna, aveva preso lezioni di guida, e sarebbe stata completamente autonoma negli spostamenti. Sua madre era addirittura inorridita, quando aveva saputo che Aletha sapeva guidare l’automobile! Comunque, avrebbe sbrigato presto i suoi affari e a sera si sarebbe recata in hotel per il meritato riposo. Poi l’indomani avrebbe preso il treno per Londra. Il matrimonio era a breve, e quindi non sarebbe potuta rimanere oltre a Bristol.

      Salì in macchina e avviò il motore. Per fortuna la macchina si avviò al primo colpo di gas, e quindi Aletha potè rapidamente lasciare il porto. Le indicazioni che aveva ricevuto via telegrafo erano molto dettagliate, ma non conosceva la città e si augurò di non perdersi. Le sarebbe seccato molto arrivare tardi ad un appuntamento.

      Circa quindici minuti dopo, parcheggiò la vettura nei pressi di una fabbrica abbandonata . Scese e fece un giro di ricognizione intorno all’edificio: si trattava di una vecchia costruzione, lasciata in disuso per via della guerra già nel 1914. Avrebbe dovuto darci un’occhiata anche dentro, ma esternamente sembrava in ottime condizioni. Ci sarebbe voluto una sistematina al tetto e gli infissi andavano tutti cambiati, ma tutto sommato stava bene.

      “La signorina Dewitt?’” esclamò una voce maschile alle sue spalle.

      Si voltò e vide un uomo. Aveva i capelli castani e gli occhi vacui, quasi senza espressione. Non era una di quelle persone che ti fanno impressione al primo sguardo; anzi, se non fosse stato per quell’appuntamento, probabilmente non lo avrebbe mai neanche notato. A questo pensiero, Aletha ebbe un moto di disappunto: si rese conto che difficilmente le capitava di notare qualcuno, se non ne era proprio costretta.

      “Il Signor Baldwin?” chiese.

      “Sì. Piacere. – esclamò l’uomo, con voce piatta – Mi dispiace avervi fatto aspettare, ma ho trovato la strada bloccata e mi ci è voluto più tempo del previsto. Desiderate dare un’occhiata all’interno dell’edificio?”

      “Sì, grazie.” rispose lei. Per giudicarlo al meglio era necessario. Aletha non era una di quelle donne che si fermano all’apparenza.

      “Seguitemi, prego.” esclamò l’uomo. Si diresse verso una delle porte d’ingresso e tirò fuori un mazzo di chiavi. Mentre l’apriva , i cardini cigolarono per la mancanza d’uso. Quando entrambi furono dentro, Baldwin lasciò aperto l’uscio.

      “Come vedete, è parecchio che è abbandonato.”

      “Vedo. – esclamò Aletha, dando un’occhiata veloce all’ambiente e alla polvere sui vetri delle finestre – Ma sembra in buono stato. Il proprietario è disposto a venderlo?”

      “Certo. Ormai la proprietà non gl’interessa più.” rispose Baldwin, sempre senza entusiasmo.

      Aletha scrutò a fondo ogni angolo. Non era male. Quel posto poteva andare bene per i suoi scopi. Ma non voleva ancora impegnarsi: in fondo, la parola finale sarebbe spettata a suo nonno. Avrebbe dovuto prendere altre informazioni, prima di inviarle al suo ufficio. Cercò di prendere tempo.

      “Capirete che non posso ancora esprimermi. Ho altri edifici da visitare. Quando avrò preso una decisione mi metterò in contatto con voi.” disse all’uomo.

      “E mio dovere avvertirvi che ci sono altre persone interessate alla proprietà. Vi prego di non attendere troppo, per prendere una decisione.” rispose Baldwin.

      “Me ne ricorderò. – tagliò corto Aletha – Se perderò l’affare sarà colpa mia.” Si diresse verso l’uscita e gli porse una mano. “Grazie per il vostro aiuto, signor Baldwin. Spero di rivedervi.”

      “Attenderò con impazienza. E’ stato un piacere, signorina. “ rispose l’uomo, molto formalmente.

      Aletha tornò alla macchina e accese il motore, allontanandosi rapidamente dall’edificio. Avrebbe dovuto riconsegnare l’auto a noleggio la mattina dopo, davanti alla stazione ferroviaria. Aveva tutto il tempo di recarsi in albergo e di riposare un po’. Prima avrebbe mandato un telegramma a suo nonno, con tutti i dati e le informazioni che aveva raccolto. Poi si sarebbe rintanata nella sua camera e avrebbe cenato lì. Non aveva molta voglia di fare conversazione, quella sera. E poi, che razza di compagnia avrebbe potuto trovare, in un alberghetto di periferia?

      Parcheggiò l’auto ed entrò nell’ufficio telegrafi. Poi si recò al suo albergo e consegnò le chiavi della macchina ad un domestico. Il primo passo per convincere il nonno delle proprie capacità imprenditoriali era ormai fatto, e Aletha si augurò che l’uomo ne sarebbe rimasto contento.

      Dopo aver sbrigato le formalità alla reception, si avviò in camera. Qualcuno aveva già portato il suo bagaglio: dopotutto, il servizio dell’hotel sembrava ottimo. Si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi. Era stata una giornata molto faticosa, e il suo lavoro era appena agli inizi…

      Rafe, Conte di Leone, passeggiava sulla banchina lungo i binari del treno. I suoi affari a Bristol non erano andati come si sarebbe augurato. Per non parlare della nottata in albergo! Ormai, era tempo di tornare a Londra: non poteva indugiare oltre. Uno dei suoi più cari amici, William Collins, era in procinto di sposarsi e lui era il suo testimone di nozze. La sua presenza era indispensabile, a fianco dell’amico.

      Un fischio preannunciò l’arrivo del treno. Era in anticipo, per fortuna, e presto avrebbe potuto accomodarsi in carrozza. Il viaggio verso Londra sarebbe stato breve, ma comunque aveva intenzione di occupare un buon posto. I matrimoni lo innervosivano, come succede a tutti gli scapoli che s’irritano al pensiero di trovarsi davanti a una folla di femmine che speravano di trovar marito. Quello, era un’ aspetto dei matrimoni che proprio detestava!

      Si appoggiò a un palo e chiuse gli occhi. Desiderava tornare presto a casa! Il modo in cui si erano svolti i suoi affari a Bristol lo aveva lasciato con l’amaro in bocca. Sua madre, Lady Pearle Montgomery Leone, aveva molte proprietà da amministrare, in Inghilterra. Suo padre Damien, invece, Marchese di Bari, era troppo impegnato per occuparsi dei suoi possedimenti in Italia. Gran parte dei beni materni erano già andati in eredità a lui e alle sorelle Sophia e Gabrielle, qualora si fossero sposate. Ma per ora le ragazze non sembravano averne intenzione e Rafel non se la sentiva di criticarle. Anche per lui il matrimonio era solo un cappio al collo, e sperava di rimandarlo quanto più possibile.

      Il treno si fermò alla banchina, sparando nell’aria grossi sbuffi di vapore. Rafael dette un’occhiata al suo orologio da taschino: era in perfetto orario. La folla di passeggeri uscì dai vagoni, sparpagliandosi per la banchina e lui attese con impazienza che il capostazione desse il via libera per salire in carrozza. Con la coda dell’ occhio gli sembrò di vedere una luce verde. Guardò meglio, la luce sembrava sparita, o forse se l’era soltanto immaginata.

      I minuti trascorrevano interminabili: Ma cosa diamine stavano facendo, sul treno? Resistette all’impulso di sollecitare gli addetti. Poi, finalmente, un fischiò avvertì i passeggeri che potevano salire sul treno.

      “Signori, in carrozza!” gridò il capotreno,

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