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all'ora, senza preoccuparsi della polizia o degli altri conducenti, schivando le automobili troppo lente, piene di persone che tornavano a casa tranquille senza la preoccupazione che loro figlia potesse essere morta.

      Scivolò nel minuscolo parcheggio di ghiaia e, quando la vide, frenò di colpo. Una berlina blu, l'unica macchina nel parcheggio, parcheggiata nel punto più nascosto. Era calata la notte, quindi lasciò i fari accesi e parcheggiò l’Escalade proprio in mezzo al parcheggio, scese dalla macchina e corse verso la berlina.

      Aprì la porta sul retro.

      Ed eccola lì, era una visione celestiale e infernale al contempo: la sua bambina, la sua figlia più giovane, dalla pelle pallida e luminosa, giaceva prostrata sul sedile posteriore di un'auto con gli occhi vitrei e semiaperti, pillole sparse sul pavimento sotto di lei.

      Zero controllò immediatamente il suo battito. C'era, seppure fosse molto lento. Quindi inclinò la testa all'indietro e si assicurò che le sue vie respiratorie fossero libere. Sapeva che la maggior parte dei decessi per overdose erano il risultato del blocco delle vie aeree, che causava a sua volta insufficienza respiratoria e infine arresto cardiaco.

      Ma stava respirando, anche se molto debolmente.

      “Sara?” disse con voce rotta. “Sara?”

      Lei non rispose. La sollevò dall'auto e la tenne in posizione verticale. Non riusciva a stare in piedi da sola.

      “Mi dispiace”, le disse. E poi le infilò due dita in gola.

      Lei vomitò immediatamente, più e più volte, nel parcheggio. Tossì e annaspò mentre lui la teneva e le ripeteva: “Va tutto bene. Andrà tutto bene”.

      La mise sull’Escalade, lasciando le porte della berlina aperte e le pillole sui sedili, e guidò per tre chilometri, finché trovò un piccolo negozio di alimentari. Comprò due litri d'acqua con una banconota da venti dollari e si precipitò fuori senza aspettare il resto.

      Lì nel parcheggio di una stazione di servizio in Florida, si sedette con lei sul sedile posteriore, con la testa in grembo mentre le accarezzava i capelli, aiutandola a bere e cercando di capire se avrebbe dovuto portarla in ospedale. Le sue pupille erano dilatate, ma le sue vie respiratorie erano aperte e il suo polso stava lentamente tornando alla normalità. Le sue dita si contrassero leggermente, ma quando lui fece scivolare la mano nella sua si chiusero attorno alle sue. Zero trattenne le lacrime, ricordando quando era solo una bambina, quando la teneva in grembo e le sue piccole dita stringevano le sue.

      Restando seduto lì con lei, perse la cognizione del tempo. Quando guardò l'orologio, vide che erano trascorse più di due ore.

      Poi lei sbatté le palpebre, gemette leggermente e disse: “Papà?”

      “Si”. Rispose in un sussurro. “Sono io”.

      “È tutto vero?” chiese, con voce persa e sognante.

      “È tutto vero”, le disse. “Sono qui e ti porterò a casa. Ti porterò via da qui. Mi prenderò cura di te… anche se mi odi per questo”.

      “Ok”, disse lei dolcemente,

      A quel punto lui si tranquillizzò, rendendosi conto che il pericolo era passato. Sara si addormentò e Zero scivolò sul sedile anteriore del SUV. Non poteva metterla su un aereo in questo stato, ma poteva tornare indietro in macchina nella notte. Maria si sarebbe sbarazzata del veicolo per lui, senza fare domande. E le autorità locali avrebbero fatto visita a quello spacciatore, Ike.

      La guardò: era raggomitolata sul sedile posteriore con le ginocchia sollevate e la guancia appoggiata sul sedile di pelle, apparentemente tranquilla, ma vulnerabile.

      Lei ha bisogno di te.

      E lui aveva bisogno che qualcuno avesse bisogno di lui.

4 SETTIMANE DOPO

      CAPITOLO UNO

      “Sei pronto?” Chiese Alan Reidigger, con voce bassa mentre impugnava la Glock nera con la sua mano robusta. Lui e Zero davano le spalle a una struttura in legno compensato, nascosta nell'oscurità. Era quasi troppo buio per vedere, ma Zero sapeva che in pochi istanti l'intero posto sarebbe stato illuminato come in pieno giorno.

      “Sono sempre pronto”, sussurrò Zero. Teneva una Ruger LC9 nella mano sinistra, una piccola pistola argentata con un caricatore a nove colpi, mentre riscaldava le dita della mano destra. Soffriva ancora della ferita che aveva subito quasi due anni prima, quando un'ancora d'acciaio gli aveva schiacciato la mano mettendola fuori gioco. Dopo tre interventi chirurgici e diversi mesi di terapia fisica, aveva riacquistato gran parte della mobilità, nonostante il danno permanente al nervo. Riusciva sparare con una pistola, ma la sua mira era leggermente spostata verso sinistra, un piccolo inconveniente a cui stava cercando di lavorare.

      “Io vado a sinistra”, spiegò Reidigger, “e faccio strada. Tu vai a destra. Tieni gli occhi aperti e controlla ad ampio raggio. Scommetto che ci aspetta qualche sorpresa”.

      Zero sorrise. “Oh, ora sei tu la mente dell'operazione?”

      “Tu cerca di stare al passo, vecchio”. Reidigger ricambiò il sorriso da dietro la folta barba che oscurava la metà inferiore del suo viso. “Pronto? Andiamo”.

      Immediatamente si allontanarono dalla facciata in compensato alle loro spalle e si separarono. Zero sollevò la Ruger, la sua canna seguì il suo campo visivo mentre scivolava dietro l'angolo buio e percorreva uno stretto vicolo.

      All'inizio non ci fu che silenzio e oscurità, non si udì alcun suono. Zero dovette ricordare ai suoi muscoli di non contrarsi, di rimanere allentati e di non rallentare la sua velocità di reazione.

      Non c'è niente di nuovo, si disse. L'hai già fatto molte volte.

      Poi, le luci esplosero alla sua destra, una serie di lampi abbaglianti. Un forte bagliore, accompagnato dal rumore assordante degli spari. Zero si gettò in avanti rotolando e si sollevò su un ginocchio. La figura era a malapena più di una sagoma, ma ciò che vedeva fu sufficiente per prendere la mira e sparare.

      Non mancò il colpo. Si alzò in piedi ma rimase basso, avanzando con cautela. Attenzione. Controlla ad ampio raggio… Si girò di scatto appena in tempo per vedere un'altra figura scura che scivolava dietro di lui, bloccando la strada. Zero si lasciò ricadere all'indietro, atterrando sulla schiena mentre sparava altri due colpi. Udì dei proiettili fischiare proprio sopra la sua testa, che gli sfiorarono i capelli. Entrambi i suoi colpi colpirono la figura, al busto e alla fronte.

      Dall'altro lato della struttura arrivarono tre colpi in rapida successione. Poi il silenzio. “Alan”, sibilò nell'auricolare. “Via libera?”

      “Aspetta un attimo”, fu la risposta. L'aria venne squarciata da un'esplosione di fuoco, e poi da altri due colpi della Glock. “Via libera. Incontriamoci dietro l’angolo”.

      Zero tenne le spalle al muro e avanzò rapidamente, mentre il ruvido compensato tratteneva il suo giubbotto. Notò un vago movimento in avanti, dal tetto della struttura piatta. Un singolo colpo alla testa eliminò immediatamente la minaccia.

      Raggiunse l'angolo della struttura e fece una pausa per prendere fiato. Mentre svoltava, puntando la Ruger, si ritrovò faccia a faccia con Reidigger.

      “Ne ho presi tre”, gli disse Zero.

      “Io due”, grugnì Alan. “Il che significa…”

      Zero non fece nemmeno in tempo a finire la frase che vide un'altra figura scivolare dietro Alan. Sollevò la pistola, proprio sopra la spalla di Alan, e sparò due volte.

      Ma non fu abbastanza veloce. Mentre i colpi di Zero raggiungevano l'obiettivo, Alan gemette e si afferrò una gamba.

      “Ah, dannazione!” Disse Reidigger. “Di nuovo”.

      Zero sussultò nel vedere tutte le luci fluorescenti accendersi simultaneamente illuminando l'intero campo di addestramento. Si sentirono dei tacchi sul pavimento di cemento, e un attimo dopo comparve Maria Johansson, le braccia incrociate sul suo blazer bianco e un'espressione accigliata in viso.

      “Che ti prende?”. Protestò Reidigger. “Perché

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