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dei tanti motivi per cui aveva chiesto le ferie. Mackenzie considerava anche quello una crescita personale. Fidarsi di qualcuno al punto da condividere uno spazio abitativo e, per quanto suonasse sdolcinato, il suo cuore, era qualcosa che non sarebbe riuscita a fare fino a pochi mesi prima.

      Appena ebbe finito di cambiarsi, si accorse di non vedere l’ora di cominciare il trasloco. Incurante dei muscoli doloranti, accelerò il passo mentre raggiungeva il parcheggio.

      ***

      Il lato positivo di non essere una persona materialista era che, al momento del trasloco, c’era ben poco da mettere negli scatoloni. Infatti bastò un solo viaggio con il fuoristrada di Ellington e un furgone per traslochi a noleggio. Grazie all’ascensore nell’edificio dove viveva Ellington, ci vollero in tutto meno di due ore, e alla fine Mackenzie non aveva dovuto sollevare poi così tanti scatoloni.

      Festeggiarono il trasloco con cibo cinese e una bottiglia di vino. Mackenzie era stanca e indolenzita, ma immensamente felice. Credeva che si sarebbe sentita nervosa e che forse avrebbe persino provato un po’ di rimorso; invece, mentre iniziavano a sballare gli scatoloni, si scoprì eccitata per questo nuovo capitolo della sua vita.

      “Facciamo un patto” disse Ellington, il cutter puntato sul nastro adesivo che chiudeva una delle scatole. “Devi dirmelo subito se ci sono film o CD imbarazzanti in queste scatole.”

      “Direi che il CD più imbarazzante che ho è la colonna sonora di quell’orrendo remake anni Novanta di Romeo e Giulietta. Che vuoi che ti dica? Mi piaceva un sacco quella canzone dei Radiohead.”

      “Va bene, sei perdonata” disse lui tagliando il nastro adesivo.

      “E tu?” ribatté Mackenzie. “Non hai CD imbarazzanti in casa?”

      “In realtà mi sono disfatto di tutti i miei CD e DVD. Ho tutto in digitale. Volevo fare un po’ di posto, quasi come se avessi il presentimento che uno di questi giorni un’agente sexy dell’FBI sarebbe venuta a vivere qui con me.”

      “Che intuito” commentò lei, poi gli si avvicinò e gli prese una mano tra le sue. “Allora... è la tua ultima possibilità. Fai ancora in tempo a cambiare idea prima che svuotiamo gli scatoloni.”

      “Cambiare idea? Sei pazza?”

      “Dovrai convivere con una ragazza” disse tirandolo a sé. “Una ragazza a cui piace l’ordine, a volte in modo maniacale.”

      “Ah, lo so. Non vedo l’ora” fu la risposta di Ellington.

      “E tutti i miei vestiti? Sei disposto a condividere il tuo armadio con me?”

      “Non ho molti vestiti” disse lui chinandosi su Mackenzie. Adesso i loro nasi si sfioravano e tra loro stava iniziando a divampare un calore a cui ormai avevano fatto l’abitudine. “Puoi prenderti tutto lo spazio che vuoi.”

      “Trucchi, assorbenti, dividere il letto, più piatti sporchi... Sicuro di essere pronto a tutto questo?”

      “Sì. Però devo chiederti una cosa.”

      “E sarebbe?” disse Mackenzie mentre con le mani gli accarezzava le braccia. Sapeva come sarebbe andata a finire, e ogni muscolo indolenzito del suo corpo era pronto.

      “Tutti quei vestiti da donna” disse lui. “Non lasciarli sparsi sul pavimento.”

      “Mh... non ci penso neanche” rispose.

      “Ah, lo so” disse Ellington, poi le prese l’orlo della canottiera e gliela sfilò. Senza perdere tempo, fece lo stesso con il reggiseno sportivo che indossava sotto. “Io invece probabilmente lo farò” aggiunse lasciando cadere gli indumenti a terra.

      Poi la baciò e provò a portarla verso la camera da letto, ma i loro corpi erano troppo impazienti, così finirono sul tappeto del soggiorno. Anche se i muscoli doloranti di Mackenzie protestarono per la scomodità, altre parti del suo corpo ebbero la meglio.

      ***

      Quando il suo cellulare squillò alle 4:47 del mattino, nella mente assonnata di Mackenzie si fece strada un solo pensiero, mentre allungava la mano verso il comodino.

      Una telefonata a quest’ora... Mi sa che la vacanza è finita.

      “Sì?” rispose saltando i convenevoli, dato che tecnicamente era ancora in ferie.

      “White?”

      Stranamente, negli ultimi nove giorni McGrath le era quasi mancato. Sentire la sua voce la riportò rapidamente alla realtà.

      “Sì, sono io.”

      “Scusi l’ora” disse. Prima che potesse aggiungere altro, anche il cellulare di Ellington si mise a squillare dall’altro comodino.

      È successo qualcosa di grosso, pensò. Qualcosa di terribile.

      “Ascolti, mi rendo conto di averle concesso due settimane di ferie” disse McGrath, “ma abbiamo per le mani un disastro e ho bisogno di lei. Di lei e di Ellington. Venite nel mio ufficio prima che potete.”

      Non era una domanda, bensì un ordine. Senza aggiungere altro, McGrath riattaccò. Mackenzie sospirò e si girò verso Ellington, che stava giusto concludendo la sua telefonata.

      “A quanto pare la tua vacanza è finita” disse con un sorriso tirato.

      “Non fa niente” replicò Mackenzie. “È finita con il botto.”

      Poi, come una vecchia coppia sposata, si scambiarono un bacio e scesero dal letto per andare al lavoro.

      CAPITOLO DUE

      Il J. Edgar Hoover Building era deserto quando Mackenzie ed Ellington entrarono. Entrambi si erano già trovati là agli orari più disparati della notte, perciò non era niente fuori dal normale. Eppure, essere chiamati a quell’ora non era mai un buon segno. Solitamente significava che ad attenderli era qualcosa di veramente orribile.

      Quando raggiunsero l’ufficio di McGrath, trovarono la porta aperta. Lui era seduto ad un piccolo tavolo da riunione in fondo alla stanza, intento a studiare diversi fascicoli. Insieme a lui c’era una donna che Mackenzie aveva già visto. Era l’agente Yardley, una tipa silenziosa e diretta che in più di un’occasione aveva affiancato l’agente Harrison. Quando li vide entrare e avvicinarsi al tavolo, fece un cenno e una sorta di sorriso robotico, poi tornò a fissare il portatile, concentrata.

      McGrath sollevò la testa e Mackenzie lesse una sorta di sollievo nel suo sguardo. Era un bel modo di essere accolta al lavoro dopo aver dovuto interrompere le ferie.

      “White, Ellington” disse McGrath. “Conoscete l’agente Yardley?”

      “Sì” disse Mackenzie rivolgendo un cenno del capo alla donna.

      “È appena tornata da una scena del crimine collegata ad un’altra di cinque giorni fa. Inizialmente il caso era stato affidato a lei, ma quando abbiamo cominciato a sospettare che potesse trattarsi di un serial killer, le ho chiesto di raccogliere tutta la documentazione per passare il caso a voi. Abbiamo un omicidio... il secondo in cinque giorni. White, ho pensato nello specifico a lei per via di un suo caso passato; mi riferisco al Killer dello Spaventapasseri.”

      “Cosa abbiamo su questo caso?” chiese Mackenzie.

      Yardley girò il portatile verso di loro. Mackenzie si accomodò alla sedia più vicina e osservò la fotografia sullo schermo con una calma che ormai conosceva bene, l’abilità di studiare gli scatti più crudi come parte del suo lavoro, ma con la compassione rassegnata che praticamente tutti proverebbero per una morte così tragica.

      Vide un uomo che aveva superato la mezza età, con capelli e barba quasi completamente bianchi, appeso al portone di una chiesa. Le braccia erano spalancate e la testa china, in una posa che richiamava la crocifissione. Il petto era solcato da tagli e un’ampia ferita si apriva sulla fronte. Era stato lasciato in mutande, che avevano assorbito gran parte del sangue che era colato

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