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portarmi iella parlandone.”

      “Ma voglio sapere tutto!” esclamò Jayne. “Oh, aspetta. Ho un’altra chiamata.”

      Emily aspettò mentre la linea restava silenziosa. Qualche istante dopo il rumore della mattinata newyorkese le riempì le orecchie di nuovo mentre Jayne si riconnetteva.

      “Scusa, tesoro,” disse, “Dovevo proprio rispondere. Roba di lavoro. Allora senti, Amy ha detto che hai un Bed and Breakfast laggiù, o qualcosa del genere.”

      “Ah-ah,” rispose Emily. Si sentiva un po’ tesa a parlare del Bed and Breakfast dato che Amy era stata così esplicita nel dichiararla una stupida idea, per non parlare del fatto che tutto il cambiamento radicale nella vita di Emily era stato pianificato proprio male.

      “Hai delle stanze libere al momento?” chiese Jayne.

      Emily fu presa alla sprovvista. Non si era aspettata questa domanda. “Sì,” disse, pensando alla stanza ormai vuota di Kapowski. “Perché?”

      “Voglio venire!” esclamò Jayne. “È il weekend del Memorial Day, dopotutto. E ho un bisogno disperato di uscire dalla città. Posso prenotarne una?”

      Emily vacillò. “Non devi farlo per forza, sai. Puoi venire in visita.”

      “Non se ne parla neanche,” rispose Jayne. “Voglio il trattamento completo. Asciugamani puliti ogni mattina. Uova e bacon a colazione. Voglio vederti in azione.”

      Emily rise. Di tutte le persone con cui aveva parlato della sua nuova avventura lavorativa, Jayne era quella che le stava dando maggior sostegno.

      “Bene, lascia che ti prenoti ufficialmente, allora,” disse Emily. “Quanto resterai?”

      “Non so, una settimana?”

      “Ottimo,” disse Emily, con un moto di gioia che le si rivoltava nella pancia. “E quando arrivi?”

      “Domani mattina,” disse Jayne. “Verso le dieci.”

      La gioia si fece più forte. “Okay, resta in linea un momento mentre ti prenoto.”

      Un po’ frastornata dall’entusiasmo, Emily posò il cellulare e corse al computer della reception, dove entrò nel sistema di prenotazione delle stanze e inserì i dati di Jayne. Si sentì orgogliosa di se stessa per aver mantenuto il Bed and Breakfast letteralmente pieno fin dal giorno in cui aveva aperto, anche se aveva una sola stanza da occupare e aveva aperto solo due giorni prima…

      Tornò di corsa al telefono. “Okay, ti ho prenotato tutto per una settimana.”

      “Benissimo,” disse Jayne. “Sembravi molto professionale.”

      “Grazie,” rispose Emily timidamente. “Ci sto ancora lavorando. Il mio ultimo ospite è stato un disastro.”

      “Puoi raccontarmi tutto domani,” disse Jayne. “Devo andare. Comincio il decimo miglio, quindi devo risparmiare il fiato. Ci vediamo domani.”

      “Non vedo l’ora,” rispose Emily.

      La telefonata terminò ed Emily sorrise tra sé e sé. Non aveva capito quanto le mancasse davvero la sua vecchia amica finché non le aveva parlato. Vedere Jayne domani sarebbe stato un antidoto fantastico al disastro del signor Kapowski.

      CAPITOLO CINQUE

      Estenuata dalla lunga e disastrosa mattinata, Emily si ritrovò ad affogare nell’infelicità. Ovunque guardasse vedeva problemi ed errori; una parete tinteggiata male, una luce affissa malamente, un mobile inadatto. Prima le erano sembrate delle fissazioni, ma adesso la seccavano.

      Sapeva di aver bisogno di aiuto e consiglio professionale. Era stata una pazza a pensare di poter gestire da sola un Bed and Breakfast.

      Decise di chiamare Cynthia, la proprietaria della libreria che in gioventù aveva gestito un Bed and Breakfast, per chiederle consiglio.

      “Emily,” disse Cynthia quando rispose al telefono. “Come stai, tesoro?”

      “Malissimo,” disse Emily. “È il peggior giorno della mia vita.”

      “Ma sono solo le sette e mezza!” esclamò Cynthia. “Quanto tremendo può essere?”

      “Davvero, davvero tremendo,” rispose Emily. “Il mio primo ospite se n’è andato. Ho dimenticato di servirgli la colazione il primo giorno, il secondo giorno non avevo abbastanza ingredienti e ha detto che il cibo era freddo. Non gli piacevano i cuscini né gli asciugamani. Non so cosa fare. Puoi aiutarmi?”

      “Arrivo subito,” disse Cynthia, apparentemente entusiasta all’idea di impartire un po’ di saggezza.

      Emily uscì per aspettare Cynthia e sedette sul portico, sperando che il sole potesse tirarla su, o perlomeno che lo facesse la dose di vitamina D. Aveva la testa così pesante che la lasciò ricadere tra le mani.

      Quando sentì il rumore del ghiaino che scricchiolava, alzò lo sguardo e vide Cynthia che le si avvicinava in bicicletta.

      La bici arruginita di Cynthia era una vista comune e pressoché indimenticabile del panorama di Sunset Harbor, soprattutto perché la donna che le stava in sella aveva crespi capelli tinti di arancione e indossava tenute brillanti e molto goffe. A rendere le cose ancora più bizzarre, Cynthia aveva recentemente affisso un cestino di vimini davanti alla bicicletta sul quale trasportava Storm, uno dei cuccioli di Mogsy che aveva adottato. Per molti versi Cynthia Jones era lei stessa una vera e propria attrazione turistica.

      Emily era contenta di vederla, sebbene l’ampio cappello estivo rosso a pois di Cynthia le ferisse gli occhi stanchi. Salutò con la mano l’amica e aspettò che la raggiungesse.

      Entrarono e Cynthia non sprecò tempo. Mentre salivano le scale, bombardò Emily di domande – sulla pressione dell’acqua, sul fatto che stesse o meno servendo cibo biologico, su chi fosse il suo fornitore. Per quando ebbero raggiunto la stanza degli ospiti, la testa di Emily girava.

      Accompagnò Cynthia all’interno. La stanza, a giudizio di Emily, era bellissima. C’era un mezzanino da una parte, dove aveva sistemato un comodo sofà in pelle in modo che gli ospiti potessero sedere lì ad ammirare la vista sull’oceano. La stanza era soprattutto bianca, ma con degli elementi blu, un tappeto in pelle di pecora e mobilio in pino anticato.

      “Il letto è troppo piccolo,” disse Cynthia immediatamente. “Doppia standard? Sei pazza? Ti serve qualcosa di grande e opulente. Qualcosa di lussuoso, qualcosa che sia fuori dalla loro portata. Per come hai sistemato le cose, qui pare di essere a uno showroom.”

      “Credevo che quello fosse il senso,” disse Emily umilmente.

      “Assolutamente no!” esclamò Cynthia. “Deve sembrare un palazzo!” Fece ampi giri della stanza, toccando le coperte spiegazzate del letto. “Troppo ruvide,” disse. “I tuoi ospiti meritano di dormire in un letto che sulla pelle sembri seta.” Si avvicinò alla finestra. “Queste tende sono decisamente troppo scure.”

      “Oh,” disse Emily. “Nient’altro?”

      “Quante stanze hai?”

      “Be’, questa è la principale già pronta. Ce ne sono altre due che hanno bisogno solo di un po’ di mobilio. Poi ce n’è un’altra valanga che non sono ancora riuscita a svuotare. E dovrebbe essere adattato anche tutto il terzo piano.”

      Cynthia annuì e si portò un dito al mento. Sembrava avere qualche idea – forse, pensò Emily, grandiosi piani per il Bed and Breakfast che per lei sarebbero stati impossibili da portare a termine.

      “Mostrami la sala da pranzo,” ordinò Cynthia.

      “Uhm…okay…”

      Scesero di sotto e a ogni passo il timore di Emily si intensificava. Stava cominciando a pentirsi della decisione di aver chiesto aiuto a Cynthia. Dove il signor Kapowski aveva scalfito il suo fragile ego, Cynthia lo stava facendo

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