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      Emily fece cin cin e le labbra le si contrassero in un sorriso. “A Kapowski.” Bevve un sorso, lasciando che le bollicine le scoppiettassero sulla lingua.

      “Ancora non ti senti sicura di questa cosa, vero?” chiese Daniel.

      Emily fece spallucce, con gli occhi fissi sul liquido nel bicchiere. Ne mandò giù dell’altro e osservò la traiettoria del fiume di bollicine cambiare, distrutta dal movimento, prima di riassestarsi. “È che non ho molta fiducia in me stessa,” disse alla fine, con un profondo sospiro. “Non ho mai raggiunto davvero nessun obiettivo, prima.”

      “E il tuo lavoro a New York?”

      “Intendo dire nessun obiettivo che volessi.”

      Daniel alzò le sopracciglia. “E io?”

      Emily non poté trattenersi dal fare un sorrisetto. “Non ti vedo come un obiettivo come…”

      “Dovresti,” la interruppe lui allegro. “Un ragazzone stoico come me. Non è che io sia il ragazzo con cui è più facile parlare del mondo.”

      Emily rise, poi gli scoccò un lungo e sontuoso bacio sulle labbra.

      “Questo per che cos’era?” disse lui una volta che lei si fu scostata.

      “Un ringraziamento. Per questo.” Fece un cenno al piccolo banchetto da picnic davanti a loro. “Per essere qui.”

      Daniel sembrò allora esitare ed Emily ne capì la ragione: perché essere qui non era qualcosa che Daniel sarebbe mai stato capace di fare del tutto. Viaggiare era nelle sue vene. A un certo punto sarebbe dovuto partire.

      E lei? Nemmeno lei aveva pianificato di rimanere a Sunset Harbor. Era lì già da sei mesi – un periodo lungo da passare lontano da New York, lontano da casa sua e dai suoi amici. Eppure, con il sole all’orizzonte che si allungava in raggi arancioni e rosa nel cielo, non poteva pensare a nessun altro posto dove avrebbe preferito essere. In quel momento esatto, proprio lì, tutto era perfetto. Sentiva di vivere in paradiso. Forse poteva davvero fare di Sunset Harbor la sua casa. Forse Daniel avrebbe voluto sistemarsi con lei. Non c’era modo di conoscere il futuro; avrebbe solamente dovuto vivere un giorno alla volta. Alla fin fine poteva rimanere fino a che i soldi non fossero finiti. E se avesse lavorato sodo, se fosse riuscita a far sì che il Bed and Breakfast si sostenesse economicamente, allora quel giorno sarebbe potuto non arrivare ancora per moltissimo tempo.

      “A cosa stai pensando?” chiese Daniel.

      “Al futuro, immagino,” rispose Emily.

      “Ah,” rispose Daniel guardandosi in grembo.

      “Non è un buon argomento di conversazione?” chiese Emily.

      Daniel si strinse nelle spalle. “Non sempre. Non è meglio godersi il momento e basta?”

      Emily non sapeva come prendere quell’affermazione. Era una prova del suo desiderio di lasciare quel posto? O il futuro non era un buon argomento di conversazione perché lui vi vedeva futuri dolori?

      “Magari sì,” disse Emily con calma. “Ma a volte è impossibile non pensare a quello che verrà. Va bene anche fare dei piani, non credi?” Cercava di spingere delicatamente Daniel, di carpirgli un minimo di informazioni, qualcosa che potesse farla sentire più salda nella loro relazione.

      “Veramente no,” disse lui. “Mi sforzo con tutto me stesso di tenermi focalizzato sul presente. Non preoccuparti del futuro. Non rimuginare sul passato.”

      A Emily l’idea che lui si preoccupasse del loro futuro non piaceva, e si costrinse a non chiedere di che cosa ci fosse da preoccuparsi nello specifico. Invece chiese, “C’è molto su cui rimuginare?”

      Daniel non aveva rivelato molto sul suo passato. Lei sapeva che aveva viaggiato molto, che i suoi genitori avevano divorziato e che suo padre beveva, che Daniel aveva attribuito al padre di Emily il merito di avergli dato un futuro.

      “Oh sì,” disse Daniel. “Moltissimo.”

      Tornò di nuovo silenzioso. Emily voleva che dicesse altro ma sapeva che non poteva. Si chiese se lui sapesse con quanta forza lei desiderasse essere la persona con cui lui si sarebbe confidato.

      Ma con Daniel ci voleva sempre pazienza. Avrebbe parlato quando fosse stato pronto, se mai fosse stato pronto.

      E se quel giorno fosse venuto, lei sperava che sarebbe stata ancora lì per ascoltarlo.

      CAPITOLO QUATTRO

      Il mattino dopo Emily si alzò presto, decisa a non perdere di nuovo il turno della colazione. Alle sette in punto sentì il rumore della porta della camera degli ospiti che si apriva e richiudeva piano, poi lo scalpiccio dei passi di Kapowski mentre scendeva la scala. Emily uscì da dove stava indugiando fin sul corridoio e si fermò sul fondo delle scale e guardarlo.

      “Buongiorno, signor Kapowski,” disse fiduciosa, con un sorriso gradevole sul viso.

      Kapowski si spaventò.

      “Oh. Buongiorno. È sveglia.”

      “Sì,” disse Emily mantenendo il tono sicuro, sebbene non si sentisse sicura per niente. “Volevo scusarmi per ieri, per non essere stata disponibile per prepararle la colazione. Ha dormito bene?” Notò i cerchi neri che aveva attorno agli occhi.

      Kapowski esitò per un momento. Ficcò nervosamente le mani nelle tasche del vestito spiegazzato.

      “Um…no, a dire il vero,” rispose alla fine.

      “Oh no,” disse Emily preoccupata. “Non a causa della stanza, spero.”

      Kapowski sembrava irrequieto e goffo, si massaggiava il collo come se avesse altro da dire ma non sapesse come farlo.

      “A dire il vero,” riuscì a dire alla fine, “il cuscino era piuttosto bitorzoluto.”

      “Le chiedo sinceramente scusa,” disse Emily, frustrata con se stessa per non averlo controllato.

      “E ehm… gli asciugamani erano ruvidi.”

      “Davvero?” disse Emily, sconcertata. “Perché non viene a sedersi in sala da pranzo,” disse combattendo per non lasciar trapelare il panico dalla voce, “e mi spiega tutti i problemi.”

      Lo guidò nell’ampia sala da pranzo e aprì le tende, lasciando che la luce pallida del mattino filtrasse nella stanza mostrando l’ultima esposizione di gigli di Raj, dal profumo che permeava la stanza. La superficie del lungo tavolo di mogano stile banchetto scintillava. Emily adorava quella stanza; era così opulenta, così eccessiva e barocca. Era la stanza perfetta per esibire il vasellame antico di suo padre, conservato in una vetrina fatta dello stesso mogano scuro del tavolo.

      “Così va meglio,” disse mantenendo un tono solare e disinvolto. “Ora, vorrebbe dirmi i problemi inerenti alla sua stanza, così possiamo sistemarli?”

      Kapowski sembrava a disagio, come se in realtà non volesse parlare.

      “Ma non è niente. Solo il cuscino e gli asciugamani. E anche forse il materasso era molto rigido e ehm… un po’ sottile.”

      Emily annuì, comportandosi come se le parole dell’uomo non le stessero dando ansia.

      “Ma davvero, va tutto bene,” aggiunse Kapowski. “Ho il sonno leggero.”

      “Ok, va bene,” disse Emily capendo che farlo parlare era stato peggio che lasciarlo insoddisfatto della stanza. “Be’, cosa posso prepararle per colazione?”

      “Uova e bacon, se non le arreca troppo disturbo,” disse Kapowski. “Fritte. E un toast. Con funghi. E pomodori.”

      “Nessun problema,” disse Emily, preoccupata di non avere tutti gli ingredienti che aveva nominato.

      Emily corse in cucina, svegliando Mogsy e Rain immediatamente. Entrambi i cani si misero ad

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