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sospirò, scoprendosi di nuovo sulla via principale di Sunset Harbor con Daniel. Scosse la testa, scacciando il turbine di ricordi. Non era la prima volta che subiva l’improvviso ritorno di un ricordo perduto, ma l’esperienza la sconvolgeva ancora nel profondo.

      “Tutto bene?” disse Daniel toccandole il braccio con delicatezza, con espressione preoccupata.

      “Sì,” rispose Emily, ma la voce sembrava intontita. Provò a sorridere ma riuscì solo a sollevare leggermente gli angoli della bocca. Non aveva detto a Daniel del modo in cui i ricordi d’infanzia le stessero ritornando in frammenti; non voleva spaventarlo.

      Decisa a non permettere a queste memorie intrusive di rovinarle la giornata, Emily si buttò nella festa. Erano trascorsi molti anni dall’ultima volta che c’era stata, ma era ancora impressionata dallo spettacolo. Si meravigliava del modo in cui la cittadina accoglieva le celebrazioni e le faceva sue. Una delle cose che stava cominciando ad amare di più di Sunset Harbor erano le sue tradizioni. Sentiva che il Memorial Day sarebbe diventato un’altra vacanza che avrebbe amato.

      “Ciao, Emily!” la chiamò Raj Patel dall’altra parte della strada. Passeggiava con sua moglie, la dottoressa Sunita Patel, due persone che ora Emily considerava amiche.

      Emily fece loro ciao con la mano e poi disse a Daniel, “Oh, guarda. Ci sono Birk e Bertha. E quella nel passeggino con Jason e Vanessa non è Katy?” Indicò il proprietario della pompa di benzina e la moglie invalida. A fianco c’era il figlio, il pompiere che aveva salvato Emily da un incendio. Lui e sua moglie avevano appena avuto il loro primo figlio, una bambina che si chiamava Katy, e le avevano preso per regalo uno dei cuccioli randagi di Emily. “Dovremmo andare a salutarli,” disse Emily, desiderando parlare con i suoi amici.

      “Tra un attimo,” disse Daniel dandole un colpetto con la spalla. “Comincia la parata.”

      Emily guardò in fondo alla strada la banda della scuola locale che si metteva in riga, pronta a dare inizio alla processione. Il tamburo cominciò a battere e fu rapidamente seguito dalla musica degli ottoni che suonavano “When the Saints Go Marching In.” Emily, deliziata, guardò la banda oltrepassarli marciando. Alle loro spalle c’erano le cheerleader, con le uniformi rosse, bianche e blu. Risalirono la strada a furia di salti mortali all’indietro e grand battement.

      Poi fu la volta di un gruppo di bambini dell’asilo con le facce dipinte, dalle guance paffute e angeliche. Emily provò una piccola fitta nel vederli. Avere bambini non era mai stata una priorità per lei – non si può dire che avesse avuto fretta di diventare madre, considerando quanto orrendo fosse il rapporto che aveva con la sua – ma adesso, guardando i bambini della parata, Emily capì che qualcosa era cambiato dentro di lei. C’era un nuovo desiderio lì, un desiderio che le metteva pressione. Si voltò verso Daniel e si chiese se fosse qualcosa che sentiva anche lui, se la vista di quegli adorabili bimbi lo facesse sentire nello stesso modo. Come sempre, la sua espressione era illeggibile.

      La parata continuava. Arrivò un gruppo di donne dall’aria dura della squadra di pattinaggio locale, che saltavano e correvano in tutte le direzioni sui pattini, seguite da una coppia di trampolieri e da un grande carro che portava una replica in cartapesta della statua di Abramo Lincoln.

      “Emily, Daniel,” disse una voce alle loro spalle. Era il sindaco Hansen, affiancato dall’assistente, Marcella, che sembrava piuttosto infastidita. “Vi state godendo i festeggiamenti da noi?” chiese il sindaco Hansen. “Non è il tuo primo anno se ricordo bene, ma forse è il primo che tu possa ricordare.”

      Fece un sorrisetto innocente, ma Emily si imbarazzò. Cercò di darsi un’aria calma e felice.

      “Hai ragione. Purtroppo non ricordo di quando venivo qui da piccola, ma di sicuro mi sto divertendo adesso. E tu, Marcella?” aggiunse, cercando di distogliere l’attenzione da sé. “È il tuo primo anno?”

      Marcella annuì in modo deciso ed efficace, poi tornò ai suoi appunti.

      “Non fare caso a lei.” sogghignò il sindaco. “È una stacanovista.”

      Lo sguardo di Marcella si sollevò giusto un attimo, ma fu sufficiente a Emily per leggere la frustrazione che conteneva negli occhi. Chiaramente l’atteggiamento flemmatico del sindaco la frustrava. Emily poteva capire Marcella. Era anche lei così appena sei mesi prima; troppo seria, troppo stressata, alimentata da un po’ troppa caffeina e dalla paura di fallire. Guardare Marcella era come porre uno specchio davanti alla sua vecchia io. La sola speranza di Emily per lei era che imparasse a rilassarsi, che Sunset Harbor l’aiutasse a sciogliere le sue corde arrotolate così strette, anche se solo un pochino.

      “Comunque,” disse il sindaco Hansen, “torniamo al lavoro. Ho delle medaglie da consegnare, vero Marcella? La cerimonia di premiazione per la corsa con l’uovo, o il cucchiaio, o qualcosa del genere.”

      “Le olimpiadi dei bambini,” disse Marcella con un sospiro.

      “Ecco,” rispose il sindaco Hansen, e i due sparirono nella folla.

      Daniel sorrise. “È impossibile non innamorarsi di questa pazza città,” disse, cingendo Emily con un braccio.

      Lei si accoccolò a lui, sentendosi al sicuro, protetta. Insieme guardarono passare i ballerini di conga, salutando con la mano gli amici che passavano: Cynthia, della libreria, con i capelli di un arancione brillante che non si abbinava agli abiti che indossava, Charles e Barbara Bradshaw della pescheria, Parker, il grossista di frutta e verdura biologica.

      Proprio allora, Emily scorse qualcuno tra la folla che le fece gelare il sangue. Vestito con i pantaloni a scacchi da golf e una maglia verde lime che gli copriva a malapena la grossa pancia, c’era Trevor Mann.

      “Non girarti,” borbottò, aggrappandosi alla mano di Daniel per sicurezza. “Ma mister Vicino Sogghignante è qui.”

      Daniel, ovviamente, si girò subito. Come se avesse una specie di sesto senso, Trevor se ne accorse. Diede un’occhiata a entrambi, gli occhi scuri brillarono di dispetto.

      Emily fece una smorfia. “Ti avevo detto di non girarti!” sgridò Daniel mentre Trevor li raggiungeva.

      “Sai che c’è una legge non scritta,” sibilò Daniel in risposta, “che recita che se ti dicono ‘non girarti’ allora tu ti giri.”

      Era troppo tardi per scappare. Trevor Mann era su di loro, emergeva dalla folla come un’orribile bestia baffuta.

      “Oh no,” disse Emily gemendo.

      “Emily,” disse Trevor col suo tono ipocritamente gentile, “non si è dimenticata di quelle tasse che deve pagare sulla casa, vero? Perché io di sicuro me le ricordo.”

      “Il sindaco mi ha accordato una proroga,” rispose Emily. “Era all’assemblea anche lei, Trevor, mi sorprende che non l’abbia sentito.”

      “Non mi interessa se il sindaco Hansen ha detto che non c’è fretta, non spetta a lui decidere. Spetta alla banca. E io mi sono messo in contatto con loro per dirgli del suo uso illegale della casa e degli affari illegali che ci sta facendo.”

      “Idiota,” disse Daniel affrontando Trevor per proteggere Emily.

      “Lascia stare,” disse Emily posandogli una mano sul braccio. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era che Daniel perdesse la calma.

      Trevor fece un sorrisetto. “La proroga del sindaco Hansen non durerà per sempre e di certo non reggerà in termini legali. E io farò tutto ciò che è in mio potere per assicurarmi che il suo Bed and Breakfast affondi per non tornare più in superficie.”

      CAPITOLO TRE

      Emily guardò Trevor andarsene nella moltitudine di persone.

      Non appena fu sparito, Daniel si voltò verso Emily con un’aria molto preoccupata in viso. “Tutto bene?”

      Emily non riuscì a trattenersi. Affondò contro il suo ampio petto, schiacciando il viso sulla sua camicia. “Cosa

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