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e si poteva portare anche senza reggiseno grazie all’elastico ricamato di nero, che seguiva il seno e il sotto seno. Quell’abito era un must della stilista italiana, un evergreen, che tornava aggiornato in ogni collezione primavera-estate. Era ricamato di pizzo con teli di strati differenti: doppi sul davanti, dove dovevano coprire di più e singoli dove si poteva lasciare intravedere con eleganza e sensualità la bellezza di un corpo femminile armonioso come quello della Harrison, che quell’abito avrebbe esaltato ancora di più.

      Â«Wow!» Esclamò Barbara quando distese l’abito sul suo letto per ammirarlo.

      La Harrison non era solita vestirsi in maniera femminile, dentro di lei batteva il cuore di un maschiaccio e cercava di evitare il più possibile abiti femminili o succinti. Certo qualsiasi cosa avesse indossato sarebbe stata divinamente sul suo corpo, ma lei voleva essere considerata dagli uomini e dalle donne soprattutto per altre qualità, quelle che andavano ben oltre l’apparenza estetica e che alla fine, in un modo o nell’altro, finivano tutti per riconoscerle. Soprattuto sul lavoro non accettava di buon grado gli sguardi di quelli che cercavano di farle una lastra attraverso i vestiti.

      â€œSe non vuoi avere problemi con me, resta concentrato e non perderti in inutili fantasie. Sono stata abbastanza chiara?” Era la frase che ripeteva sempre quando qualcuno che incontrava per la prima volta esagerava a fissarla durante le ore di lavoro.

      Portava i suoi quarantadue anni con lo splendore di una magia che aveva fermato il tempo già da un decennio e quando Barbara si vide allo specchio con quell’abito indosso, la sua raffinata bellezza e l’innata eleganza si esaltarono al punto di stupirla.

      Robert accettava il lato maschile e talvolta, nel privato, trasandato di Barbara, ma la voleva vedere anche così: affascinate e femminile, una donna eterea e irraggiungibile, capace nella semplicità di qualsiasi gesto il suo corpo compiesse, di ipnotizzarlo e farlo innamorare di nuovo. Quel giorno Barbara lo avrebbe accontentato, così dopo essersi passata un filo di matita sui suoi occhi di gatta e aver trovato i sandali adatti da indossare insieme a quello splendido abito, uscì di casa per recarsi al ristorante dove lui la attendeva.

      La Harrison era felice di quel chiarimento telefonico avvenuto il giorno precedente e di come Robert riuscisse sempre a sorprenderla. Alcune settimane senza di lui, avevano allargato quell’insopportabile senso di vuoto che Barbara provava da quando ancora bambina perse suo fratello maggiore a causa di un improvviso e inspiegabile arresto cardiaco avvenuto nel sonno. Da quel giorno, la dolce e sensibile bambina, cambiò il suo carattere e prese le caratteristiche che ricordava fossero le più evidenti nel fratello: la forza e il coraggio, divenendo così la Barbara Harrison capace di incarnare le aspettative che la sua famiglia aveva inizialmente riposto in entrambi i figli, nel tentativo di alleviare quel tremendo dolore che i suoi genitori portavano nel cuore dal giorno della morte di suo fratello Richard.

      

      

      Nel tempo la Harrison aveva avuto storie con diversi uomini, ma solo con Robert aveva assaporato quel senso familiare, pregno di calore e protezione, che lo rendeva diverso dagli altri. Perdere un uomo così sarebbe stato un errore. Lui la amava alla follia, lei lo sapeva ed a modo suo, sotto tutte le sue corazze, ricambiava quel sentimento. Quell’uomo le chiedeva soltanto di esserci, di vivere il presente per non condizionare il futuro e di viaggiare insieme nel percorso della loro esistenza, almeno finché l’amore li avrebbe uniti, e lui non avrebbe voluto altro che giurarle amore eterno.

      Capitolo 11

      

      

      Ronald Howard lasciò felice l’officina di Jim Lewis alla guida della sua macchina d’epoca, scortato dalle stesse due auto blindate che aveva lasciato da giorni a protezione della sua Mercedes. Jim era felice di essersi sbarazzato così presto di quella situazione, Ronald aveva fretta e lui non chiedeva di meglio. Da adulti, non hanno più molto da dirsi un miliardario e un meccanico, se non rivangare qualche vecchia situazione legata a ricordi sfocati e spesso inventati dei tempi della scuola, che tra l’altro erano sempre e solo ricordi rivisitati dalla fantasia di Ronald, talvolta così lontani dalla realtà, che Jim faticava ad assecondarli con credibilità. Ronald aveva almeno il buon gusto di non parlare di economia e politica, magari lamentandosi, per cercare goffamente di essere solidale con i problemi dell’amico e delle classi sociali meno agiate. Era un cazzaro, ma non un cretino Ronald e questo Jim lo apprezzava, come apprezzava quell'assegno da diecimila dollari che teneva stretto tra le mani.

      â€œDiecimila dollari per montare una marmitta e ridare fluidità ad uno sportello è una rapina con scasso… Che Dio ti benedica Ronald, tu e le tue cazzate sui tempi che furono!” Pensò Jim scoppiando a ridere da solo. Ormai il caldo nell’officina era insopportabile. Dopo aver piegato e assicurato l’assegno nel portafogli, si diresse nel bagno per bagnarsi la testa con l’acqua fredda. Per quel giorno avrebbe chiuso le saracinesche della sua officina, sarebbe andato a prendere Henry a scuola e con suo figlio sarebbe poi andato da sua sorella Jasmine, avrebbero pranzato insieme e poi lui sarebbe andato in banca e avrebbe depositato quell’assegno di tutto rispetto, magari pure cambiandosi d’abito prima.

      Sarebbe certamente andata così se uscendo dal bagno e tornando nell’officina, non si fosse trovato davanti ai suoi occhi Shelley Logan a bordo del suo scooter, vestita solo con un paio di infradito, dei pantaloncini cortissimi bianchi e una canottiera rosa, che senza reggiseno sotto, lasciava intravedere le forme di quel seno a coppa di champagne e i suoi capezzoli eternamente turgidi.

      Â«Si ingolfa Jim, puoi aiutarmi?» Disse Shelley con quell’aria sexy e imbronciata, che solo certe ragazze pericolose sanno assumere.

      Â«Forse il tuo scooter ha bisogno di una sturatina, Shelley…»

      Â«Sì, credo di sì Jim, e penso che solo tu puoi aiutarmi. Sai non vorrei rimanere a piedi sotto questo sole…» Rispose Shelley maliziosamente, allargando le gambe e spingendosi indietro sulla sella per azionare il cavalletto.

      â€œIncredibile che tu abbia poco più di vent’anni, Shelley. Youporn ti ha fottuto il cervello insieme a tutta la tua generazione e io mi metto in fila. Avevo perso il numeretto, ma ora credo si giunto nuovamente il mio turno…” Pensò Jim Lewis avvicinandosi allo scooter della ragazza.

      Â«Ti dispiace se abbasso la saracinesca? Sai il caldo qui dentro è insopportabile…»

      Â«Fai pure. Hai qualcosa da bere qui?» Rispose Shelley legandosi i capelli dietro la nuca con un elastico preso dal polso.

      Â«C’è un frigo nell’ufficio. Prendi quello che vuoi e scegli anche per me», disse Jim prima di tirare giù la saracinesca.

      Shelley si presentò con due bottiglie piccole di vodka, quelle che si trovano nei frigobar degli alberghi.

      Â«Ehi piccola, te la senti di fartela in un sorso o per te è troppo?»

      Â«Ho una gran sete Jim…» Rispose Shelly, subito prima di brindare con l’uomo e buttarsi giù per la gola tutta la vodka.

      â€œSei proprio una bambina cattiva Shelley…” Pensò l’uomo prima di avvicinarsi alla ragazza e prenderla con una mano, deciso, per la coda dei capelli, costringendola prima a voltarsi di spalle e poi a inginocchiarsi a terra, fino a vederla carponi agitarsi come una cagnetta in calore.

      Â«Ãˆ così che fa con te il tuo ragazzo, Shelley?» Disse l’uomo eccitato, sempre tendendola al guinzaglio per la coda dei capelli.

      Â«No, lui mi ama Jim…»

      Â«Ãˆper questo che vieni da me?»

      Â«Sì…»

      Â«Sei una bambina cattiva Shelley, lo sai?» Le domandò eccitato Jim,

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