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eterne, ad averne rifiutato la corporeità e ad averne affermato l’inseità, ad averne illustrato l’immortalità in quanto natura unica, semplice, interamente inclusa nel fatto di essere vivente. Il fondamentale Padre della Chiesa sant’Agostino, come già s’era accennato, oltre che da ormai consolidata tradizione ecclesiastica trasse, in primo luogo, dalla lettura delle Enneadi di quel filosofo neoplatonico la visione dell’anima in sé stessa spirituale e immortale.

      La risurrezione di Cristo e, analogamente, l’assunzione a Dio per suo tramite degli esseri umani giustificati è un concetto inteso in tre guise diverse dai credenti, a seconda della loro ottica antropologica e, in generale, del loro pensiero metafisico-teologico:

      1 Secondo i cristianeggianti gnostici, Gesù il Salvatore non porta in terra, come credono invece i cristiani, l’amore di Dio per ogni essere umano e l’insegnamento ad amarsi gli uni gli altri fino al sacrificio, ma offre la conoscenza del divino, la gnosi; il dono è indirizzato solo ai migliori, gli spirituali o pneumatici, che posseggono l’animo (o spirito o pneuma) oltre al corpo e all’anima-psiche, e non è rivolto agli esseri umani materiali, o ilici o terreni, che sono costituiti solo dal proprio corpo con la sua anima-psiche; per Valentino d’Alessandria († 165 circa) e i suoi seguaci esiste pure una terza categoria di umani, gli psichici, i quali sono privi di animo ma hanno sia libero arbitrio sia un’anima-psiche sufficientemente intelligente per poter raggiungere un certo livello di gnosi: a seconda delle loro scelte intellettuali, costoro possono salvarsi, anche se solo ai margini del pleroma, oppure morire per sempre come i materiali: per gli gnostici valentiniani essi stessi e gli altri gnostici sono spirituali, i giudei e i cristiani, i quali credono errando che il Demiurgo-Jahvè sia Dio stesso, sono psichici e possono salvarsi solo se, avendo psiche molto intelligente, riescono a giungere a un livello sufficiente di conoscenza del vero divino, i pagani sono materiali e senz’altro finiscono nel nulla della dannazione. Secondo il pensiero gnostico in genere, come d’altronde per il platonismo, l’uomo spirituale che ha raggiunto la gnosi quando muore è ammesso appieno nel pleroma di Dio col proprio animo, mentre il suo materiale corpo psichico perisce, proprio come quello degl’ilici e quello degli psichici che non si sono potuti o voluti elevare nella gnosi. Per gli gnostici anche Gesù il Salvatore risorge da morte soltanto come puro Spirito e non come corpo e anima umane; addirittura, per quei particolari gnostici che saranno detti doceti dagli studiosi – da dokeo, sembro – l’umanità di Cristo è soltanto apparente: apparenti sono il suo corpo psichico umano, la sua morte e la sua risurrezione, per essi Cristo è solo divino e semplicemente continua a essere nonostante l’apparenza della sua morte. Diversamente, secondo i cristiani il Salvatore oltre che Spirito è vero uomo in corpo e anima-psiche, egli è realmente ucciso e veramente risorge da morte. Tuttavia ci sono diversi modi cristiani d’intendere la Risurrezione:

      2 Uno dei modi, suscitato non solo dal Nuovo Testamento ma da una mentalità essenzialista-platonica e che è tipico del Cristianesimo ellenizzato, è semidualista se non addirittura dualista. Secondo questo sentire la risurrezione è analoga per Cristo e per gli altri uomini ma con una differenza temporale: b1) per il solo Gesù, che è giustamente visto come vero Dio in Spirito e vero uomo in corpo e anima ma essendo questa ritenuta spirituale e intrinsecamente immortale, avviene la risurrezione dell’anima stessa nell’attimo del trapasso: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso” dice Cristo sulla croce al cosiddetto buon ladrone pentito, suppliziato alla sua destra (Lc 23, 43); e avviene la risurrezione e trasformazione in spirituale glorioso del corpo il terzo giorno dopo la morte; b2) per gli altri uomini, c’è assunzione a Dio dell’anima al momento della morte e solo alla fine dei tempi, al Giudizio Universale, anche il corpo risorge, si trasforma in spirituale glorioso e si ricongiunge alla sua anima, beandosi anch’esso in Dio. La differenza è dettata solo da una ragione pratica: per riconvertirsi dopo la crocifissione e morte di Cristo gli ormai increduli seguaci non solo dovevano incontrare il Risorto glorioso e spirituale, ma non ritrovare nella tomba il materiale suo corpo, altrimenti avrebbero pensato a una mera allucinazione e non avrebbero creduto: il corpo doveva sparire dal sepolcro e i discepoli di Gesù, vedendo la tomba vuota, potevano verificare che Cristo era interamente risorto, primizia fra i morti come dice san Paolo nella 1 Corinzi: “Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 1, 20).

      C) L’altro modo cristiano d’intendere la risurrezione è ispirato a un monismo radicale ed è quello stesso del Cristianesimo delle origini. Due però sono le relative ottiche, quella appunto dei primordi della Chiesa, detta della dormizione, e quella che viene formandosi col tempo sulla base della riflessione teologica e che si potrebbe dire della risurrezione istantanea integrale: c1) Nei primi due secoli della Chiesa si pensa, san Paolo in testa, che la persona morta dorma sino alla fine dei tempi e al Giudizio9 , quando i resti mortali dei salvati da Cristo si animano, trasformati finalmente in gloriosi e spirituali, e c’è l’assunzione a Dio della persona. c2) Col passar del tempo, mentre parallelamente si fa strada dalla fine del II secolo l’idea spiritualista e semidualista ricordata al punto B), ne sorge un’altra, sempre monista, che trova finalmente sistemazione teologica nella seconda metà del IV secolo in un paio di fondamentali omelie10 del Padre della Chiesa san Giovanni Crisostomo11 : morendo, si esce dall’immanente e perciò anche dal tempo, dunque è logico tralasciare l’idea, meramente umana, di dormizione e intendere, più essenzialmente, che nell’attimo stesso della morte c’è l’assunzione in Dio sia del corpo sia della sua anima-psiche che da esso è indivisibile: la persona completa salvata esce dal mondo-tempo, si trasforma sùbito in spirituale gloriosa e sale immediatamente al Trascendente, anche se nell’immanente continua a scorrere il tempo e il cadavere del beato vi rimane, ormai bruta materia: la massa di quel corpo si dissolverà nel nulla con tutto il resto dell’universo quando questo finirà – se finirà: il senso teologico di fine del mondo, al di là delle allegorie, è quello di fine della specie umana.

      Quanto sopra per quanto riguarda la Salvezza dei beati o, se si preferisce altro termine, dei salvati.

      Il concetto di purgatorio per molti secoli non c’è, i casi sono ancor solo due: senz’appello, o alla morte ci si salva, o ci si danna.

      Per adesso si tralascia l’argomento purgatorio, ci si tornerà più avanti, in apposita sezione12 .

      Per quanto riguarda la situazione infernale del dannato, essa è diversa a seconda delle concezioni antropologiche sopra richiamate:

      Nel caso della concezione A) la dannazione consiste nell’annichilimento della persona ed è propria dello Gnosticismo; come s’era visto, essa riguarda le persone materiali, cioè prive di animo-pneuma, che alla morte cadono nel nulla, eterna privazione di Dio, cioè, in ancor più semplici parole, non risorgono e perciò più non esistono, e riguarda inoltre gli psichici che non si elevano nella conoscenza del vero divino. Non è questione d’amore e di odio come nel Cristianesimo, secondo gli gnostici non ci si danna per odio verso Dio e il prossimo, non ci si salva perché si ama alla sequela di Cristo, ma si cade nel nulla perché non si ha la conoscenza adeguata a salvarsi, e questa non è stata raggiunta perché non si possiede lo pneuma che l’avrebbe consentito.

      Può essere interessante ricordare per inciso che per Platone non si tratta di persone spirituali da una parte e di altre irrimediabilmente materiali dall’altra, ma gli spiriti son stati resi tutti imperfetti dalla carne in cui sono stati imprigionati per colpa del Demiurgo, e però gli stessi, teoricamente tutti, possono giungere a perfezione e alla salvezza nell’Essere grazie alla ricerca durante una o più reincarnazioni, ricerca che comprende anche quella etica: quella stessa perfezione che, verosimilmente, il filosofo doveva ritenere d’aver ormai raggiunta egli stesso. Evidente è l’influenza su Platone del pensiero reincarnazionista

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