Скачать книгу

a saccheggiare i magazzini.

      Ma il tipo che fuse in sè i caratteri del pazzo e del criminale, era Marat. Marat era di origine italo-sardo e svizzero, nato da una buona famiglia. Marat, come bene ci descrive Taine, era alto cinque piedi, aveva una testa enorme, in sproporzione col corpo, assimetrica, la fronte sfuggente, l'occhio obliquo, gli zigomi voluminosi; lo sguardo torbido e irrequieto; il gesto rapido e a scatti; il volto in contrazione perpetua; i capelli neri e untuosi, sempre arruffati; nel camminare saltellava.

      Fin dall'infanzia manifestò una presunzione senza confini. Lo confessa apertamente egli stesso nel suo Journal de la République Française scrivendo:

      “A cinque anni io avrei voluto essere maestro di scuola, a quindici professore, autore a diciotto, genio a venti. Fino dalla mia più tenera età io era divorato dall'amore della gloria, passione che cangiò di oggetto ogni tanto, ma non mi ha mai lasciato.„

      Prima che scoppiasse la rivoluzione, cercò, ma indarno, di levar grido come scienziato.

      A Edimburgo, dove faceva il maestro d'inglese, nel 1774 stampò il suo primo lavoro: The Chains of Slavery (Le catene della schiavitù), che tradusse poi da per sè in francese nel 1792 e che i suoi biografi giudicano un povero lavoro politico.

      L'anno dopo pubblica un trattato in tre volumi: Sull'influenza dell'anima sul corpo, ecc., giudicato un miscuglio di letture indigeste, di nomi cacciati all'azzardo, di ipotesi gratuite ove le dottrine del secolo XVII-XVIII si accoppiavano senza dar luogo ad altro che a vuote frasi.

      La sproporzione del suo ingegno colla straordinaria vanità, la sovraeccitazione continua, la copia dei suoi scritti, tutto caratterizzava il suo delirio ambizioso, cui come nel paranoico andò man mano associandosi il persecutorio, che gli faceva vedere invidiosi e nemici dapertutto. Medicastro, mal retribuito, di corte, nel passaggio dalla vita di studi all'azione, dal disprezzo a un poter sconfinato, da mattoide diventa monomane ed omicida. Sfoga dapprima il delirio sterilmente nel suo giornale, ma finisce per trovare eco nel popolo appunto per la sua assurdità. Eran sempre gli stessi articoli, le stesse frasi vuote e bestiali, eran dapprima 600, poi 100.000, poi 250.000 teste che egli (pretendendo applicare le teorie di Rousseau) chiamava al popolo, offrendosene, triste a dirsi, per giustiziere sommario. La sua immaginazione è avida di supplizi. Gli occorrono incendi, assassinî. Incita alle azioni atroci. “Marchiate gli aristocratici col ferro caldo, tagliate loro il pollice, troncate la lingua.„

      “Non era questo il grido dell'appassionato, nota bene il Michelet (v. I), di un genio che veda ben tracciata la sua strada„, ma il grido feroce di un delirante epilettico.

      E la sua ferocia era così evidentemente patologica che Bordier, il suo medico, leggeva il suo giornale, e quando questo era troppo sanguinario lo salassava, tanto reputava quegli impulsi omicidi effetto di un morbo.

      “Ciarlatano, dice il Michelet, ingannatore e profeta da trivio, credente nelle proprie bugie, doveva gridare al miracolo almeno una volta al giorno.„

      E questo era il letterato e certamente il più disinteressato di tutti. Figuriamoci gli altri.

      Ubbriacatura. – Ad aumentare la ferocia dei veri delinquenti e l'irritazione di tutti si aggiunga, oltre all'ubbriacatura morale che dà il numero stesso, l'ubbriacatura fisica, il vino bevuto a profusione.

      Monastier ubbriaco faceva ghigliottinare Lassalle, e al domani non si ricordava più dell'ordine dato.

      I Commissari della Vandea vuotavano in tre mesi 1974 bottiglie e contavano nel loro seno Rossignol, un operaio orefice, divenuto generale in capo, tutta la vita dedito alle crapule, e Vacheron, che violava donne e fanciulli e faceva fucilare chi si opponeva alle sue libidini accese dall'alcool.

      Ad Avignone un farmacista, fratello di uno dei capi masnada, ebbe l'orribile idea di intossicare con sostanze venefiche, probabilmente stramonio, i pacifici cittadini che divenivano così subitamente sanguinari.

      Non ci meravigli questa strana influenza nelle rivolte dei criminali e dei pazzi ad un tempo.

      Io ho a lungo dimostrato e più volte nelle mie opere, che mentre tutti gli uomini amano, odiano il nuovo, solo i matti, i mattoidi e i criminali nati hanno per questo una speciale attrazione.

      Il criminale è, sopratutto per la sua natura impulsiva e per odio delle istituzioni che lo colpirono o che lo inceppano, un ribelle politico perpetuo, latente, che trova nelle sommosse il modo di sfogar doppiamente le sue passioni, e di vederle, per la prima volta, approvate anco dal pubblico. Ed è certo che costoro vedono, forse ispirati dalla passione, i difetti dei governi che ci reggono, meglio e più giustamente che non faccia la media degli onesti.

      Gli è che in costoro l'anomalia organica prepara il terreno al minore misoneismo, ch'è il carattere normale dell'uomo onesto.

      VI

      L'azione della folla

      Ma malgrado il coobarsi di tutte queste cause, sarebbe assurdo il pretendere che ad esse solo si debbano le feroci rivolte dell'89.

      La causa più forte di tutte, quella che gli alienisti soli, insieme a Ferri e a Sighele hanno avvertita in questi ultimi tempi, è quel virus terribile che nasce dalla folla.

      È un'osservazione che io feci fin dal '76[8] solo osservando le riunioni di persone onorate, come i colleghi e gli studenti, che dalla riunione di questi invece di aversi la somma si aveva la sottrazione delle loro virtù.

      Chi ha studiato l'uomo, o meglio ancora sè stesso, in mezzo ai gruppi sociali, di qualunque genere siano, avrà osservato come esso sovente si trasforma, e da onesto e pudico che egli era e che è tutt'ora da solo e tra le pareti domestiche, si fa licenzioso, e fino immorale.

      Quanti radunati in un club ed in un'assemblea, per quanto assennata, non hanno lasciato, senza ribrezzo, insultare l'amico ed il maestro? E quanti non hanno gettato vilmente la pietra contro colui, che poco prima avrebbero sostenuto col massimo ardore! Un passo più in là, e voi vedrete l'uomo più onesto rubare per parere buon compagnone, giuntare al giuoco il novizio, o gettarsi nella più immonda libidine.

      Questa tendenza si fa maggiore quanto più i gruppi si fanno popolosi, dai cinque o sei scolari di campagna, alle migliaia d'operai di una fabbrica (ed ecco perchè i distretti manifatturieri danno più delinquenti degli agricoli), fino all'enorme massa d'uomini che la più lieve causa raggomitola nelle vie di Napoli e Parigi ed il cui grido si trasforma in una sentenza di morte. Una prova quasi diretta ce ne forniscono i gerghi, che abbiamo veduto assumere organismi sempre più tenaci e complicati, quanto più dalle associazioni innocenti e poco popolate si procede alle più fitte e criminose, e che anche nelle prime accennano pure ad una specie d'ostilità o di congiura verso gli estranei.

      Gli istinti primitivi del furto, dell'omicidio, delle libidini, ecc., che esistono appena in embrione in ciascun individuo fino che vive isolato, massime se temperato dall'educazione, si ingigantiscono, tutto ad un tratto, al contatto degli altri.

      Una prova se n'ebbe in molti che andati nella folla repugnanti, o solo curiosi, o anche per impedirne le stragi, finirono per parteciparvi.

      Così un certo Groppin, spedito dalle sue sezioni per salvar dai Settembristi due prigionieri, finì invece di sedere vicino al Maillard e con lui condannare a porte chiuse per 60 ore di seguito quei poveri carcerati.

      Un commesso di negozio, uscito nella via per curiosità, uccise di sua mano 20 preti e dopo poco tempo ne moriva d'orrore e di rimorso.

      E molti dei più feroci rivoluzionari divennero pacifici impiegati sotto Napoleone, come ben nota il Lebon; prova che non erano sanguinari.

      Ma se il fermento criminale epidemico spiega l'irruenza e la ferocia di molti eventi, non può spiegare come essi abbiano potuto durare tanto tempo.

      È giusto, nota Taine, che un uomo come Marat sbraiti: “Arrostate ministri, segretari, metteteli ai ferri. Il re non ha diritto di desinare quando voi mancate di pane. Domandate che con un contributo si dia il benessere agli indigenti; se vi si rifiuta, dividetevi le terre di quei scellerati, fate cadere le teste dei ministri, dei sindaci, dei generali, dei deputati.„ Che un tal matto dica questo non è strano, nè è strano

Скачать книгу


<p>8</p>

Uomo delinquente, 2.ª ediz., pag. 278-79.