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cui del resto poco curavasi; la Francia era un suo dominio; se anche lo dissipava non era che roba sua; se faceva una guerra era per proprio puntiglio o per suo interesse; lo sperpero toccava il fantastico: la cameriera della regina spendeva 30.000 lire in candele; il capitano di caccia 20.000 lire in colombi. Vi erano a corte 295 ufficiali di bocca (noi li chiameremo cuochi), 75 cappellani, 48 medici e farmacisti, 45 lettori. Ogni principe aveva analoga corte speciale. L'alto clero che si trattava come i principi, non aveva altra missione che la persecuzione e l'arricchirsi; ancora nel 1716 i protestanti erano mandati in galera se si radunavano e i pastori appiccati.

      Ma questi malanni che davvero avrebbero giustificato qualunque reazione, cominciavano a medicarsi radicalmente pel consenso stesso di quelli che più ne aveano colpa.

      In grazia degli Enciclopedisti che avevano reso l'amor della libertà, una moda, un delirio epidemico, i nobili che accoglievano i letterati come loro superiori, a Berry avevano dichiarato doversi le imposte ripartire fra tutte le classi; avevano rinunciato spontanei a quasi tutti i privilegi. Nel '79 avevano perfino abbandonato le mode costose, e vestivano come i borghesi. Il re aveva soppresso le corvées, istituita la libera circolazione dei grani, reso lo stato civile ai protestanti, data libertà di stampa, nell'84 aveva soccorso con 3 milioni del proprio gli affamati. Alla Bastiglia nell'89 non vi erano più che sette individui di cui uno idiota. E chi di noi non ha sentito Il Tartufo e il Matrimonio di Figaro senza meravigliarsi che queste commedie fossero non solo tollerate, ma recitate davanti alla corte, al clero e a quella nobiltà, che criticavano così atrocemente? Noi crediamo di essere un popolo libero; ma mettiamoci la mano sul petto, confessiamo sinceramente: in quale città nostra si permetterebbe una commedia in cui ai magistrati pubblicamente si dicesse “senza il tocco e la toga noi non valiamo più niente„ e ai nobili “tutto ci è permesso, perchè abbiamo fatta la fatica di nascere„. Credo non andar errato nel supporre che si troverebbero non pochi magistrati pronti a condannarne gli autori per diffamazione, grazie alla famosa o meglio infame legge Zanardelli, o per eccitamento all'odio contro le classi sociali, e cittadini pronti se ei già non fossero da secoli morti, a mandarli per qualche mese a domicilio coatto. Libertà latina!

      Ora le riforme esagerate dell'89, improvvisate colle stragi e in mezzo alle stragi, dalla prepotenza di pochi, provocando una naturale reazione, per la stessa loro eccessività, impedirono quella evoluzione lenta e feconda che si andava manifestando in tutte le classi.

      Un centinaio di sconosciuti installati al municipio con un colpo di mano notturno rovesciano uno dei poteri dello Stato, soggiogano l'altro; sostenuti da 8 o 9 mila fanatici pervertono il corso della giustizia, impongono all'assemblea i loro capricci, che diventano leggi. Si appropriano dei tesori, a pagamento dei loro delitti. Per poter rimanere al Governo non hanno che la minaccia e l'audacia.

      Chiudono tutte le porte, chiudono Parigi come in una grande trappola. Arrestano 3000 persone, giovani, vecchi, malati, e quando l'assemblea lor s'oppone risolvono il grande macello del settembre, e Marat che sarebbe il Drumont d'allora più la pazzia, e meno la disonestà, diventa il loro dittatore supremo.

      La stessa dichiarazione dei Diritti dell'Uomo che parve e fu veramente la più bella delle manifestazioni di quell'epoca fu contraddetta nei giorni stessi in cui si emanava e da coloro che la dettavano. Mentre proclamavano che nessuno sarebbe stato condannato senza una sentenza di tribunale, essi lasciavano scannare, anzi colle proprie mani scannavano, centinaia di detenuti, auspice e complice lo stesso ministro della giustizia Danton. Mentre proclaman la libertà del pensiero, fanno ghigliottinare, auspice Robespierre, chi ricusava di adorare il loro Ente supremo. Mentre predicavano il rispetto per l'indipendenza dei popoli, avvertono il Bonaparte che sfrutti pure il Milanese, offa per l'Austria.[3]

      E nella provincia Narbonne affamava Tolone; Roussillan rifiutava di soccorrere la Linguadoca; Tolone, e più tardi Marsiglia e Lione, si ribellavano; a Montauban i cattolici facevano strage dei protestanti e viceversa. Nè ritrovarono la pristina forza ed unità, finchè non caddero in braccio a quella dittatura militare che anche quando si copre di gloria nei campi di battaglia è il peggiore di tutti i governi, e non può convenire che a un popolo ed a un'epoca barbara. Ciò basta a dimostrarvi che l'89 fu un grave delitto politico, poichè senza migliorare le sorti della nazione, anzi peggiorandole, le fece soffrire dei parossismi così dolorosi e feroci; e per poco non ne mise l'esistenza in pericolo.

      IV

      Il delitto comune nell'89. – Capi criminali

      E insieme ad un delitto politico fu l'89 una serie di delitti: e molti infatti dei suoi capi erano dei volgari malfattori a cui la politica forniva il pretesto ed i mezzi per associarsi nel male.

      E qui non saprei più dove cominciare per darne le prove. In un mese solo, nel luglio '89, in una sola provincia 36 castelli furono saccheggiati e abbruciati; e si vide, per esempio, il De Barras, un onesto ed anzi democratico castellano, tagliato a pezzi davanti alla moglie gravida che ne morì; D'Ambli trascinato nudo nel suo villaggio, messo in un letamaio, strappate le ciglia e i capelli, agonizzare mentre gli si danza d'attorno.

      Avignone era divenuto un nido di briganti. I contrabbandieri delle dogane francesi, i giuocatori di professione, evasi dalle prigioni di Tolone, pochi capi giacobini, cacciato il legato pontificio, accaparransi i capi della guardia nazionale, occupano il municipio. Ammazzano il loro primo generale Patrix e lo sostituiscono con Jourdan detto il Taglia teste, perchè dicesi aveva poco prima tagliato la testa a due guardie reali. Si fa un corpo di 5 o 6 mila uomini che chiamano mandrins, ma era, dice Taine, far vergogna a Mandrin. Alcune bande ammazzano, violano, estorcono denari a tutti. Al sindaco di Sarrians che offre le chiavi saccheggiano e incendiano la casa; tagliano in due un fanciullo di cinque anni, ne ammazzano la madre e ne mutilano una sorella; recidono le orecchie a un curato e gliele fissano sulla fronte a guisa di coccarda, poi lo scannano e danzano intorno. Quando tutti stanchi si sollevano contro loro, essi rinnovano i massacri; scannano 60 persone inerti, gettandole nella glacière, e 100 altre nei canali.

      Per tutte le lunghe ore delle fucilate, scrive Taine,[4] l'istinto omicida s'è risvegliato, e il desiderio di uccidere, trasformato in idea fissa, si è sparso lontano, nella folla che non ha ancora agito. Il suo clamore solo basta per persuaderla, per eccitarla; quando uno batte, tutti vogliono battere. – Quelli che non avevano armi, scriveva un ufficiale, mi lanciavano delle pietre contro, le donne strizzavano i denti e mi minacciavano coi pugni. Giunsi infine fra i gridi generali che mi volevano appiccato, fino a qualche centinaio di passi dall'Hôtel de Ville, quando mi si portò dinanzi una testa alla cima di una picca, che mi fecero vedere dicendomi che era quella di M. Delaunay il governatore. Questi uscendo aveva avuto un colpo di spada nella spalla destra. Arrivato in via Sant'Antonio, tutto il mondo gli strappava i capelli e gli dava dei colpi. Sotto l'arca di San Giovanni, era già coperto di ferite, intorno a lui gli uni dicevano “Bisogna accopparlo, bisogna attaccarlo alla coda di un cavallo, bisogna abbruciarlo„ ed allora disperato e desiderando di abbreviare il supplizio grida “datemi la morte„, e dibattendosi dà un calcio nel ventre a uno di quelli che lo tenevano. Nel momento stesso è passato da parte a parte dalle baionette, strascinato nei fossi mentre si grida intorno al suo cadavere: “È una carogna, un mostro che ci ha traditi.„ —

      La nazione vuol il suo capo per mostrarlo al pubblico e prega l'uomo che ha ricevuto il calcio di troncarlo; costui, un vagabondo, cuoco di professione, che era andato alla Bastiglia per sola curiosità, crede che quella che domandan tutti debba esser un'azione patriottica: gli vien prestata una sciabola e colpisce il nudo collo; ma siccome lo stromento mal affilato non taglia, tira fuori di tasca un coltellino a manico nero e in qualità di cuoco che sa lavorare nelle carni, pone termine all'orribile operazione; poi mettendo quella testa su un forcone a tre punte e accompagnato da duecento persone armate senza contar il popolo, si mette in istrada e in via Saint-Honoré fa attaccare alla testa due iscrizioni per indicar bene a chi appartenesse. Ma il loro buon umore cresce. Dopo aver sfilato nel Palais Royal il corteggio arriva sul Pont Neuf davanti alla statua di Enrico IV; si fa inclinar tre volte quella povera testa gridando “saluta il tuo padrone„. È lo scherzo finale di cui si trova uno spizzico in ogni trionfo, dove sotto il carnefice trapela il monello

      Ma coloro finiscono per non accontentarsi

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<p>3</p>

Bonfadini, Mezzo secolo di patriottismo, 1888.

<p>4</p>

Les origines de la France Contemporaine, II, pag. 302.