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la parola sua, ecco che la trova nei giorni memori dello sconforto; e fa essa rifiorire la speranza! Quasi per dare una nuova conferma a quella sentenza di Federigo Schiller: che le cose di quaggiù, hanno bisogno di morire nella realtà, per rivivere e rifulgere immortalmente nell'ideale dell'arte…

      LA POESIA DEL GIUSTI

CONFERENZADIISIDORO DEL LUNGO

      Signore e Signori,

      Chi dice «poesia del Giusti» (della quale, in relazione con la poesia italiana, mi propongo parlarvi) intende comunemente qualche cosa di agevole e svelto, nato senz'ombra di artifizio, un concepimento simultaneo e un'unione così schietta d'idea e di parola, che la parola vela appena l'idea senza punto impacciarla, e letto che si è ci pare che la cosa non potesse proprio esser detta altro che in quel modo lì. Nè fanno ostacolo il verso o la rima: perchè i metri sono quasi sempre i più snelli, i più vivaci, i più carezzevoli; nè il verso chiede mai al metro nulla di più di quello che il metro, secondo il suo naturale congegno e le pose sue ovvie, conceda; e la rima, la rima sembra appostata in fondo al verso a riceverlo a braccia aperte, e che se vi accadesse di ripetere quelle cose conversando, incappereste in quelle rime anche voi. Conversando, sicuro; perchè il Giusti è il poeta più conversevole che vi paia aver mai conosciuto: e quando egli scherza con voi, voi ne sentite la voce, voi lo vedete sorridere, e ammiccare, e comporre il viso, come il discorso richiede; cosicchè non manchi a quel tanto che la parola scritta ha di muto, non manchi (tale è, leggendo, l'illusione) l'avvivamento del tono, dello sguardo, dell'atteggiamento, del gesto.

      Qual altro dei nostri poeti ci fa simile impressione? qual altro ci procura sensazioni consimili?

      Ma la dimanda è troppo affrettata. Prima di rispondere, bisogna, a voler rispondere con giustizia, bisogna pure riflettere, se alcun altro de' nostri poeti facili e piacevoli ci fa pensar tante cose e tante altre sentirne; e dico, cose alte, nobili, a pensare, profonde o commoventi a sentire; quante si sentono o si pensano leggendo i suoi versi. Tutto quel «piccolo mondo antico» fra il '31 e il '49, che ci sfila gaiamente dinanzi per la lanterna magica di quei componimenti motteggevoli e ironici; co' suoi personaggi grotteschi e contraffatti, o disorpellati delle loro lustre, o messi addirittura al nudo del loro brutto e cattivo, o piantati alla berlina con le loro debolezze, o trascinati al redde rationem delle opere loro: cotesto piccolo mondo, del quale egli v'invita a ridere, ve lo atteggia per modo dinanzi, che nel giudicarne voi dobbiate sempre fare appello ai sentimenti vostri migliori. Al sentimento della rettitudine, nel giudicare i Gingillini e i Girella, i Granchi e i Ventola, i Presidenti di buon governo e i loro Birri a congresso – al sentimento dell'umana dignità, nel far la debita stima di quell'aristocrazia sfiaccolata, di quei parassiti del regio rescritto, di quelle croci di Santo Stefano sul petto dei mal arricchiti, di quelle scritte matrimoniali combinate fra l'albagìa spiantata e l'ambizione plebea: – al sentimento della moralità educatrice, se motteggia sull'imperiale e real giuoco del lotto, o sul reuma d'un cantante, sull'abuso sentimentale del cloroformio, sulle bugie degli epigrafai: – al sentimento sanamente affermato della umana fraternità, se sfata con ironica iperbole le pericolose utopie umanitarie, le ipocrisie degli abolitori della guerra: – al sentimento della pedagogia naturale, o diciamo senz'altro al prezioso senso comune, se fra gl'Immobili e i Semoventi rivendica la libertà del fanciullo che i taumaturghi del metodo vorrebbero plasmare a macchina, e averne fantocci tutti d'un pezzo e d'un getto: – al rispetto delle memorie ispiratrici, se vi descrive il ballo esotico nel vecchio palazzo appigionato dai posteri di Farinata, o scaglia sul viso dei gaudenti, dimentichi in carnevale perpetuo, il brindisi che esalta le gloriose quaresime degli eroi trecentisti: – alla carità santa d'Italia madre, quando per l'incoronazione austriaca sfilano in complice schiera i principotti italiani; o lo Stivale fa, dall'orlo al tallone, la sua storia dolorosa; o il poeta in Sant'Ambrogio di Milano, fra que' poveri Croati e Boemi mandati qua a odiare ed essere odiati, sospira una patria per se e per loro; o inculca e ribadisce a quelle polizie miopi e sordastre il delenda Carthago dell'indipendenza dallo straniero; o protesta al suo Gino Capponi contro l'insulto codardo alla Terra dei morti.

      E poi, quando lo scherzo ha meno alta intonazione, e ritien più del bonario e del familiare, ma sempre con qualche vena di malinconico; le Memorie di Pisa, il Giovinetto romantico, il Profugo di Rimini, l'Amor pacifico, il San Giovanni canonizzato sugli zecchini d'oro, Momo salmista e predicatore, le virtù della Chiocciola, il re Travicello; nessuna di queste geniali comunicazioni della benevola ironia del Poeta passa pel vostro spirito, senza lasciarvi altresì qualche grano di moralità gentile, fermentatrice di bene.

      E abbiate altresì presenti fin d'ora altre poesie del Giusti (pur abbandonando alla bibliografia le generiche e non caratteristiche, o nate morte che vogliate chiamarle) abbiate, dico, presenti, fra le vitali e vive quelle che non appartengono alla sua Satira: nelle quali, sia nelle poesie che chiamerei addirittura sentimentali, sia in quella Canzone reminiscente all'Alighieri maestro, egli è quanto alla forma un altro poeta, ma l'anima del Poeta, anche in codeste liriche, voi la sentite pur sempre la stessa.

      Poeta, dunque, di profondo sentimento è, per sua propria missione, questo pur così amabile ed agile verseggiatore; questo umorista è, innanzi tutto, un moralista; questo satirico, nell'atto che ammonisce e sgrida, altresì persuade e commuove. E rilevati espressamente tali suoi caratteri, i quali è facile si accompagnino a difetti di aridità, pesantezza, accigliatura pedantesca; se, tuttavia, ci rinnoviamo la dimanda: Chi altri de' nostri è, alla pari del Giusti, poeta (come mi è venuto detto) conversevole? la risposta, nella quale credo dobbiamo convenire lettori e critici, è che nessun altro.

      Di quanti altri, invero, sappiamo a memoria tanto e così svariatamente e a pezzi e bocconi, quanto di lui? E non è un saperne a memoria per averne voluto o dovuto imparare; è l'essersi egli fatto imparare senza che noi ce ne accorgessimo, solo per quel farci tanto pensare e sentire, con immagini e parole e locuzioni e rime trovate così a proposito e tanto di nostro genio:

      Dal

      Girella, emerito

      di molto merito,

      al Credo bestemmiato da Gingillino,

      Io credo nella Zecca onnipotente

      e nel figliuolo suo detto Zecchino;

      dalla Ghigliottina a vapore, che

      fa la testa a centomila

      messi in fila,

      alla visione papale del Gioberti, di

      prete Pero, buon cristiano

      lieto semplice e alla mano,

      che

      vive e lascia vivere;

      dalla

      pallida capelluta

      parodia d'Assalonne,

      alla coppia felice, che

      l'amorosa si chiama Veneranda

      e l'amoroso si chiama Taddeo;

      dal giro pe' chiostri

      contando i tumoli

      degli avi nostri,

      alla partenza da Pisa, lasciando

      la baraonda

      tanto gioconda;

      dal

      Viva la Chiocciola,

      viva una bestia

      che unisce il merito

      alla modestia,

      all'esopiano re Travicello

      piovuto ai ranocchi;

      dal più o meno manzoniano

      Apollo tonsurato

      che dall'Alpi a Palermo

      insegna il canto fermo,

      alla patriottica baffuta Babele, che succhia

      sigari

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