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vene. Corpo del demonio, si mangia denaro a Roma!

      – Ah, se sapeste, – sospirò Paolo, – tutto, tutto è così caro! Una pesca venti centesimi. Ah, ora sto bene!

      – Venti centesimi! – dissero tutti ad una voce.

      – Ebbene, zia Bachisia, e poi? Quando Costantino tornò?.. – chiese Paolo.

      – Ebbene, Paolo Porru… ah, io continuo a darti del tu, sebbene tu sii fra poco dottore, perchè quando eri ragazzino ti ho dato persino qualche scappellotto…

      – Non ricordo; andate avanti, – disse il giovine, mentre le narici di Grazia fremevano per la stizza.

      – Ebbene, ti dissi che Costantino mancò tre anni e che…

      – Stette nelle miniere; benissimo, poi ritornò e fece pace con lo zio.

      – Ed ecco che vide Giovanna mia, questa ragazza, e s'innamorarono: lo zio non voleva, perchè la ragazza è povera. Ricominciarono ad odiarsi; Costantino lavorava per l'avoltoio, e l'avoltoio non gli dava un centesimo. Allora Costantino venne da me e disse: – io sono povero, non ho denari per comprare i gioielli alla sposa e per fare la festa e il banchetto delle nozze cristiane, e anche voi siete povere: ebbene, facciamo così, sposiamoci soltanto civilmente, per ora; lavoreremo assieme, accumuleremo la somma necessaria per la festa e ci sposeremo poi con Dio. – Siccome molti usano far così, lo facemmo anche noi. Si fece in silenzio il matrimonio civile e vivemmo assieme d'accordo. L'avoltoio schiantava dall'ira; egli veniva ad urlare persino nella nostra strada, e provocava da per tutto Costantino. E noi lavoravamo. Dopo la vendemmia, l'anno scorso, mentre preparavamo i dolci per le nozze, Basile Ledda fu trovato ammazzato nella sua casa. La sera prima Costantino fu visto entrare da lui: era andato per annunziargli le nozze e chiedergli pace. Ah, povero ragazzo! egli non volle fuggire come io gli consigliai. E fu arrestato.

      – Perchè era innocente… mamma… mia…

      – Ecco che quella sciocca ricomincia a piangere. Se non taci, io non dico più nulla, ecco. Ebbene, Costantino fu arrestato, ed ora si fa il dibattimento ed il pubblico ministero ha chiesto i lavori forzati. Ma è un cane quel pubblico ministero? Ci son delle prove è vero, fu visto entrare Costantino di notte, in casa dello zio, che viveva solo come un uccello selvatico che era; si ricordò il passato: tutto questo è vero, ma prove non ci sono. Costantino si mostrò pieno di contraddizioni e di rimorsi: egli dice sempre queste parole: è il peccato mortale. Perchè devi sapere che egli è un buon cristiano, e crede d'essere stato colpito dalla sventura perchè visse con Giovanna prima di essersi sposati religiosamente.

      – Ma ditemi una cosa…

      – Aspetta. Aggiungi che sposati religiosamente, poi, si sono. In carcere, sì, in carcere, anima mia, figurati che cosa orrenda. Non ricominciare a piangere, Giovanna, altrimenti ti butto in faccia questa saliera. Eccola lì la sciocca! Tutti dicevano: no, no, non sposarlo; se egli è colpevole e viene condannato tu potrai sposarne un altro…

      – Ah, come siete vili!.. – urlò la giovine, con occhi fiammeggianti; ma lo sguardo acuto della madre si fissò sul suo ed ella tacque di nuovo.

      – Lo dicevo io, forse? – chiese zia Bachisia. – No, lo dicevano gli altri, e lo dicevano per il tuo bene.

      – Il mio bene, il mio bene, – si lamentò Giovanna, nascondendo il viso fra le mani. – Il mio bene è finito, è finito, è finito.

      – Avete figli? – le chiese Paolo.

      – Sì, uno. E se non ci fosse lui guai. Guai! Se Costantino verrà condannato e il bimbo non ci fosse, guai! guai! – E si ficcava le dita entro i capelli, al di sopra della fronte, e scuoteva la testa come una pazza.

      – Tu ti ammazzeresti, cuor mio? – chiese la madre con ironia. Lo studente credette vedere qualche cosa di finto nel moto di Giovanna: la rassomigliò ad una famosa attrice, in una commedia francese, e parole scettiche gli uscirono dalle labbra, davanti al dolore della giovine donna.

      – Ecco, – egli disse, – del resto ora è approvata la legge sul divorzio: ogni donna che ha il marito condannato può tornar libera.

      Giovanna non parve neppure capire quelle parole, e continuò a scuoter la testa fra le mani; zia Porredda disse convinta:

      – Sì, un corno! Neppure Dio può disfare un matrimonio!

      Zio Efes Maria osservò, un po' beffardo:

      – Già! L'ho letto sul giornale. Questo divorzio ora! Lo faranno in continente, dove, del resto, uomini e donne si maritano molte volte, senza bisogno di prete e di sindaco; ma qui, oibò!..

      – No, babbo Porru, non è in continente, è in Turchia, – osservò Grazia.

      – Anche qui, anche qui! – disse zia Bachisia, che aveva capito tutto.

      Appena ebbero cenato, le Era uscirono per andare dall'avvocato.

      – Dove le farete dormire? – chiese Paolo. – Nella camera dei forestieri?

      – Sicuro. Perchè?

      – Perchè veramente volevo starci io lassù: qui si soffoca. Qual migliore forestiero di me?

      – Abbi pazienza fino a domani, figliolino mio. Esse sono povere ospiti…

      – Oh Dio, che barbari costumi, quando finiranno? – egli chiese indispettito.

      – Lo chiedo anch'io, – disse zio Efes Maria, che s'era messo a leggere il giornale. – Mi rompono le scatole queste donne. Ebbene, cosa ne dici tu del nuovo Ministero?

      – Io me ne infischio, – egli rispose ridendo, perchè ricordava quel personaggio della Dame chez Maxim, delizia del teatro Manzoni, del quale egli era un habitué.

      E andò a guardare certi libri che aveva riposti in una nicchia in fondo alla stanza. Minnìa e il fratellino erano usciti nel cortile; Grazia, seduta davanti alla tavola, coi pugni nelle guancie, guardava sempre lo zio. Ed egli le si rivolse:

      – Tu leggi romanzi, non è vero?

      – Io no, – diss'ella arrossendo.

      – Ed io ti dico che se ti trovo io, leggendo certi libri, te li scaravento sul capo…

      Le labbra di lei tremarono: per nascondere il suo pianto s'alzò ed uscì fuori, e sentì che i fratellini litigavano ancora a proposito del portamonete col papa.

      – In quanto a rubare, – diceva il bambino, – tu stai zitta, perchè tu con quell'altra che è lì, quella pertica, oggi voi avete venduto del vino e vi siete tenute i soldi…

      – Ah, bugiardo! – disse Grazia andandogli sopra, e lo picchiò mentre piangeva amaramente.

      Intorno cantavano i grilli; il cavallo ruminava sbattendo la zampa sul selciato, le stelle piovevano un barlume latteo sul cortile caldo e fragrante di fieno secco.

      – Essa è una povera orfana, non maltrattarla, – diceva zia Porredda a suo figlio, difendendo Grazia, (i tre ragazzi erano figli del figlio maggiore dei Porru, ricco pastore, e di una giovane morta un anno prima) – e se vuol leggere lasciala leggere.

      – Sì, lasciala leggere! – affermò solennemente zio Efes Maria. – Ah, perchè non lasciarono leggere anche me quando era giovinetto? Sarei diventato astronomo, istruito come un prete.

      Astronomo, per zio Efes Maria, era uomo coltissimo, savissimo, come a dire filosofo.

      – Hai visto il papa, figlio mio? – chiese zia Porredda, per associazione d'idee.

      – No.

      – Come, tu non hai visto il papa?

      – O che credete voi? Il papa sta dentro una scatola, e per vederlo bisogna pagare, pagare molto.

      – Oh va! – ella disse – tu sei un miscredente.

      E uscì nel cortile, dove i nipotini si bastonavano: piombò in mezzo a loro, li divise, li gettò

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