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e ad una prudente sorveglianza de' fatti suoi. Avvenne, come udimmo narrato da Maurilio medesimo, che un giorno il libraio trovasse sparito un rotolo di monete d'oro del valore di cinquecento lire ch'egli aveva riposto nel cassetto del suo banco. Interrogatine tutti della famiglia, e niuno sapendone dar ragguaglio di sorta, era inevitabile lo accusare di questa scomparsa colui che tanto era venuto in sospetto, e il quale, per una strana coincidenza, di tutto il giorno, obliando il dover suo, non s'era lasciato vedere a bottega. Maurilio quindi era stato scacciato da quella casa e da quell'impiego, come udimmo narrare da lui medesimo a Giovanni Selva. Ma qual fu la sorpresa, la pena e il rimorso del buon Defasi, quando parecchi mesi di poi, avendo non so per qual guasto da far aggiustare il suo banco, il rotolino delle monete d'oro si trovò in uno stretto spazio fra la rivestitura esteriore e il cassettino che non correva sino al fondo, sdrucciolato colà chi sa per che caso! L'onesto libraio avrebbe dato qualunque cosa per riparare l'avvenuto errore, più ancora per non averlo fatto. Cercò istantemente del giovane; ma egli ne aveva perdute affatto le traccie, e Maurilio, pieno di vergogna, si guardava bene dal farsi vivo per quella famiglia e studiosamente evitava perfino di passare per la strada in cui erano l'abitazione e il fondaco dei Defasi. Il suo antico principale dovette rimanersi ad un inutile rimorso, ma nell'anima di lui generosa, avvenne una tal riazione in favore dell'innocente calunniato ch'egli cessò di prestar fede a tutto quanto riguardo a lui avevagli detto di male messer Nariccia (l'accusa ch'egli stesso gli aveva mossa era effetto d'un deplorabile errore; perchè non sarebbe stato la stessa cosa delle accuse precedenti?); e rinacquero più forti e più vivi l'affetto per quell'infelice, la stima e l'ammirazione per quell'intelligenza superiore di molto a quante intorno a sè Defasi avesse mai conosciute.

      Da ciò avvenne che quando Padre Bonaventura fu da lui a chiedere di Maurilio, il libraio ne intessè tale un elogio della mente, del cuore, della volontà, della dottrina, che il gesuita si confermò ancora di meglio nel suo proposito di guadagnare alla buona causa quella valente individualità. Non fosse anche quegli che si sospettava, sarebbe sempre stato per la Compagnia un buon acquisto. La riuscita del tentativo di seduzione il gesuita la vedeva facile, tanto più trattandosi d'un povero abbandonato, senza famiglia, senza sostanze, senza punto avvenire. Chi sa che non lo si potesse indurre a vestire l'abito nero della Compagnia! Egli, conosciuto quel giovane e tastatolo, avrebbe giudicate se conveniva spingere innanzi le indagini intorno alla sua origine, o pur lasciarle nel buio, e si riserbava d'agire a seconda, anche riguardo alle possibilità del contegno che avrebbe assunto il marchese; ma gli avvenimenti camminavano più rapidi e decisi che al gesuita non piacesse, e la Gallona veniva ad informarlo di quanto era occorso fra lei e Don Venanzio e Giovanni Selva, e del meraviglioso fatto che quel giovane già trovavasi in qualità di segretario, introdotto ed albergato nel palazzo medesimo dei Baldissero.

      Conveniva prendere sollecita risoluzione. L'intromettersi del virtuoso parroco vivamente rincresceva al frate intrigante. Quegli avrebbe spinto la sua azione sino al compiuto conseguimento della verità; era utile affrettarsi a farsene egli stesso merito ed entrando innanzi a quegli altri agire presso il marchese per cercare di volgere le cose secondo il proprio interesse. Incaricava quindi la Gattona di menargli ad ogni costo innanzi quella sera stessa il giovane, ed egli domandava pel domani udienza al marchese il quale di quel giorno aveva chiusa a tutti la porta del suo studio. Secondo il risultamento del suo colloquio con Maurilio, fra' Bonaventura avrebbe determinato il modo di regolarsi col marchese, i consigli da dargli e la direzione per cui avviare i propositi del medesimo.

      Maurilio e il gesuita si trovavano dunque seduti l'uno accosto dell'altro, sul piano impagliato del sofà, nella modesta cella del frate, al dubbio chiarore d'una lampada, i cui raggi erano impediti di espandersi all'intorno da un coprilume. Si osservavano attentamente, quasi cercando cogliersi l'un dell'altro nel volto il segreto pensiero e le intenzioni: di fra' Bonaventura la conoscenza del mondo e degli uomini, l'abilità accresciuta dall'uso continuo, facevano un osservatore acutissimo, il cui sguardo penetrava molto agevolmente entro l'anima di chi gli stava innanzi; Maurilio, dalla diffidenza cui la specialità delle sue condizioni aveva fatta in lui naturale, dal sospetto che gli nasceva spontaneo per la nota volpina falsità del gesuita, dall'altezza medesima del suo ingegno, il quale, quando veramente esista, prova in ogni cosa a cui si applichi, aveva tutti i mezzi onde passare fuor fuori i raggiri e gli inganni del suo interlocutore. Era dunque una lotta fra due capaci e degni campioni; ma sul principio il vantaggio stette da parte del monaco, perchè il pensiero che in quel colloquio egli avrebbe appreso alcuna cosa del suo destino diede al giovane un'emozione, che congiunta a quella cui soleva sempre da principio destargli la sua timidezza in ogni nuovo contatto con altre personalità, arrivò quasi alle proporzioni d'un turbamento.

      A Padre Bonaventura la vista di Maurilio fece la medesima impressione che aveva fatta alla vecchia Modestina Luponi.

      – Che? disse fra sè. Questi sarebbe il figliuolo della bella marchesina Aurora? Fidatevi ai contrassegni della schiatta! Ecco il discendente di due leggiadre creature dalle più fini forme aristocratiche, al quale una misera vita in mezzo all'ambiente plebeo ha dato tutte le sembianze d'un figliuolo della plebe.

      La sua attenzione fu però chiamata dall'intelligente ampiezza della fronte e dalla misteriosa potenza di quegli occhi color del mare e come il mare profondi.

      – Oh oh! costà in quel cranio non c'è davvero un cervello di pan bollito e in codesta non bella scatola ossea sta un'anima che non è volgare… Ed a Volontà come stiamo?

      Osservò le protuberanze ben disegnate e spiccanti dell'alto della fronte, la quale si drizzava sul viso perpendicolare come il frontone d'un tempio.

      – Uhm! soggiunse, non sarà facile fargli cambiar di convinzioni… Ma avrà egli vere convinzioni?.. Speriamo di no.

      E mentre lo conduceva, come ho detto, a sedersi presso di lui sul sofà, con aspetto, alti e voce benevolissimi e carezzevoli, il gesuita veniva pensando:

      – Egli ha sofferto di molto; se ne vedono le traccie sul volto travagliato e nel corpo che ci ha patito. Deve avere una rabbia maledetta contro il destino che gli è toccato, e una più maledetta smania di ricattarsi coi godimenti… Se noi gli apriamo il passo alle gioie ed alle soddisfazioni mondane, e gli diciamo: son tue se ci vieni con noi; egli ci si precipiterà senza punto curarsi più qual sia la bandiera che gli faremo sventolare sul capo… Se non ne faremo un gesuita, potremo farne un gesuitante… Forse!

      Maurilio aveva il respiro impacciato, come preso da un lieve affanno, e più impacciato il labbro che non sapeva trovare parola; il gesuita gli prese di nuovo una mano fra le sue e dissegli più amorevolmente che mai:

      – Mio caro amico, caro figliuolo… La mi permette ch'io la chiami così?.. S'immagina Ella qualche poco il motivo che mi ha fatto mandarla a pregare di venire qui?

      Maurilio esitò un momento a rispondere: trasse un grosso respiro, come chiamando in suo soccorso il fiato che l'emozione gli impediva di venir liberamente alla gola, tolse dalle mani del gesuita la sua destra fredda come un pezzo di ghiaccio e incrociando le dita delle mani che premeva forte sulle sue ginocchia, rispose poscia con quella sua voce ordinariamente sorda e contenuta, che non aveva vibrazione ed armonia se non quando la potenza di un'idea o di un affetto scuoteva l'intimo esser suo:

      – Le parole della nonna di Luchino me ne diedero un sospetto… Ella vuole parlarmi della famiglia che fu mia e che mi ha rigettato.

      – Adagio, disse il gesuita con quel suo accento dolcereccio che gli era abituale, accompagnato da un pari sorriso. Secondo il benedetto uso di tutta la gioventù, Ella galoppa colla fantasia, e le sue supposizioni vanno al di là del vero.

      Maurilio diede in un leggero trasalto e volse al frate la sua faccia più turbata e più impallidita di prima.

      – Che? interrogò egli: non ha da esser questo l'argomento del nostro colloquio? Non sono io dunque ancora al punto fatale in cui metterò finalmente la mano sul motto dell'enimma che è la mia vita?

      – La mi fa due interrogazioni a cui non posso fare la medesima risposta. Alla prima posso dare un'affermativa: sì, noi siamo qui appunto per discorrere amichevolmente di alcune cose, di qualche circostanza che possono influire sulle ulteriori determinazioni da prendersi per parte di certuni cui tale argomento interessa massimamente. Quanto alla seconda interrogazione, se cioè ora Ella possa scoprir

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