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disobbligavano dalle parole loro i prigionieri di guerra, e, restituendogli alla condizione di sudditi inglesi, gli costringevano ad unirsi alle genti regie, aveva causato non poco disgusto fra i Caroliniani. La maggior parte desideravano, poichè perduto avevano la libertà, di godersi almeno la pace alle case loro, accomodandosi in tal modo al tempo, e servendo alla necessità; la qual cosa, se fosse stata ad essi conceduta non avrebbero più fatto novità, e meno impazientemente sopportato avrebbero l'infelice condizione della repubblica. Quindi appoco appoco si sarebbero avvezzati al presente ordine di cose, e dimenticato avrebbero il passato. Ma quel bando di nuovo concitò la rabbia loro. Tutti dicevano; se si ha a ripigliar le armi si combatta piuttosto per l'America, e per gli amici, che per l'Inghilterra, e per gli strani. Alcuni, come dissero, così fecero. Sciolti dalla fede loro, siccome credettero di aver acquistato il diritto di ripigliar le armi, così lo vollero anche usare, e risoluti di pruovare ogni fortuna, per vie strane, ed incogniti tragetti si conducevano sulle terre della Carolina Settentrionale occupate tuttavia dalle genti del congresso. Altri continuarono a dimorare nel paese, e nella condizione di prigionieri, aspettando a volersi risolvere, che fossero chiamati attualmente dai capitani britannici sotto le insegne. I più, cedendo ai tempi, e non sofferendo loro l'animo di abbandonar le proprietà loro, e di ritirarsi in lontane regioni, come i primi, o temendo delle persecuzioni degl'Inglesi, e di quelle dei proprj paesani, desiderosi d'ingraziarsi presso i nuovi signori, amarono meglio, dissimulando, scambiar la condizion loro, e da prigionieri americani, diventar sudditi britannici. Alla quale risoluzione tanto più volentieri si accostarono, che correva voce, forse data ad arte, che il congresso fosse venuto in sulla determinazione di non contrastar più oltre agl'Inglesi la possessione delle meridionali province. La qual cosa non solo non era vera, ma era vero tutto il contrario, stantechè aveva il congresso nella sua tornata dei 25 giugno con molta solennità dichiarato, che ogni maggiore sforzo si voleva fare per ricuperarle. Ma queste cose non si sapevano dai prigionieri della Carolina, e vi si credeva dai più, ch'ella rimasta sarebbe una provincia britannica. Così la moltitudine correva parte per amore, parte per forza alla leanza. Ma gl'Inglesi avrebbero voluto avergli tutti, e non tornava lor bene, che vi rimanesse dentro, o fuori della provincia alcuno, che seguisse le parti del congresso. Epperò ogni sorta di stranezze usavano contro i beni, e le famiglie di coloro ch'erano fuorusciti, o di quei che rimasti erano prigionieri di guerra. Le proprietà dei primi erano sequestrate, e guaste, e le famiglie guardate di mal occhio, e taglieggiate, come di ribelli. I secondi erano spesso dai parenti loro separati e confinati in luoghi disagiosi e strani. Quindi quelli rientravano ogni giorno, e venivano a piegare il collo sotto il giogo della nuova servitù; e questi andavano anch'essi ad offerirsi, come buoni e fedeli sudditi del Re. Tra gli uni e gli altri vi erano di quegli stessi, i quali più vivi si erano dimostrati in quella loro impresa della libertà, e che avevano tenuto i primi maestrati nel reggimento popolare. Generalmente si escusavano col dire, che non avevano mai posto la mira all'independenza, e che detestavano la lega fatta colla Francia. Così gli uomini amano meglio esser tenuti bugiardi e spergiuri, che viver poveri e disgraziati. Queste cose si facevano nel contado. Ma gli abitatori della città, siccome quelli, che avevano per la capitolazione il diritto di starsene alle case loro, non furono inclusi nel bando dei 3 giugno. Epperò altri modi si usarono per fargli calare alla leanza. Gl'Inglesi ed i leali inveterati bucherarono di modo, che dugento e più Charlestonnesi fecero, e sottoscrissero una lettera pubblica, colla quale si rappresentarono al Capi britannici, seco loro congratulandosi dell'avuta vittoria. E siccome quest'era un concerto, fu loro risposto, goderebbero la protezione dello Stato, e tutti i benefizj della cittadinanza inglese, se volessero sottoscrivere una dichiarazione di leanza, e del buon animo loro a voler sostenere la causa del Re. Così fecero essi; molt'altri gl'imitarono. Quindi nacque una distinzione tra i sudditi ed i prigionieri. Erano i primi protetti, onorati, incoraggiati; i secondi guardati di traverso, molestati, perseguitati nella roba e nelle persone. I beni di costoro posti in contado erano manomessi e calpestati. In città era intrachiuso loro il ricorso ai tribunali per dirvi ragione contro i loro debitori, mentre da un altro canto era fatto abilità ai creditori, quand'eran sudditi, di chiamargli in giudizio. Quindi eran forzati a pagare i debiti, ed impediti dal riscuotere i crediti. Non erano lasciati uscir dalla città, se non colla licenza, la quale spesso, e senza nissun motivo era loro negata; e minacciati ancora di carcere, ove la leanza non sottoscrivessero. Le robe loro erano state messe a bottino dai soldati, e particolarmente gli schiavi involati. Nè v'era modo, che fossero loro restituiti, se non si piegavano, mentre i sudditi ciò di leggieri ottenevano. Erano gli artigiani permessi di lavorare, ma era poi negata loro la facoltà di farsi pagar la mercede delle opere dagli avventori, quando questi la ricusavano. Gli Ebrei stati erano lasciati comperare molte e ricche robe dai mercatanti inglesi, i quali colà eran venuti coll'esercito. Ma a meno che diventassero sudditi, non si permetteva loro di venderle. Insomma ogni arte si usava, e le minacce, e la forza per fare, che i cittadini mancassero alla fede data, ed all'antica soggezione ritornassero. I più simularono e dissimularono; e diventati sudditi furon fatti partecipi della britannica protezione. Altri o più ostinati o più virtuosi non s'inclinarono. Quindi le proprietà loro eran fatte bersaglio alla sfrenata cupidità delle soldatesche; altri nelle strette e pestilenti prigioni confinati; altri più fortunati, o più accorti incontrarono un volontario esiglio. In mezzo a così fiera catastrofe le donne caroliniane diedero l'esempio di una fortezza più che virile; e tanto amore dimostrarono di quella patria americana, che per me non saprei se le storie sì antiche che moderne ci abbiano tramandato la memoria di uguali, non che di maggiori. Non solo non tenevano a male, ma e si rallegravano, e si gloriavano all'essere chiamate col nome di donne ribelli. Invece di andarsene per le adunate pubbliche, dove si facevano le feste ed i rallegramenti, concorrevano a bordo delle navi ed in altri luoghi, in cui erano tenuti prigioni i consorti loro, i figliuoli e gli amici, e quivi con modi pieni di cortesia gli consolavano e riconfortavano. «Stessero forti, dicevano, non cedessero al furor dei tiranni; doversi anteporre le prigioni alla infamia, la morte alla servitù; risguardar l'America i suoi diletti campioni; sperare, i mali loro dover fruttificare, e produrre e confermare quella inestimabile libertà contro gli attentati dei ladroni d'Inghilterra; martiri essi essere, ma martiri di una causa sacra agli uomini e grata a Dio». Con tali detti ivano queste valorose donne disasprando i mali dei miseri cattivi. Allorchè i conquistatori nelle festevoli brigate, e ne' lieti concerti convenivano, non era mai che volessero le Caroliniane intervenirvi, e quelle poche, che sì facevano, n'erano presso le altre disgraziate. Ma come prima arrivava prigioniero in Charlestown un uffiziale d'America, tosto il ricercavano, e con ogni sorta di più onesta cortesia, e con ogni segno di osservanza e rispetto il proseguivano. Altre ne' luoghi più segreti delle case loro convenivano, e quivi addolorate lamentavano le sventure della patria. Altre i mariti loro incerti e titubanti riconfortavano, sicchè preferiron essi all'interesse ed ai comodi della vita un disagioso esiglio. Nè poche furono quelle, le quali venute per la costanza loro in odio ai vincitori, furono dalla patria bandite, ed ebbero i beni posti al fisco. Queste nel prender l'ultimo congedo dai padri, dai figliuoli, dai fratelli, e dagli sposi loro non che alcun segno dessero della fralezza, non so se nel presente caso io mi debba meglio dire maschile, o femminile, gli esortavano e scongiuravano, fossero di buono e saldo proponimento, non cedessero alla fortuna, e non sofferissero, che l'amore che portavano alle famiglie loro tanto in essi potesse, che dimenticassero quello, di ch'erano alla patria debitori. Quando poi, siccome accadde poco dopo, furono comprese in un bando dato ai libertini, abbandonate colla medesima costanza le natie Terre, ed esulando anch'esse, i mariti loro accompagnarono in lontane contrade, od anche sulle fetide e schife navi gli seguitarono, che a quelli servivano di prigione. Ivi ridotte in somma povertà, nutrendosi di vilissimi cibi, andavano con miserabile spettacolo mendicando il pane. Molte, ch'erano nate ed allevate in mezzo alle ricchezze, non solo ai soliti agi rinunciarono della passata vita, ed alla speranza della condizione avvenire delle famiglie loro, ma ancora ai più grossi lavorj; ed ai più umili servigi le disavvezze mani accomodarono. Tutte queste cose facevano non che con fortezza, con allegrezza; l'esempio loro confermò gli altri, e da questa fermezza delle caroliniane donne stette principalmente, che non venisse spento affatto nelle meridionali province il desiderio ed il nome della libertà. Da questo conobbero anche gl'Inglesi, che avevano alle mani un'impresa più dura di quello, che prima si fossero fatti a credere. Imperciocchè il più manifesto segno della generale opinione, e dell'ostinazione dei popoli in qualche pubblica faccenda loro quello sia, che le donne ne siano venute a parte, ed in questa abbiano posto la loro immaginazione, la quale se più debol'è, e

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