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fortunato. La regina stessa degnossi ancora cantarvi qualche volta. Finalmente quest'opera fu eseguita sul gran teatro della capitale. I critici riconobbero sin d'allora ne' dettagli, principalmente ne' recitativi e nel canto, uno stile particolare, e convennero ch'egli annunziava il più distinto talento. Non fu se non dopo la decima terza rappresentazione che Gluck in un indirizzo al pubblico di Parigi, dichiarò Salieri solo compositore delle Danaidi. La direzione dell'opera gli pagò una somma di diecimila franchi, ed altri tremila per le spese del viaggio. La regina gli fece altresì un considerevolissimo dono, e l'incisore pagogli la partitura duemila franchi. Prima di partire per Vienna, la direzione dell'opera gli commise ancora di scrivere gli Orazj e Curiazj. Alcun tempo di poi, egli compose pel teatro di Vienna la musica del dramma Axurre di Ormo; per il quale l'Imperatore Giuseppe II donogli 200 ducati, ed una pensione di altri 300. Poco dopo sposò egli una damigella, che gli recò una pinguissima dote. Salieri è attualmente in Vienna, maestro di cappella dell'Imperatore d'Austria: egli ha scritto molta musica sì per chiesa che per teatro, per tutta l'Europa celebratissima. L'oratorio della Passione del Metastasio posto da lui in note è un capo d'opera; vi ha in questo una fuga bellissima, che veniva lodata molto dall'Hasse medesimo. “Un bello esempio dell'economia e del buon uso che dee farsi degli strumenti da fiato, dice il dotto Carpani, trovasi nel Cesare in Farmacusa del profondo maestro Salieri, che applicò con tanta felicità la metafisica alla sua arte. Egli acciocchè una sortita furiosa di Cesare nel finale del primo atto facesse più colpo, sospese per molti tempi dello stesso pezzo di musica tutti gli strumenti da fiato e particolarmente le trombe, e fe' tacere i timpani, e li adoprò poi tutt'insieme al luogo sopra indicato con stupendissimo effetto. Non è a dirsi qual energia riceva la musica da quella sortita improvvisa di strepito marziale. Ho sempre sentito fremere l'udienza a quel passo, il cui incanto sta tutto nell'artificio riferito, e che il più degli ascoltanti non si curano nemmeno d'indagare d'onde venga.” (Lettera X). Racconta lo stesso Carpani che il grand'Haydn aveva in sommo conto Salieri, e che a lui affidò egli sempre la direzione de' suoi due capi d'opera, la Creazione e le quattro Stagioni (Lettera XIV). La maniera che usa Salieri per eccitare la sua fantasia nel comporre, così vien descritta da quel lepidissimo scrittore. “Salieri, egli dice, il maestro della ragione, deve fecondare la sua fantasia coll'uscir di casa, scorrer per le vie più frequentate della città masticando confetti, e col suo graphiarium, e la cannuccia nelle mani gli è forza notar subito le idee felici, che a volo gli passan pel capo.” (Lettera XIII).

      Salinas (Francesco), spagnuolo nativo di Burgos, professore di musica nell'università di Salamanca, divenne cieco sin dall'età di dieci anni, ma non fu perciò meno abile nelle scienze e nella musica. Egli è autore assai celebre di sette libri de Musica pubblicati nel 1577, che di tutti gli scritti armonici del secolo XVI, dice l'ab. Andres, ebbero una fama più universale, e hanno poi conservata più durevole riputazione. Questo illustre cieco, profondamente istruito nella musica pratica, e nella teorica, ed altresì erudito filologo, poeta filosofo e matematico, che a giusto titolo da molti vien detto il moderno Didimo, e potrebbe anche chiamarsi lo spagnuolo Sanderson, dopo lungo studio de' greci e de' latini, dopo lunghe meditazioni, e dopo continuo esercizio lasciò a' posteri in quella dotta opera quanto l'erudite ricerche, e l'attente speculazioni nel lungo corso di cinquanta e più anni avevano suggerito su la pratica, e su la teorica della musica (Dell'origine ec. t. 4). Assai ragionevole è l'encomio, e la critica che di questo suo illustre compatriota ha fatto il Requeno. “Un solo cinquecentista, egli dice, rispettabile pe' suoi lumi, per la sua latina favella, per la sua coltura, per la disinvoltura del suo spirito, per la sua erudizione, per la maestrevolezza dell'arte armonica sarebbe stato capace di ravvivare tutta la greca armonia, se la preoccupazione a favore della musica moderna da lui mirabilmente ben avviata e corretta non lo avesse impegnato in volerci far vedere, che le nostre corde armoniche, ed il nostro ritmo poco sono dissimili dall'antico. Cotesto cel. scrittore gli è lo spagnuolo Salinas. Nessuno creda, che io lodi per ispirito di patriottismo; e chi ne dubita, lo prenda in mano, e mi dica se fra tutti gli spositori della musica greca si ritrovi l'eguale fra moderni. Il trattato di Vossio sull'antico ritmo, ove mettasi al confronto del trattato di ritmo di Salinas, scomparisce affatto. Vossio niente insegna; Salinas tutto analizza. Vossio tesse il panegirico da colto grammatico; Salinas tesse l'arte dell'antico ritmo poetico da pratico, Vossio parla da oratore con lodi generalissime: Salinas da intelligente delle più picciole differenze mostra quanto è degno di lode nel greco ritmo. Egli è però da dolersi, che Salinas non osservasse, che oltre il ritmo poetico da esso così bene analizzato, esisteva il ritmo musicale, di cui non ci disse parola. Salinas nell'esame delle corde armoniche, diede troppo a' numeri, ed alle proporzioni, niente agli sperimenti, e poco all'autorità de' greci armonici; quando doveva dare anzi tutto ai testimonj di questi provati prima cogli sperimenti; ai numeri quant'essi richiedevano e nulla più; e niente poi affatto a quelle proporzioni, colle quali la scuola Alessandrina nella decadenza della greca armonia oscurò ed imbrogliò il semplicissimo musico sistema di Aristosseno, e del secolo d'oro de' Greci. La è cosa parimente da dolersene, che questo insigne scrittore non siasi tutto impiegato in analizzare i Greci, in costruire un monocordo per le prime pruove, in fare poi lo stromento chiamato Canone minutamente descritto da Tolomeo, e in avanzare altri passi richiesti per la genuina intelligenza de' greci scrittori. Ma forse pel vanto, che esso erasi procacciato nella pratica del moderno contrappunto, non volle esporre il suo sapere al pericolo di detestarlo; nè mai gli cadde forse anco in pensiero di fare uno stromento armonico con tutte le corde eguali sì in lunghezza, che in grossezza, come praticarono i Greci: forse non seppe concepir la maniera, con cui esso potesse suonarsi.” (Pref. ai Saggi ec. pag. XIV).

      Salomo (Elia), prete francese del sec. XIII: nel 1274 dedicò a Gregorio IX un libro: De Scientiâ artis musicæ, che si era conservato manoscritto nella bibioteca Ambrosiana in Milano, donde lo ha tratto l'ab. Gerbert, inserito avendolo nel terzo tomo della sua collezione degli antichi autori di musica. L'Aut. vi tratta del numero delle chiavi, de' tuoni, delle figure, della dottrina del canto, e della maniera di cantare a quattro voci, ec.

      Sammartini (Gio. Batt.), maestro di cappella assai celebre del suo tempo, e uomo singolare, nacque in Milano verso la fine del secolo XVII; fu prima suonatore d'oboe, e poi di violino. Devesi a lui l'uso del mordente, delle note sincopate, delle contro arcate, e delle punteggiature continuate, le quali grazie, se pure si conoscevano, non erano in grande uso: egli le introdusse nel violino, come è facile di rilevare dalle sue composizioni confrontate con quelle de' precedenti scrittori. Sammartini, dotato d'ingegno creatore, imparò il contrappunto da se, e si diede a scrivere musica instrumentale, singolarmente dei trio, e delle sinfonie. Il Generale Pallavicini, governatore di Milano, gli fece comporre le prime sinfonie a grande orchestra. Si sonavano esse in buona aria sulla mezzaluna della cittadella a divertimento dei cittadini che a diporto trovavansi nella sottoposta spianata le sere d'estate. Il Paladini, che morì troppo giovane, il Lampugnani, che il primo cominciò a lussureggiare negli accompagnamenti delle arie, ed altri gareggiavano su quel parapetto, divenuto sede e teatro di una guerra tutta piacevole col Sammartini, il quale tutti li vinse per la copia, il fuoco e la novità, sebbene rimanesse molto al di sotto del Paladini e degli altri per la scienza degli accordi. Fu in quelle sinfonie che si sentì per la prima volta il gioco separato dalle viole che da prima suonavano col basso, e che udironsi movimenti continuati di violini secondi, i quali si fecero con bella novità scorrere per un modo tutto diverso di quello dei violini primi. Anche il Sammartini aveva pratica cognizione di tutt'i strumenti, e fu da lui che la apprese, il Gluck, stato per più anni suo scolare. Se a questi pregi unito avesse il Sammartini una più fondata teoria, e una maggiore applicazione avrebbe avuto l'Italia il suo Haydn, prima che lo avesse l'Alemagna. Il Sammartini non fu sì felice nella musica vocale come lo era nella strumentale. Eccitato dai generali voti della sua patria, compose un'opera seria per quel teatro, e non piacque punto. Che anzi era egli il primo a burlarsi di se medesimo quando si rammentava quella sua produzione. Fu però essa la prima e l'ultima di tal genere, mentre non volle più comporre pel teatro, e fuori di qualche oratorio sacro, non abbiamo di lui altra cosa drammatica. Egli, come dissi, fu maestro del Gluck per dieci anni, e basta confrontare la musica instrumentale di Gluck con quella del maestro per capire quanto gli dovesse. L'Haydn stesso molto apprese per la parte ideale osservando le opere del Sammartini, benchè più volte detto avesse al suo amico Carpani non dover nulla a lui,

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